Stefano Mutolo: Marchigiano di origine, ha avuto una formazione fiorentina: fondamentale l’esperienza al liceo classico Michelangelo. Proprio da qui nasce la sua passione per il cinema, e verso i 17 anni inizia a lavorare ai suoi primi lavori, tra documentari e cortometraggi. Quest’attività di gavetta l’ha accompagnato per anni, sostituendo un normale corso accademico. Aveva capito che prima ancora di imparare le tecniche per raccontare le storie del mondo doveva conoscere quelle stesse storie. Dopo l’esperienza pratica si è dato alle Scienze Politiche, Media e Giornalismo, iniziando con una triennale alla Cesare Alfieri. Successivamente si è interessato maggiormente ai campi della Comunicazione Strategica e Marketing, riuscendo a diventare un giornalista pubblicista. Solo a questo punto ha deciso di fare affidamento sull’università per scoprire mondi estranei a quello del cinema, per conoscere più realtà possibili che sarebbero poi diventate il contenuto delle sue storie. Ha continuato comunque a fare più esperienze possibili nell’ambito della produzione audio-visiva, sfornando videoclip, documentari e prodotti più commerciali. Per conoscere a pieno il mondo che adorava, Stefano ha deciso di vederlo sotto varie prospettive, dalla fotografia al montaggio, dalla regia alla produzione, dallo sceneggiatore al regista passando per l’attore.
Verso i 18-20 anni cominciano a nascere i suoi primi cortometraggi di finzione o documentari, che stavolta però avrebbe fatto conoscere mediante piccoli festival, che lo vedevano spesso come vincitore di premi. Così facendo si è fatto un’idea di cosa volesse dire fare il regista e il filmmaker, per cominciare a lavorare seriamente in una piccola azienda di famiglia nelle Marche, per tre anni. In questo periodo apprende molte delle cose che sa fare oggi, e si sente pronto per avviare una carriera professionale. Nel 2010 nasce quindi Berta Film.
COME SI È SVILUPPATA LA SUA AZIENDA, LA BERTA FILM?
“Ho costituito Berta Film nel 2010 come società di produzione di film. Col mio socio di allora ho iniziato a produrre cortometraggi e documentari, con un assetto più professionale e dei budget più che dignitosi, visto che nel frattempo avevo imparato sia come si produce sia come si trovano le risorse per produrre. Una volta realizzate queste prime produzioni mi sono trovato in mano film che sì erano piaciuti a dei festival a cui avevo partecipato, ma che non avevano trovato modo di diffondersi realmente. Per cui, non conoscendo il mondo della distribuzione, ho cominciato ad andare in prima persona ai festival di cinema internazionali con i nostri film, per cercare di piazzarli sul mercato. E ci sono riuscito. Nel frattempo in Italia (ma in generale in Europa) si è reso sempre più interessante il settore del documentario, che in questi ultimi 10-15 anni si è rivelato molto più ricco di possibilità, di ricerca e di scoperta di nuove forme di linguaggio rispetto al cinema di finzione, che invece per certi versi sembra essersi un po’ arenato, senza essere riuscito a trovare la capacità di rinnovarsi. Per il documentario questo è un vero e proprio “rinascimento”, e sta crescendo sia dal punto di vista economico (per quanto sia più piccolo del cinema di finzione) sia dal punto di vista dello storytelling, del linguaggio, della ricerca visiva etc.. Si ha una grande libertà, anche grazie al fatto che si hanno dei budget più piccoli, senza necessitare di grandi troupe per lavorare. Quindi, una volta scoperto che in Italia c’era questo grande vuoto, in cui pochissimi soggetti si occupavano della distribuzione di documentari, ho deciso di andarlo a occupare in parte io. L’associazione Berta Film è diventata infine una S.R.L., grazie anche alle opportunità di alcuni nuovi canali televisivi che stavano crescendo come cataloghi di documentari. Dal 2012 principalmente mi occupo al 90% di distribuzione e vendita internazionale di documenti italiani e stranieri. Ciò avviene a livello mondiale e in vari settori: canali televisivi, cinema, home-video, piattaforme di vario genere etc.. Ho smesso di fare produzione nel 2012, e sto ricominciando nell’ultimo anno. Finalmente abbiamo cominciato a consolidare quest’attività di distribuzione internazionale, proprio perché, diversamente da quanto molti potrebbero pensare, per un film è fondamentale che un distributore sia presente fin dalla fase embrionale del progetto. È essenziale che esso assista a tutto il suo sviluppo, in modo che poi sia pronto per entrare nel mercato più adatto a lui.”
