ATTENZIONE! Trattandosi di una recensione e una spiegazione di un film molto recente, essa CONTIENE SPOILER. Si consiglia quindi di vedere il film e poi consultare il seguente articolo

Scritto da David Desola e Pedro Rivero, diretto da Galder Gaztelu-Urrutia e distribuito dalla piattaforma Netflix, “Il Buco” o meglio “El Hoyo”, come viene chiamato nella lingua originale, è un thriller spagnolo crudo e violento, ma allo stesso tempo misterioso e ricco di significati e chiavi di lettura. Uscito su Netflix Italia a Marzo 2020, “El Hoyo”, già a fine 2019 aveva ottenuto premi molto ambiti come miglior film e miglior regista rivelazione al Sitges (Festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna) e come migliore sceneggiatura al Torino Film Festival.

Il film è girato quasi interamente all’interno di una struttura verticale chiamata “la fossa” e gestita da quella che nel film viene chiamata banalmente “l’amministrazione”. La struttura è suddivisa in piani e sviluppata totalmente sottoterra e per molti aspetti paragonabile alla nostra prigione. Ogni piano della struttura è una stanza quadrata che ospita due persone, ogni piano ha un lavandino funzionante e un enorme buco rettangolare al centro, dal quale passa ,una volta al giorno, un’enorme piattaforma piena di cibo che attraversa tutti piani. Su questa tavola si trova il piatto preferito di ogni ospite, quindi in teoria essa è in grado di sfamare tutti gli ospiti della struttura. Non è chiaro né quante persone ci siano all’interno della struttura né quanti piani la struttura abbia realmente (almeno fino alla fine quando quest’ultimo dettaglio viene svelato), ma sicuramente ci sono più di duecento piani. La tavola viene riempita di pietanze al piano zero, dove si trova una super squadra di cuochi professionisti, una volta riempita la tavola scende al piano uno dove i primi due “ospiti” mangiano, la tavola sosta al piano per qualche minuto e poi scende al piano successivo dove i successivi ospiti dovranno mangiare e così via. Si capisce bene che per i primi piani il meccanismo non crea alcun tipo di problema o disagio agli ospiti, ma procedendo coi piani, il cibo scarseggia sempre di più fino ad esaurire, portando spesso ad atti di cannibalismo o al suicidio. Bisogna tenere conto anche del fatto che dal secondo piano in poi le persone sono costrette a mangiare gli “avanzi” di chi sta sopra. 

Non basterebbe che ognuno prendesse un po’ di cibo mangiandolo poi con calma al piano? No, se casualmente del cibo rimanesse sul piano quando la tavola è scesa, la stanza dove è rimasto il cibo diventerà estremamente calda o estremamente fredda, uccidendo in entrambi i casi entrambi gli ospiti di quel piano. L’ultima regola non trascurabile è che ogni mese i due inquilini di ogni piano si svegliano in un piano differente da quello del mese precedente. Tutti gli ospiti della fossa, che non possono avere un’età inferiore ai sedici anni, inoltre sono là dentro per volontà loro, ma al fine di ottenere qualcosa una volta fuori: c’è chi l’ha scelta al posto del manicomio o del carcere per scontare la propria pena, chi si trova lì per ottenere le cure mediche di cui ha bisogno, chi ottiene determinati attestati eccetera. Ogni ospite può portare con sé un solo oggetto, molti infatti per difendersi portano un’arma, ma non il protagonista, egli infatti porta con sé un libro: “Don Chisciotte della Mancia”.

Questa è la situazione nella quale Goreng, il protagonista, interpretato da Iván Massagué Horta, deve sopravvivere per sei mesi, non del tutto al corrente di ciò che quest’ultima è realmente. 

Quello che all’apparenza sembra un ambiguo e anche un po’ insensato thriller in una prigione un po’ fuori dal comune, è in realtà una grande metafora (in chiave thriller/horror), della società capitalista, dei suoi squilibri e dei suoi effetti sull’uomo, o almeno, questo è il punto di vista degli autori. Il film infatti ha sicuramente più di una chiave di lettura, è ricco di simboli e metafore e alcune anche di ispirazione dantesca! Il suggerimento delle chiavi di lettura lo fornisce sicuramente Trimagasi, primo compagno di stanza di Goreng e interpretato da Zorion Eguileor. Egli infatti dice:”Bisogna fare sempre molta attenzione ai particolari” e già questo fa capire quanto attentamente vada guardato il film. Sempre Trimagasi poi descrivendo la fossa dice: “C’è chi sta sopra, chi sta sotto e chi cade”, questa frase oltre a descrivere a pieno quella che è la situazione effettiva della struttura, pone l’attenzione dello spettatore sul “chi cade”. Chi cade infatti non è solo chi si suicida gettandosi nel buco, ma è anche chi abbandona tutti i privilegi del proprio livello e posizionandosi sulla piattaforma che scende (la tavola del cibo), cerca di cambiare quella che è la situazione all’interno della struttura; proprio come fanno, o provano a fare Goreng, Miharu (interpretata da Alexandra Masangkay) e Baharat (interpretato da Emilio Buale Coka). 

