Nella storia del pensiero occidentale, sono molti i temi affrontati dai più disparati filosofi: la ragione, la metafisica, la politica, la società, la morale e l’inconscio, giusto per citarne alcuni. E altrettanti sono i nomi che si sono occupati di questi studi: da Platone a Freud, passando per Sant’Agostino, Cartesio, Kant, Hegel e tanti altri. Ma uno, in particolare, sembra non lasciare alcuna via di scampo nella sua filosofia: Arthur Schopenhauer. Portavoce di un pensiero rigorosamente pessimista, egli ha esposto nelle sue opere scritte le sue opinioni in merito al dualismo fenomeno-noumeo, al rapporto tra gli esseri umani e alla radice noumenico-metafisica del mondo: la volontà di vivere. Un principio eterno, incausato e cieco, che non investe solo noi esseri umani, ma tutto il creato, dal verme all’elefante. L’uomo tuttavia risulta essere una figura “privilegiata” rispetto alle altre, poiché egli è consapevole di questa sua volontà, o meglio, di questo suo desiderio. Il suo apparato riproduttore, ad esempio, è manifestazione della sua volontà/desiderio di riprodursi. Ma dove sta l’inghippo, secondo il filosofo? L’inghippo risiede in una semplice deduzione logica: l’uomo è la rappresentazione consapevole di questo desiderio; ma desiderare, fin dai tempi di Platone, significa avere una mancanza; e non avere qualcosa significa soffrire della sua mancanza, ovvero provare dolore. Pertanto, l’uomo può, nel corso della sua vita, cercare di soddisfare ogni sua richiesta, ogni sua mancanza. Ma esso non riuscirà mai a sentirsi totalmente appagato, poiché per ogni desiderio soddisfatto ne nasceranno altri cento da quietare. L’appagamento è quindi avaro, e un ipotetico appagamento finale è una mera illusione. Nessun oggetto del volere può dare, quando conseguito, un appagamento durevole. Pertanto, l’uomo è destinato a vivere nel dolore, o al massimo, a volte, nella noia. Ebbene, è proprio su questo punto della filosofia del pessimista tedesco che verte il nostro articolo.

Sei mesi fa, nel dicembre del 2017, Nicola Palmieri, più conosciuto su Youtube come Redez del duo “Quei Due sul Server”, pubblicava il suo libro autobiografico “Ho sbagliato più di te”. Una biografia particolare, in quanto non si limita a raccontare alcuni episodi della sua vita, ma fornisce consigli al lettore su come agire di fronte a determinate situazioni. In pratica, un manuale di consigli e riflessioni: Nicola presenta infatti alcune delle sue esperienze personali in modo schietto, invitando chi legge a pensare costantemente alle cose più banali, a rimuginare su certe azioni e su certe mentalità. Il suo obbiettivo è aiutarci a evitare di commettere i suoi stessi errori, ponendo la sua vita come esempio pratico. Il tutto condito, coerentemente col suo stile, con un pizzico di ironia (proponendo a volte una comicità simile al sentimento del contrario, per dirlo in termini pirandelliani). In particolare, nel capitolo “Se ci credi provaci”, egli afferma:

Oggi, anche se dopo tanto, posso dire di essere soddisfatto di quello che ho fatto e di dove sono. E non credere a quelli che dicono di non fermarti mai perché non si è mai arrivati… cazzo, fermati!

Fermati e manda a fanculo tutti quanti.

Guardati intorno e crogiolati di quello che hai, che hai fatto, che hai creato. Che sia un disegno, un programma, una canzone, una tavola ben apparecchiata, un gioco finito, un letto ben rifatto o un compito ben fatto.

Fermati.

Osserva.

Goditelo.

Riparti.

Perché non si smette mai di imparare, non si smette mai di crescere, ma, fanculo, le cose che fai, goditele. Non darti tempo, goditele e basta.

Le hai fatte tu, devi esserne felice ed orgoglioso.

Prendilo come un mantra. Fai tutto al massimo delle tue forze e non correre sempre, a volte fermati ad ammirare quello che fai, perché è stupendo anche solo per il fatto che sia stato tu a crearlo.

Qual è il punto?

Il punto è che dovremmo dare importanza a ogni traguardo raggiunto, come sostiene Nicola Palmieri. La vita è fatta costantemente di desideri che vanno appagati o di problemi che vanno risolti, ma non per questo dobbiamo addolorarci pensando che non finiremo mai di soddisfarci o di trovare soluzioni, come afferma Schopenhauer. Dobbiamo porci degli obbiettivi, sforzarci di raggiungerli, coronarli, goderci la vittoria e poi trovare un altro obbiettivo. Che sia l’aver presto un buon voto, aver risparmiato a sufficienza da permettersi una vacanza nella propria meta dei sogni, aver finito una partita ad un gioco, non importa: l’importante è godersi i proprio traguardi, qualunque sia la loro natura. In fondo, a pensarci bene, anche desiderare può essere uno stimolo. Non fonte di dolore per la mancanza di qualcosa, ma sprone a riempire un vuoto, materiale o spirituale che sia. Così come dobbiamo (dovremmo!) essere felici di ciò che già abbiamo, o ciò che abbiamo già conseguito, allo stesso modo dobbiamo pensare a ciò che raggiungeremo, alle vette che scaleremo, con un sorriso beffardo rivolto verso il futuro. Se poi non riusciremo ad appagare una nostra mancanza, non importa. Ce ne sono altre novantanove da poter soddisfare, come diceva Arthur Schopenhauer. Nicola Palmieri non sarà un intellettuale o un filosofo, ma la sua posizione ottimista nei confronti della vita cozza con quella schopenhaueriana in modo dirompente. Sta a noi scegliere che corrente seguire e, forse, quella del noto youtuber, non è poi così infondata.

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