COME MAI NON HA VOLUTO PORTARE AVANTI LA CARRIERA DEL REGISTA?
“Ho deciso di non proseguire la carriera del regista per due ragioni, principalmente. La prima è che in Italia è molto difficile intraprendere questa professione, perché è un’industria poco strutturata, e la carriera del regista richiede tempo e sacrifici per poter essere avviata, e non sempre è possibile. Ci sono le dovute eccezioni, alcuni ci riescono subito e altri trovano più difficoltà, ma mediamente ci vogliono molti anni per iniziare. Bisogna passare dal cortometraggio all’opera prima, poi all’opera seconda, e infine ottenere una carriera che ti permette di vivere. In Francia e in Germania, ad esempio, quest’industria garantisce molte più possibilità. E poi a una certa età, verso la fine dell’università, volendo mettere su famiglia, ho pensato di scegliere un mestiere all’interno del cinema che mi piacesse, ma che fosse più controllabile e meno instabile come quello del regista. Da qui la scelta di diventare un distributore, in modo tale da poter avere un’autonomia economica e poter badare anche alla famiglia, che per me è sempre stata una priorità. Molte persone decidono invece di fare il regista, carriera che diventa quasi alla stregua di una famiglia, perché fare un film è molto simile a fare un figlio, molto più simile di quanto non sembri.”
CHE TIPO DI DOCUMENTARI HA SVOLTO?
“Il documentario è molto diviso in generi, arte, cultura, cinema, pittura, teatro, attualità (i cosiddetti current affairs), sociali, da sala cinematografica etc.. Noi ci occupiamo di tutti questi generi, fatto salvo quello naturalistico, anche se adesso abbiamo il primo film di questo tipo. Tratta dei Butteri, i cowboy toscani, e si sta rivelando uno dei lavori più belli e di successo a cui abbiamo lavorato negli ultimi anni. Allo stesso modo, anche il mercato è a sua volta suddiviso in programmi, canali televisivi e festival che si occupano spesso di generi specifici. Per cui ci sono registi, produttori, distributori specializzati in documentari di scienze, sull’ecologia, storici e via dicendo. Noi in generale cerchiamo di variare il più possibile.”
IN COSA CONSISTE IL LAVORO DI DISTRIBUTORE?
“il mio è un ruolo che spesso viene trascurato, ma che in realtà è fondamentale, infatti il distributore fa da cerniera tra la produzione dei registi e il mercato dei canali di distribuzione, ovvero televisione, sale cinematografiche, editori home video. Il distributore è a contatto costante coi buyer, ovvero coloro che finanziano e sovvenzionano i film: può ricevere film già finiti, sui quali deve essere realizzata una strategia di prodotto, ovvero decidere in quali mercati e a quali enti è possibile vendere il film, suggerendo strategie per valorizzarne al meglio i contenuti, oppure può ricevere un progetto ancora non finalizzato per il quale deve cercare di capire cosa funziona e cosa no. Con il produttore stipula un contratto, chiamato mandato di distribuzione, grazie al quale il distributore può rappresentare il film in esclusiva per un certo tempo.”
CON CHI HA PIÙ A CHE FARE TRA GLI ADDETTI AI LAVORI CHE SI OCCUPANO DI UN FILM?
“Come distributore sono a contatto con produttori e società di produzione, ma anche con altri distributori. Facciamo un esempio: se un distributore Canadese non riesce a vendere un film in Italia, può accordarsi con un distributore italiano per essere aiutato a distribuire il film in Italia. Per i piccoli film spesso un produttore è anche regista e sceneggiatore, mentre per le grandi produzioni generalmente questo non accade.”
QUALI SCUOLE CONSIGLIA A CHI È APPASSIONATO DI PRODUZIONE? CONSIGLIEREBBE GLI STUDI CHE HA FATTO?
“Ci sono professionisti che si sono formati grazie alle scuole di cinema tra cui consiglio il centro sperimentale di cinematografia che ha tre sedi: a Roma per il cinema di finzione, a Palermo per i documentari e a Milano per la televisione. Nella nostra regione consiglio l’accademia di cinema Toscana a Lucca, che propone ai suoi studenti una formazione completa, e fa conoscere tutti i ruoli della cinematografia. Io però credo che la strada migliore, anche se è forse la più difficile, sia farsi una gavetta: ovvero lavorare nei set più disparati per toccare con mano il lavoro che si fa ed entrare in un ambiente di persone grazie al quale si può accedere direttamente al settore reale. Queste due strade però possono anche essere seguite parallelamente.”