Una delle opere più amate, conosciute e rappresentate di Giuseppe Verdi: la Traviata, celeberrima opera che conclude la trilogia popolare del compositore, dopo Rigoletto (1851)  e Trovatore (gennaio 1853), torna in questi giorni sulle scene del teatro del Maggio Musicale Fiorentino (prossima recita martedì 21 novembre).  La regia di Alfredo Corno e le scene di Angelo Sala, già sperimentate  in due edizioni estive a Palazzo Pitti, spostano l’ambientazione  in una Italia degli anni ’50 del ‘900,  deliberatamente ispirata alla dolce vita felliniana. In scena si intravedono cineprese d’epoca che riprendono una Violetta-Anita Ekberg bionda con abito nero che replica la famosa scena del bagno nella fontana di Trevi, mentre il giovane Alfredo è un altro attore della troupe. Nonostante le differenze, il libretto di Francesco Maria Piave si adatta in modo straordinario e la storia si rivela convincente, affascinante e ricca di dettagli e citazioni. L’epilogo della vicenda è in una triste stanza d’ospedale, la cui solitudine raggela e rende tragica la fine di Violetta.

La storia della protagonista è davvero singolare: è una vicenda per molti aspetti tipicamente “romantica”,Violetta è veramente esistita: si chiamava in realtà Alphonsine Duplessis (1824-1847). Alphonsine era diventata una delle più celebri “cortigiane” del suo tempo: il suo mantenimento diventerà talmente costoso da non poter più essere possibile ad un solo uomo: si dice che sette importanti personaggi abbiano istituito una sorta di “società” nel 1842 per mantenerla: in casa di lei ci sarebbe stato un armadio con sette cassetti, dove ciascun “socio” poteva riporre i suoi “effetti personali”. Il suo tenore di vita era estremamente dispendioso e frenetico; secondo un suo biografo, lei stessa avrebbe stimato le sue necessità giornaliere a 500 franchi al giorno. Inoltre aveva il vizio del gioco (e di questo qualcosa “traspare” anche nelle versioni letterarie) e un figlio prontamente scaricato all’orfanotrofio e morto giovanissimo. La Duplessis morì a soli 23 anni, carica di debiti, per tisi.

Nel Febbraio 1852, durante un soggiorno a Parigi, Giuseppe Verdi assistette a una versione teatrale in cinque atti della Dame aux camélias, opera scritta da Alexander Dumas “fils” ispirata proprio al suo romanzo su Alphonsine Duplessis; fu un grandissimo successo, il dramma del momento. Verdi era già stato impressionato dal romanzo, ma grazie a questa versione teatrale ebbe un totale “colpo di fulmine” e decise quindi di realizzarne una propria intepretazione: la Traviata. La Prima rappresentazione dell’opera fu a Venezia, teatro la Fenice, il 6 marzo 1853.

Nel marzo 1852 il maestro stipulava il contratto con il teatro: il titolo dell’opera restò segreto e la stesura del libretto venne affidata a Francesco Maria Piave (1810 -1876) “storico” collaboratore del musicista.  Verdi invece si occuperà di fissare gli elementi fondamentali, drammatici e musicali di quello che sarà il primo atto dell’opera. Fu lui  a decidere che l’atto si sarebbe aperto con la «Cena in casa di Margherita» (è ancora il nome della donna in Dumas), in cui si svolgerà una conversazione accompagnata da «motivi d’orchestra»; indi ci sarà il «Brindisi del tenore» di cui è schizzata la melodia, che probabilmente il compositore aveva già immaginato mentre componeva “Rigoletto”. Viene poi riassunto il contenuto del dialogo tra Violetta e Alfredo, a proposito del quale Verdi non ha ancora deciso che si svolgerà al suono del valzer, ma che certo sfocerà in un «Duettino in cui saravvi una frase a ripetersi nell’aria», cioè il motivo cantato per la prima volta da Alfredo sulle parole «Di quell’amor ch’è palpito», e del recitativo di Violetta che introduce la sua aria «Ah, forse lui quest’anima», della quale è pure riportata la melodia in una forma ancora rozza (anch’essa era stata immaginata in epoca precedente). Infine Verdi schizza le parole del «tempo di mezzo» («Follie!.. Follie!..»), e otto battute di una «Cabaletta brillante» («Sempre libera degg’io») al termine della quale «si sente una voce che ripete una frase del Duettino che parla d’amore»; questo memorabile colpo di scena musicale, l’intervento da fuori della voce di Alfredo che canta «Amor è palpito» non ha corrispettivo in Dumas e non compare neppure nel libretto a stampa della Traviata; esso fu dunque immaginato da Verdi stesso fin dall’inizio.

