Il giorno 22 dicembre 2016, nel Liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze, si è tenuta, in aula di Fisica Piccola, una vera e propria lezione su Dante da parte del professor Simone Marchesi. Questi ha avuto modo di studiare all’università di Pisa per poi trasferirsi negli USA in cerca di lavoro, dove ora è insegnate alla Princeton University ed ha una cattedra come dantista. Essendo vicine le vacanze natalizie, ha deciso di tornare per questo periodo in Italia, fermandosi però al nostro liceo dando modo ad alcuni ragazzi interessati di vedere un diverso modo di insegnare Dante nelle scuole. Essendo la Divina Commedia un testo scritto da un poeta italiano, si potrebbe essere portati a pensare che in una sede così diversa come l’America Dante venga trattato superficialmente. Se è così che la pensate, ciò che state per leggere vi sembrerà incredibile.
La lezione è cominciata con una breve introduzione alla università di Princeton:  il professore ha spiegato come egli faccia a rapportarsi con i diversi tipi di studenti che ogni anno mettono piede nella sua aula. Ci sono infatti ragazzi più ferrati sulla materia e con ampie conoscenze dantesche, e altri che potrebbe essere ugualmente qualificati ma con informazioni differenti o inferiori. Per evitare quindi che la classe si separi tra “coloro che sanno” e “coloro che non capiscono”, viene dato come compito per casa, alla fine dell’analisi di un canto, di trovare una parola che secondo loro riassume meglio il canto o che li ha colpiti di più. Così facendo si aprono successivamente ampi dibattiti in classe in cui ci sono scambi di opinioni e punti di vista tra gli studenti e il professore stesso. Passando poi alla Commedia vera e propria, (e presentandola ironicamente non come un testo scritto per noi, ma come una crisi di mezza età del povero signor Alighieri) il docente ha evidenziato come lo studio di essa sia fondamentale nella giovane età, poiché proprio in questo periodo si hanno a disposizione tre elementi fondamentali per la sua attenta analisi: Il tempo, insegnanti e un’atmosfera di classe. Il primo inteso come una porzione di tempo dedicato allo studio del testo, obbligatorio o meno; il secondo come l’occasione di avere qualcuno che possa fare da mediatore tra gli studenti e il sommo poeta; il terzo come un’occasione irripetibile perché, di fatto, lo è. Il  professor Marchesi si è voluto soffermare in particolar modo sui primi due aspetti, affermando che lo studio di Dante viene imposto a fin di bene e che in America non è reso obbligatorio, ma semplicemente i ragazzi interessati a tale autore si presentano a lezione perché vogliono conosce meglio la figura di Dante. Semplicemente, l’insegnante si propone di farsi “da tramite rispettando gli interessi degli altri”. Ci sono tre modi per affrontare questo tipo di studi: dedicare un anno intero alla comprensione di un’intera cantica; partecipare a un corso più veloce se si è laureandi; immergersi in un “calderone di letteratura antica composta da vari autori”. In ognuno di questi corsi, agli studenti vengono richieste tre cose: memorizzare (non inteso come impararsi a menadito ogni canto, basta ricordarsi una terzina per ognuno) per abituare la bocca alla fonazione italiana; comprendere come già nel primo canto ci siano già tutte le informazioni di cui si ha bisogno, e che il resto serve solo da  approfondimento; “One word lecture (Lettura Dantis monologica)”, in riferimento alla singola parola da individuare in ogni canto, come già si è esaminato prima.
Dopo questa introduzione più generale, si è passati al particolare, prendendo il V canto dell’inferno in analisi. Non smentendosi, il professore ha subito chiesto apertamente quale parola fosse venuta in mente agli studenti pensando al canto di Paolo e Francesca. Sono emersi i concetti di lussuria, amore e trascinamento. Coinvolgendo ogni  ragazzo con domande come “Perché secondo te ha detto lussuria?”, si è giunti alla conclusione che la prima cosa che ritroviamo in un canto dantesco è l’ordine morale, per poi passare a qualcosa di più specifico, come in questo caso i personaggi di Paolo e Francesca. L’amore dei due infatti di per sé non sarebbe stato origine di peccato, ma nel momento in cui questo si trasformò in qualcosa di più libidinoso, legato semplicemente ai corpi, la povera coppia guadagnò un posto in prima fila (o meglio, in primo cerchio!) nell’inferno.
Staccandosi per un momento dal canto in particolare, il professor Marchesi ha espresso la sua opinione secondo cui Dante andrebbe insegnato in lingua straniera, come appunto l’inglese, per facilitarne la parafrasi.
