Lo scorso 15 febbraio è uscita la notizia di Sora (“cielo” in giapponese), piattaforma sviluppata dal laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale OpenAI, rivoluzionaria nella creazione di video. È possibile trovare l’articolo di presentazione della piattaforma sul sito ufficiale della compagnia https://openai.com/sora . Per ora è in grado di sviluppare, a partire da una richiesta testuale, filmati assai realistici di massimo un minuto, con l’obiettivo di aiutare a studiare la realtà tramite simulazioni di movimento. Riesce a ricostruire più inquadrature e scenari anche surreali (come una gara ciclistica tra creature acquatiche!), rendere in modo credibile le emozioni dei personaggi, forte della sua profonda comprensione testuale.

Le clip, svariate per soggetto, non sempre sono coerenti alla realtà, perché possono apparire illogiche o stravaganti (ad esempio, un biscotto, una volta morso, può poi risultare integro, e possono presentarsi cavalli a due zampe …).

Per ora i fruitori sono artisti visuali e filmmaker. Prima che Sora venga resa disponibile al grande pubblico, OpenAI deve sviluppare sistemi che garantiscano la sicurezza, di distinguere un video reale da uno generato da intelligenza artificiale e impediscano l’abuso, di fomentare attraverso l’applicazione la disinformazione, la discriminazione verso certe “categorie” di persone, la circolazione di video violenti o pornografici, basandosi l’IA sull’imitazione di contenuti in rete anche di tale risma. Servono poi norme per l’uso di contenuti multimediali coperti da copyright: come gestire l’attribuzione dei diritti?

La tecnologia che permette lo sviluppo di Sora è l’avanzata transformer architecture, analoga a quella delle piattaforme di OpenAI ChatGPT, che ha rivoluzionato il rapporto con la comunicazione testuale, e Dall-E per la creazione di immagini. Questa “allena” le macchine intelligenti al loro scopo fornendo massive quantità di dati da processare e rielaborare. Lo scopo ultimo di tutto ciò? AGI, acronimo di Artificial General Intelligence, ovvero la capacità, ormai non più solo fantascientifica, di macchine intelligenti senzienti e dotate di coscienza, ovvero senza più alcuna prerogativa da invidiare al genere umano.

Sebbene da decenni il progresso del cinema rimodelli continuamente le prerogative della cinematografia, dalla regia agli attori, le questioni che adesso Sora pone sono radicali e svariate, si collegano al conformismo opportunistico onnipresente ed opprimente: le approfondiamo con Eugenio Rigacci, che ha gentilmente concesso la seguente intervista.

Prima è però doveroso presentarlo: classe 1975, inizia come collaboratore teatrale e aiuto regista; dal 2014 è regista in pubblicità, serie televisive e film. Tra i numerosi lavori che ha collaborato a realizzare, si ricordano ad esempio il documentario Lettere dalla Palestina (Luna Rossa Cinematografica, 2001), la serie Rocco Schiavone2 (CROSS, 2017) e il film Cetto c’è (WILDSIDE, 2019). Per una presentazione più completa, consultare il sito https://www.scena1.it/eugenio-rigacci/ .

Perché ha scelto questo mestiere?

“Già da bambino avevo la passione per la cinematografia e l’attitudine per il mestiere, e riuscire in ciò che ci piace è gratificante.”

Come è legata l’apparenza fisica alla scelta dei personaggi sul set nella storia del cinema e come si declina ciò nell’IA?

“Il canone estetico, o meglio l’immaginario, è in continua evoluzione, e l’IA crea immagini ad esso coerenti: ad esempio, Sergio Leoni ha inventato il Western dell’immaginario collettivo. Ma l’IA crea anche nuovi estetismi, andando oltre il verosimile, nonostante proponga idee ancora familiari ed acerbe per imporsi come nuovi modelli.”

Cosa pensa dell’ingresso dell’IA nel mondo del cinema e dell’arte in generale? Le elaborazioni dell’IA possono insomma avere pregio artistico?