La prima decisione fu dunque quella di eliminare il secondo atto di Dumas. In effetti, benché contenga molti importanti dettagli psicologici, dal punto di vista dell’azione in senso stretto esso non fa che sviluppare e prolungare le premesse del primo atto, e i fatti che contiene possono facilmente essere sottintesi nell’intervallo di tempo che trascorre tra il primo e il secondo atto dell’opera. L’azione si distribuisce quindi in una struttura quadripartita (con la seconda e terza sezione formanti insieme il secondo atto), secondo una schema classico:
atto I esposizione;
atto II, quadro I: peripezia;
atto II quadro II: catastrofe;
atto III: epilogo.

Questo schema contrappone i quadri dispari, luminosi e con una presenza in scena del coro e di vari personaggi, a quelli pari, dove la scena è più spoglia e vi presenziamo solo i tre personaggi centrali. E da questa scelta dipende quello che era una sorta di obbligo per le convenzioni melodrammatiche del tempo: collocare più o meno al centro di un’opera un grande finale, ovvero cioè una successione continuativa di pezzi culminante in un patetico concertato .
Il Finale coincide dunque con il secondo atto (quadro II), ed è costruito a partire dalla materia di Dumas (la scena del gioco, il battibecco tra Violetta e Alfredo, l’insulto), arricchita da brani che servono a creare il ‘colore’ (i cori di zingarelle e di mattadori). Il concertato conclusivo, che ha inizio con l’entrata di Germont padre «Di sprezzo degno se stesso rende», nasce senza sforzo prolungando il momento di emozione generale che segue all’insulto di Alfredo (Dumas fa calare precipitosamente il sipario sulla sfida di Varville; anche nell’opera il Barone sfida Alfredo, ma nel concertato la cosa passa quasi inosservata, e solo nel terzo atto si chiarisce che «la disfida ebbe luogo»).

Nella vicenda narrata da Dumas, il padre di Duval incontra Marguerite per convincerla a troncare la relazione con il figlio, motivo di scandalo e disonore per tutta la famiglia. E’ il duetto tra Germont e Violetta, nella prima parte del secondo atto: il brano formalmente più complesso dell’opera e una delle più alte riuscite drammatiche di Verdi, ma le decisioni circa la sua struttura e il suo contenuto dovettero essere abbastanza semplici, dato che esso riprende quasi inalterate le linee del testo di Dumas, a volte traducendolo letteralmente. Anche in questo caso l’immaginazione di Verdi era già al lavoro: di seguito allo schizzo del primo atto che abbiamo descritto sopra si trova l’appunto per un «Gran Duetto», una melodia con le parole: «O quando sarò morta», poche ma sufficienti per indirizzarci a quelle del dialogo di Dumas.

Le caratteristiche musicali di Traviata.  Nonostante non manchino alcune «cadute di stile» (come alcuni passaggi un po’ approssimativi, quali il valzer del primo atto, che non ricorda precisamente un salotto francese), Verdi compie qui una nuova sperimentazione del suono strumentale. Quasi tutta la partitura, salvo alcune scene d’insieme, è costruita sul suono «frusciante e lucente» degli archi. Già i preludi (bellissimo il primo, che evoca una atmosfera di doloroso ricordo e sembra nelle prime battute ricordare il pianto), ma anche le due grandi arie di Violetta sembrano collocarsi in spazi sonori ristretti, quasi intimistici. L’orchestra sottolinea inoltre in modo inedito e straordinario alcuni momenti particolarmente intensi e drammatici, come il celebre amami Alfredo del secondo atto. Il canto invece riflette toni e accenti colloquiali abbastanza insoliti. La protagonista poi è tale non per la «quantità» del suo canto, ma perché incarna la tragicità di una condizione umana in cui la ricacciano gli altri personaggi. Vi è quindi un perfetto equilibrio tra musica e dramma.

Nella Traviata le tinte fondamentali sono due, contrapposte come lo sono le due sfere di valori che rappresentano. La prima è quella mondana e sentimentale, realizzata con l’uso insistente, in molti pezzi, di un ritmo di valzer più o meno latente. Lo stesso ritmo può però scolorire verso una tinta più cupa e minacciosa, come nel motivo strumentale che accompagna ossessivamente la scena del gioco di carte: anche questo è un valzer, anzi è lo stesso motivo del valzer del primo atto, ma quanto mutato da quello. Ed ecco quindi la seconda tinta, che emerge a partire dalla metà dell’opera, dal duetto tra Violetta e Germont, e che prevale man mano che ci avviciniamo alla fine: funebre, solenne, austera. È il colore di «Morrò!.. la mia memoria!», di «Dammi tu forza, o cielo!..», del tragico preludio strumentale del terzo atto , di «Ma se tornando non m’hai salvata», di «Prendi, quest’è l’immagine».