Tornando a Francesca,  prendendo in considerazione il celebre verso “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”, il professore ha rielaborato questa frase in un contesto reale, fingendo una dichiarazione a uno dei ragazzi presenti. Questo per dimostrare che l’amore dei due disgraziati non giustifica del tutto la loro presenza negli inferi. Sono entrambi colpevoli, e quella di Francesca è una “retorica di discolpa”. Inoltre, si è messo in discussione il termine “fia” del verso “questi, che mai da me non fia diviso”, come se questo termine fosse inteso come una condanna eterna, “sono condannata a stare con lui per sempre”. Accendendo poi i riflettori sulla silenziosa figura di Paolo, il professore ha fatto notare come in altri canti della commedia ci siano coppie di personaggi simili a Paolo e Francesca. Per esempio il Conte Ugolino e Ruggeri o Ulisse e Diomede. In tutti e tre i casi, infatti, abbiamo un personaggio che parla e un altro che rimane muto. Questo personaggio serve al lettore per immedesimarsi nel testo, letteralmente “mettere la testa nel testo”. Dante non vuole che si impari il testo, ma che noi ne facciamo parte.
“Colui che fece per viltade il gran rifiuto”, questa è la frase intorno alla quale il professor Marchesi ha voluto concentrare l’attenzione dei presenti in aula. Con questo verso, Dante si riferisce al primo peccatore che egli abbia mai visto, un ignavo. A chi si riferisca realmente, però, è ancora oggetto della critica. Celestino V, che lasciò il soglio pontificio permettendo a Bonifacio VIII di diventare papa, o Ponzio Pilato, proconsole che lasciò la scelta di crocifiggere Cristo agli ebrei? Sono queste le due correnti di pensiero attorno a questa misteriosa figura. Ma a seconda di come la si vuole intendere, Dante potrà apparirci come un anti-papale o un filo-papale. E non solo, proprio nella descrizione di quelli  che non hanno mai fatto una scelta in vita loro rimanendo neutri, Dante ci impone di prendere una decisione.  Poiché, se non scegliessimo, saremmo esattamente come loro.  E’ così che il lettore diventa attivo.
“Agli studenti la Divina Commedia piace. Piace perché e bella. Ed è bella perché c’è tutto”. Citando così una dantista che il professore ha conosciuto in un’altra sede, egli ha espresso tutto il suo dissenso nei confronti di questa frase. “E’ proprio così che gli studenti perdono interesse nello studio di Dante”, afferma “Simone”. In effetti sarebbe spaventoso avvicinarsi a un testo individuandolo come un “deposito di informazioni”. Il professor Marchesi individua come soluzione al problema la suddivisione dei campi di interesse. Ognuno, a seconda della propria inclinazione, approfondirà in ogni canto una sezione culturale particolare. Colui che è interessato alla biologia descriverà agli altri cosa sono esattamente la lonza, il leone e la lupa; colui che si intende di lingue esporrà i vari riferimenti a dialetti e simili; e così via. Inoltre, a ogni lezione, ogni studente deve presentarsi non solo con una parola che riassuma il canto secondo lui, ma anche con una domanda che metta in difficoltà professore e coetanei. E’ con questo espediente che la classe riesce a comprendere al meglio che cosa il signor Alighieri cerchi di trasmetterci con un suo canto.
Tornando a Francesca, ella si esprime dicendo che “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”. Infatti, originariamente, Galeotto fu colui che favorì l’amore tra Lancillotto e Ginevra. Allo stesso modo, ora il romanzo ha favorito l’amore tra Paolo e Francesca, conducendoli nel peccato. Noi però dobbiamo stare attenti a non fare lo stesso. Non è difficile infatti innamorarsi di figure come Francesca, nel piazzare trappole etiche come questa Dante è assai abile. Ma è grazie ai suoi svenimenti, a questi “scollamenti” che il sommo poeta ci salva da questi tranelli.
Inoltre, se i due quel giorno non avessero smesso di leggere il romanzo e avessero visto come proseguiva il racconto, probabilmente ora non sarebbero nell’inferno a raccontare tutto ciò a Dante. L’espressione “Quel giorno più non vi leggemmo avante” è una ripresa dalle Confessioni di S. Agostino. Nella sua autobiografia Agostino racconta di come un giorno, in un giardino di Milano, raggiunto il fondo della sua disperazione e non sapendo dove andare a sbattere la testa, sentì nel giardino vicino una persona che ripeteva “Leggi avanti! Leggi avanti!”. Sentendosi preso in causa, corse a riprendere l’ultimo libro che stava leggendo. Aprendolo in maniera del tutto casuale, trovò una pagina che sembrava descriverlo, e fu allora che egli si sentì chiamato da Dio. Poi, chiudendo il libro, nella sua autobiografia afferma che quel giorno non proseguì la lettura, poiché non ne aveva più bisogno.
Il professor. Simone Marchesi conclude la conferenza affermando che il lavoro di comprensione della Divina Commedia non è solo lo solo fatto dai professori, ma anche dagli studenti, e questo tramite le domande “bastarde”. Studiare Dante in America non è come studiarlo in Italia, ma anzi, probabilmente noi italiani dovremmo anche imparare qualcosa dagli statunitensi.
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