“L’IA può essere intesa in due modi: come strumento efficiente e conveniente di supporto alla produzione, o come rimpiazzo della manodopera umana, e nessuno se ne è abbastanza reso conto, nel mondo del cinema, come anche in quello del giornalismo e del trasporto. Nell’ambito della regia, il supporto al lavoro potrebbe arrivare nella proposta di immagini tra cui il regista o il costumista sceglie. Diverso sarebbe sostituire il processo artistico chiedendo alla macchina di realizzare in toto un film con caratteristiche selezionate. Ma l’Arte è definita come qualsiasi attività umana a testimonianza di talento e intelletto, catartica secondo Jung: insomma, è esclusivamente umana e deriva dalla rielaborazione di esperienze vissute con i sensi, di cui l’IA è priva. Quindi è necessario coniare nuove parole per indicare le rielaborazioni di una macchina, che costituiscono del resto un nuovo mondo.”

Che ripercussioni ha l’ingresso dell’IA nel mondo del cinema e della società in generale? C’è insomma qualche conseguenza positiva in quella che potrebbe sembrare la democratizzazione della regia? O pensa che piuttosto andrà a creare un danno alla creatività dell’artista a favore di un qualche monopensiero?

“Da 20 anni circa, con la diffusione delle tecnologie digitali, è possibile che ognuno diventi un “regista”, mentre prima era una possibilità esclusiva dei professionisti. Le capacità crescono e si diffondono, come le potenzialità offerte dalle tecnologie per rimuovere gli ostacoli posti alla fantasia dalla realtà materiale. Ma nonostante i grandi mercati della produzione in serie abbiano conquistato la maggior parte dei consumatori, continuiamo ad attribuire maggior valore ai prodotti di artigianato. Analogamente, nel cinema ci sarà una vasta produzione seriale ad opera dell’IA, una di qualità artistica dei professionisti. Rimarranno i grandi produttori a controllare il mercato, con guadagni ingenti ma costretti ad abbattere continuamente i costi, per la legge della domanda e dell’offerta e per il problema della distribuzione del reddito, rinnovato dalla tecnologia: se la manodopera non serve più, a guadagnare sarà solo chi investe in queste tecnologie, e servirà a tutti un’equa distribuzione dei guadagni da parte dei produttori. Ma mentre l’artigiano ha sempre prodotto quando sicuro di poter vendere tutto ciò che gli costa, il capitalista rischia la sovrapproduzione.

L’app Sora genera per ora brevi clip, ma non è difficile immaginare che da queste pezzature di video potranno svilupparsi film coerenti e complessi. Lo sviluppo dell’IA infatti è analogo nelle varie branche in cui si realizza – pensiamo ad esempio al progresso di ChatGTP per il parlato. In ambito cinematografico, ciò mette ulteriormente in discussione il valore di testimonianza che ha l’immagine: un’agevolazione nella creazione di fake news. Ma d’altra parte potrebbe essere una liberazione dal timore di essere continuamente osservati: nessuna immagine proposta avrebbe valore in concreto.”

Dove vira oggi il mercato della produzione cinematografica e perché?

“Il cinema segue le mode: oggi si assiste a mio avviso a un ritorno dell’horror come negli anni ’80, mentre i supereroi hanno esaurito la loro forza di coinvolgimento. Ma è un continuo virare, si gira intorno a se stessi e ci si butta a capofitto in ciò che sembra fonte di guadagno sicuro. Così anche l’estetica delle persone è fortemente omologata. È cioè un periodo storico di ristagno e conformismo, cui però seguirà l’innovazione. È un momento di transizione, in cui quel che si può dire sembra già detto, ma che invece pone le basi per un passo avanti. Le idee dell’immaginario collettivo stanno maturando per poi manifestarsi: i giovani oggi hanno l’opportunità di pensare il futuro.”

In quanto regista, cosa auspica per il mondo del cinema e il suo rapporto con la società, date le circostanze reali?

“Fermo restando che bisogna sempre fare i conti con il progresso tecnologico, auspico che rimanga la mediazione del professionista tra pubblico e prodotto. Mi spaventa che la tecnologia nelle mani di un qualunque utente possa sostituire il professionista, perché ci sono voluti decenni per creare le professionalità: si impara a fare cinema come un mestiere delle botteghe rinascimentali, e se si perde la pratica, sarà assai difficile recuperarla. Inoltre, una tecnologia onnipotente non garantisce libertà, specie nel processo artistico: castra l’ingegno che contraddistingue l’artista brillante nel momento in cui la realtà gli pone degli ostacoli, che infine permette di superarli.”

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