“Siamo vicini al traguardo” è la frase sicuramente più utilizzata in ogni singolo programma delle nostre televisioni, ma, come si è visto per il problema sul ritardo dei vaccini, la tempesta è tutt’altro che finita, anche se ovviamente tutti di speriamo che la tanto agognata “svolta” sia iniziata.
Ciò nonostante ad oggi la situazione è tutt’altro che diversa rispetto ad esattamente un anno fa, certo, almeno per il momento, non abbiamo un lockdown nazionale, ma comunque certe dinamiche sono, anche giustamente, rimaste sempre le stesse.
Una su tutte quella della quarantena.
La prima fase della quarantena è la consapevolezza: si viene a sapere che per sbaglio una persona con cui si è stati a contatto, ad esempio un compagno di scuola o un collega di lavoro, risulta positivo al COVID-19 o ad una delle sue infinite varianti. Dopo aver ovviamente appurato lo stato di salute del soggetto in questione inizia lo stato di ansia: e se fossi positivo anche io? Cosa devo fare? Come mi devo comportare? Sono le domande più frequenti, ma niente paura in vostro soccorso arriverà una e-mail da chi di dovere con tutte le indicazioni precauzionali del caso….. Come come la mail vi è arrivata alle 20:00 ed entra in vigore dal giorno precedente? Vabbè ritenetevi fortunati poteva arrivare molto dopo.
Nei primi giorni di quarantena inizia la fase dell’operosità, ci si sente pieni di voglia di fare come per dare una risposta al virus e far vedere chi abbia l’ultima parola, e allora si inizia: colazione, smart working o dad a seconda dei casi, pranzo, 2 allenamenti a corpo libero, la preparazione della cena che inizia rigorosamente dalle 17:00 perché “tanto c’è tempo”, con pasta, schiacciata e pizza fatta in casa, chiamate virtuali con amici per non sentirsi soli e per raccontarsi l’entusiasmante giornata, e poi a letto alle 21:20 pronti per replicare la routine nel giorno seguente. O almeno così crediamo.
Il processo di operosità non dura più di uno o due giorni al massimo. Dal terzo giorno è l’apatia a farla da padrona, il divano diventa il nostro triste e comodo giaciglio, così avvolgente che non vale quasi la pena lasciarlo per andare a fare la seconda azione quotidiana più desiderata: mangiare. E per mangiare si intende qualsiasi cosa. Pacchi interi di biscotti, merendine, crackers, torte, patatine, pneumatici (ok forse così è un po’ troppo però rende l’idea). Una volta realizzato di rischiare il coma diabetico si decide di aspettare almeno fino alla cena per mangiare nuovamente. E mentre si aspetta la cena, in molti casi anche durante, si può sicuramente contare sulla compagnia del migliore amico, quello che non ti lascerà mai: il telefono! Se poi su quest’ultimo sono istallati anche Instagram e Netflix (cosa abbastanza scontata al giorno d’oggi) allora la visione del mondo esterno, già negata per via del virus, diventa solo un ricordo. “Guardo l’ultimo episodio e smetto”, ma nel mentre si sono fatte le 2 di notte e un’intera serie da 5 stagioni con 22 episodi l’una è stata portata a termine con successo.
Ma dopo 10 giorni su 14 di reclusione il richiamo del mondo esterno è troppo forte, quindi ci leviamo la nostra uniforme da detenuti (il pigiama), ci laviamo, ci vestiamo bene, ci mettiamo il profumo e ci pettiniamo; a rovinare l’atmosfera entra la mamma dicendo: “ma dove stai andando?” Allora lo sguardo del soggetto “impomatato” si fa incredulo quasi rabbioso “Come dove sto andando? A buttare via la spazzatura no? Perché non si vede?”.
La verità paradossale della quarantena è che si pensa di avere moltissimo tempo a disposizione per poter gestire gli impegni o il lavoro, ma di fatto ci si ritrova all’ora di cena in un batter d’occhio senza aver combinato niente di produttivo. Viviamo con la filosofia del “lo faccio dopo tanto ho tempo”, ma quando quel “dopo” arriva è ancora troppo presto per adempiere alle proprie mansioni, e allora si rimanda ancora ancora e ancora, fino a quando non ci si ritrova a pochi istanti prima della scadenza dell’impegno.
Fortunatamente la quarantena ha un periodo di tempo limitato, 14 giorni per l’esattezza, che separano la sfortunata vittima dalla libertà. Caso molto differente ovviamente se si è positivi al tampone, in tale circostanza infatti le possibilità di uscire dalla propria dimora prima delle vacanze estive sono veramente basse, visto che sono richiesti 2 tamponi negativi consecutivi prima di poter cantar vittoria.
Naturalmente la cosa più importante è essere asintomatici; è sicuramente meglio non saper come spendere le proprie noiose e monotone giornate, piuttosto che avere problemi di salute.
Sapere di essere positivi, anche se asintomatici, non migliora però le proprie preoccupazioni, infatti il continuo timore della manifestazione dei sintomi è sempre dietro l’angolo, si vive costantemente con il telefono di casa in mano, il numero 118 è quello inserito, il tasto della cornetta verde è pronto per essere schiacciato con l’indice destro, mentre sul sinistro è ormai permanente la presenza del saturimetro; al primo colpo di tosse o starnuto si è pronti per chiamare l’ambulanza. Proprio adesso che inizia la primavera, gli sfortunati individui che soffrono di allergia si sentono spacciati. Si dice che una volta usciti di prigione non si sia più gli stessi, ed infatti è proprio così; memori dell’esperienza da poco affrontata e per paura di doverla vivere nuovamente, non ci si sente al sicuro nemmeno a fare una passeggiata al parco: se si incrocia una persona ci si irrigidisce di colpo “O mio Dio, una persona, e ora che devo fare? se fosse positiva? non posso assolutamente passarle vicino, anche con la mascherina, meglio cambiare strada”.
La cosa che tutti speriamo è che questa realtà quotidiana si trasformi solo in un lontano ricordo, simbolo del fatto che questo maledetto virus sia stato definitivamente sconfitto, e che si sia quindi ritornati alla sana e vecchia normalità. Purtroppo ancora siamo lontani dal successo finale, ed è meglio ridere sugli stereotipi delle giornate di quarantena, piuttosto che pensare alla drammaticità della situazione; senza ovviamente con questo voler mancare di rispetto a tutti coloro che hanno pagato un prezzo molto più caro di alcuni giorni di isolamento. Una cosa però è certa, quando tutto questo sarà finito, saranno gli psicologi ad avere la coda fuori dai propri studi!!