Trimagasi però non suggerisce solo la chiave di lettura del film, se lo si guarda in un’ottica più dantesca assomiglia per certi aspetti a Virgilio, quindi come una sorta di guida per il protagonista e che durante il film, appare come un’anima nella testa di Goreng quasi sempre ignorante su ciò che sta accadendo. Un altro elemento che allude a Dante è sicuramente la struttura verticale, nella quale man mano che si scende, le persone soffrono di più a causa della struttura stessa: in Dante sono le pene dei gironi infernali, mentre nel film è la piattaforma che scende che via via ha sempre molto meno cibo. 

Altre allusioni a Dante le si può vedere anche attraverso il fatto che Goreng abbandoni per un periodo la sua vita, per intraprendere questa esperienza che lo purificherà (ad esempio facendolo smettere di fumare) e nel fatto che Goreng prendendo coraggio decida di scendere nei livelli successivi fino all’ultimo. Il protagonista però non ricorda solo Dante e questa volta la chiave di lettura cela dà l’oggetto che Goreng porta con sé: il Don Chisciotte. Oltre a ricordarlo vagamente per i tratti somatici, Goreng ricorda Don Chisciotte perché continuando a stare nella struttura la sua testa si riempie di allucinazioni contro le quali egli combatte, proprio come l’eroe di Cervantes con i mulini a vento. 

Ciò che più di tutto lascia interdetto lo spettatore è il misterioso finale. Per capire a pieno il finale bisogna fare molta attenzione a ciò che rappresenta metaforicamente la struttura. Essa infatti oltre ad alludere a Dante, simboleggia il modello di economia capitalista, nel quale troviamo una gerarchia verticale e un sistema che promette a tutti un tornaconto in cambio della propria adesione a questo modello. Goreng e Baharat abbandonando un livello estremamente privilegiato, decidono di scendere ai livelli inferiori salendo sopra la piattaforma, armati di pali ricavati dai propri letti, cercando di distribuire equamente il cibo su tutti i piani della struttura e cercando di lasciare intatto un piatto per far capire a chi sta di sopra che il sistema non funziona. Arrivati all’ultimo livello però i due trovano una bambina sicuramente minore dei sedici anni, l’ultima grande metafora del film. La bambina rappresenta la speranza, si trova nell’ultimo livello perché, proprio come nel vaso di Pandora, è l’ultima a manifestarsi e inoltre è viva e vegeta proprio perché la speranza è l’ultima a morire. Goreng e Baharat cedono la panna cotta alla bambina perché, oltre al fatto che la piccola è visibilmente affamata (trovandosi all’ultimo livellodove il cibo non arriva mai), capiscono che il messaggio da portare all’amministrazione non deve far parte del sistema, ma deve essere esterno ad esso e aver subito i mali di quest’ultimo. Goreng quindi posiziona la bambina sulla piattaforma che risalirà, come di consueto, fino al livello zero dove si trova l’amministrazione. Il film si chiude con Goreng che rimane nel buio, sotto l’ultimo livello e privo di forze, che si abbandona al suo destino capendo che il messaggio (la bambina), non ha bisogno di un messaggero e che ormai lui, commettendo omicidi e cannibalismi era entrato a far parte del marcio del sistema e che quindi con esso doveva perire. 

Un film molto complicato e che visto sotto una visione superficiale può non significare granché. Oltre ad essere un’accusa ad una società dove regna l’egoismo del singolo, il film, nonostante la sua cruda ed estremizzata realtà, vuole trasmettere il messaggio di cercare di dare la giusta importanza anche alle piccole cose, ai particolari, cercando di concentrarsi non solo su sé stessi, ma di pensare anche un po’ agli altri. Un insegnamento molto forte, soprattutto in questo periodo dove forse il film ha un impatto maggiore, essendoci interi stati bloccati in casa, con pochi contatti sociali; una condizione per certi aspetti paragonabile a quella dei personaggi del film. In un periodo dove un virus come il Covid-19 ha messo in ginocchio intere nazioni, proprio come in “El Hoyo”, l’egoismo del singolo può danneggiare la collettività, è quindi importante mettere davanti a esso un bene maggiore: quello della collettività, attraverso il buon senso e rispettando quelle che sono le norme stabilite.

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