In questi giorni, e forse non solo in questi, va di moda essere scontenti. Se non si ha da ridire su qualcosa, si può anche non dire nulla. Il tormentato piace, l’eterno insoddisfatto fa simpatia. È con la legge di mercato che le rema contro che Simona Vanzi pubblica presso Aletti Editore la sua raccolta di liriche Emozioni Silenziose, che di vagamente tormentato ha soltanto il cielo a pecorelle in copertina.

 

Vanzi lascia da parte le grandi immersioni nell’universale per raccontare i piccoli momenti di contemplazione, quegli attimi sospesi a metà tra la meraviglia e la malinconia in cui guardandosi allo specchio uno realizza all’improvviso di essere vivo. Quelle emozioni silenziose, appunto, che affogano nel rumore di fondo del trantran quotidiano e si infilano inosservate appena sotto la coscienza.

 

È un tema pericoloso da portare avanti per un’opera intera. Con le buone cose si corre sempre il rischio di sconfinare nel melenso, ma la penna delicata di Vanzi riesce a evitare la trappola e a procedere con leggerezza fino alla fine, evocando tutta una schiera di figure di carta velina per popolare la terra onirica della sua poesia – per cui Vanzi stessa afferma di avere la “stessa passione di un sognatore”.

 

E certo le sue liriche somigliano a frammenti rubati ai sogni. Attimi congelati scuciti dal loro contesto che rimangono impressi fino al risveglio come diapositive dai contorni sfocati.

Sono sensazioni discrete amplificate e ingigantite fino a occupare tutto il campo visivo, la luce del sole quasi abbacinante, uno sfiorarsi di mani trascinante come un amplesso.

 

È un tipo di energia primordiale dalle tinte pastello scaturita da un sentimento di genuino incanto davanti all’ordinario, uno zoom imprevisto su una pianticella che sboccia come un miraggio tra le crepe nell’asfalto.

Prima o poi, troppi autori finiscono col commettere l’errore di costruirsi un personaggio e usarlo per sagomare la propria creatività. Vanzi non si nasconde dietro a maschere che non le appartengono: in ogni verso traspare in filigrana la personalità di una donna che non ha mai smesso di cercare ragioni per meravigliarsi – e che a quanto pare non ha mai smesso di trovarne.

La sua penna spontanea e piacevole invita con gentilezza a considerare il fascino degli oggetti discreti: non il fragore incendiario del fuoco d’artificio, ma lo scoppiettare rasserenante di una candela davanti a una finestra.

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