Violetta è la grande protagonista del dramma, un personaggio «dinamico» che muta notevolmente nel corso del dramma. Il tipo ideale è il soprano lirico drammatico d’agilità: ciascun atto infatti richiede caratteristiche diverse.  Il suo canto è incluso in una architettura tradizionale e ne dipende , e nello stesso tempo se ne stacca per la brevità e per la pregnanza delle sue frasi musicali. Violetta partecipa, da principio, al proprio mondo, ne è addirittura una protagonista; nel primo atto è un personaggio civettuolo e frivolo: si richiede dunque una vocalità scattante e vivace, da soprano leggero (si veda la cabaletta sempre libera degg’io del primo atto); nel secondo atto, la donna innamorata che deve rinunciare al suo sogno richiede i mezzi del soprano lirico (amami Alfredo!) mentre nel terzo atto si toccano i dolenti accenti del soprano drammatico.

Più “tradizionali”, almeno in apparenza, i ruoli maschili. Alfredo è un tenore lirico, la cui voce dovrebbe avere un timbro ampio e squillante, passando da un canto più lirico e spiegato a uno più declamato e sillabico. Di carattere impetuoso e … “romantico” passa dall’esaltazione amorosa, alla rabbia della delusione, al dolore e chiaramente lo strumento vocale si deve adeguare a queste situazioni, ma il personaggio è in fondo più “convenzionale” di Violetta. Giorgio Germont è un baritono dal timbro grave e austero: il suo personaggio è quello del “padre nobile”, anche se sicuramente è la figura più meschina e ipocrita di tutta l’opera. Tuttavia anche il suo canto è sfumato e articolato e gli si addicono soprattutto mezzevoci e varietà di accenti.

Date
Dom 19 novembre, ore 19:00
Mar 21 novembre, ore 20:00
Gio 23 novembre, ore 20:00
Mar 28 novembre, ore 20:00
Gio 30 novembre, ore 20:00
Sab 2 dicembre, ore 15:30

Artisti
Direttore:
John Axelrod (19-21-23-28/11)
Sebastiano Rolli (30/11; 2/12)

Regia:
Alfredo Corno

Scene:
Angelo Sala

Costumi:
Alfredo Corno e Angelo Sala

Coreografia:
Lino Privitera

Luci:
Alessandro Tutini

Maestro del Coro:
Lorenzo Fratini

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino:
Violetta Valery
Francesca Dotto

Alfredo Germont
Matteo Lippi

Giorgio Germont
Sergio Vitale

Flora Bervoix
Ana Victória Pitts.

LA TRAMA DELL’OPERA: (fonte: http://www.operadifirenze.it/events/la-traviata-7/)

ATTO I
È in corso una festa nel salotto parigino della cortigiana Violetta Valery. Il Visconte Gastone de Letorièrs le presenta Alfredo Germont che, da tempo infatuato della padrona di casa, le dedica un brindisi. Mentre gli invitati si spostano nella sala da ballo, Violetta a causa di un improvviso malore è costretta a fermarsi. Alfredo ne approfitta per dichiararle tutto il suo amore; la donna, che in un primo momento lo invita a dimenticarla, gli dona un fiore pregandolo di riportarlo quando sarà appassito, ovvero l’indomani. Rimasta sola, riflette sull’insolito turbamento provocatole da Alfredo mentre da lontano la voce del giovane continua a ribadire il suo amore.

ATTO II
Da qualche mese i due innamorati vivono in campagna. Alfredo, informato dalla domestica Annina che Violetta per avere di che vivere sta vendendo tutti i suoi beni, corre a Parigi in cerca di una soluzione. Nel frattempo si presenta Giorgio Germont, padre del giovane: l’onore della famiglia è in pericolo e la condotta di Alfredo sta minacciando le nozze della sorella. Violetta accetta di sacrificarsi e lascia l’amato con la scusa di voler tornare alla sua vecchia vita. Alfredo, consolato dal padre, scopre un invito per una festa dall’amica Flora Bervoix e decide di parteciparvi. Qui compare Violetta assieme al barone Douphol, suo antico amante. Alfredo, di fronte a tutti, annuncia di voler saldare i suoi debiti con la donna e le getta il denaro appena vinto al tavolo da gioco. Violetta sviene e Alfredo, dopo essere stato rimproverato dal padre, esce tra il disprezzo generale.

ATTO III
Violetta giace nella sua camera da letto, vegliata da Annina. A questa il medico rivela che alla padrona, malata di tisi, non restano che poche ore di vita. Violetta, sconsolata, rilegge la lettera che le ha inviato Germont per avvisarla di aver confessato ogni cosa al figlio. Finalmente giunge Alfredo e i due, riabbraciandosi, sognano un futuro insieme lontano da Parigi; accorre anche Germont ma ormai è tardi e Violetta, dopo aver donato un suo ritratto all’amato, muore.

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