La miccia collegata all’enorme ordigno medio orientale si è inevitabilmente accesa di nuovo e al sesto giorno di quella che è a tutti gli effetti una guerra Israele sembra non voler togliere il piede dall’acceleratore. Stavolta è stata bombardata la Torre dei Media palestinesi a Gaza City, che ospitava gli uffici di Al Jazeera e Associated Press, rispettivamente una rete televisiva di spicco e una nota agenzia di stampa internazionale. Da brividi i video del palazzo di ben 15 piani che viene raso al suolo in pochi istanti. Il raid missilistico è solo l’ultimo di una serie di botta e risposta senza esclusione di colpi che va avanti da quasi una settimana tra lo Stato di Israele e l’organizzazione palestinese paramilitare di Hamas che controlla di fatto il territorio della Striscia di Gaza, nonostante sulla carta sia un’occupazione Israeliana. La notte precedente, infatti, Hamas ha rivendicato il lancio di ben due migliaia di razzi verso la zona centrale e meridionale di Israele, che sono stati però tolti di mezzo dall’efficientissimo sistema di difesa Iron Dome.

Mezze verità nascosta tra parole e macerie

Impossibile creare un giudizio critico sulle ragioni dell’attacco senza aver sentito entrambe le campane, un concetto che si può applicare all’intero conflitto palestinese che va avanti da ormai più di un secolo. Infatti, le forze di difesa israeliane, contraddistinte dall’acronimo IDF, hanno dichiarato di aver scelto come bersaglio l’edificio accusando Hamas di adottare un subdolo stratagemma, che consiste nel nascondere soldati e risorse belliche “alla luce del sole”, ovvero in luoghi come la Torre dei Media o nei quartieri residenziali, col fine di usare i civili come scudi umani. Il premieBenjamin Netanyahu ha inoltre dichiarato che Israele “fa tutto il possibile per evitare di colpire persone non coinvolte. La prova è che le torri, al cui interno c’erano obiettivi terroristici sono state sgomberate dalle persone non coinvolte.”; in effetti sembra essere stata adottato il sistema di preavviso militarmente conosciuto come “roof knocking” che consiste nel lancio di un missile sul tetto del bersaglio designato con l’obiettivo di ridurre i danni al minimo. Dall’altra parte però ci sono giornalisti e dipendenti sconvolti di quella che era una struttura che racchiudeva circa 60 uffici. Il CEO di Associated Press, Gary Pruitt pensa che dietro all’attacco ci sia di più e che sia nient’altro che il simbolo di una strategia militare senza scrupoli e definendo l’attacco missilistico “come un chiaro atto per impedire ai giornalisti di svolgere il loro sacro dovere di informare il mondo. Vuol dire mettere a tacere i media e nascondere la carneficina e la sofferenza indicibile della popolazione di Gaza.”

E adesso che succede?

Sembra che nessuno voglia mollare l’osso. Il leader israeliano ha confermato che lo scontro durerà ancora pochi giorni, il tempo che è strettamente necessario, definendo l’abbattimento della Torre come quanto di più giusto e morale e sottolineando il fatto che il fuoco è stato aperto per la prima volta da Hamas lo scorso lunedì, giustificando le proprie azioni classificandole come legittima difesa. Neanche Gaza dà segni di ripensamento e infatti il portavoce militare di Hamas, Abu Obeida, rincara la dose con un’inquietante minaccia nei confronti della capitale dello Stato di israele: “Dopo il bombardamento di un edificio civile a Gaza, i residenti di Tel Aviv e del centro d’Israele devono stare attenti.”; insomma, la situazione è in caduta libera e attacco dopo attacco non sono solo vittime e feriti ad aumentare, ma anche gli sfollati che secondo l’Unicef a Gaza sono più di 10 mila, per la maggior parte bambini rimasti senza una casa.

L’ONU vuole prendere provvedimenti sulla questione e il protagonista della mediazione tra le due parti è sicuramente Joe Biden, presidente degli USA: gli Stati Uniti sulla faccenda vengono spesso criticati per la loro parzialità decisamente tendente verso Israele, a causa di importanti interessi economici in gioco, ma questa volta sembrerebbe che l’obiettivo sia nient’altro che la pace. Biden, infatti, durante la prima telefonata del suo mandato con il leader palestinese Abu Mazen, ha evidenziato il fatto che l’America sta lavorando incessantemente per la “soluzione dei due Stati” e condannando ogni azione che possa privilegiare solo una delle due parti.

Sfumature di grigio

Chi ha ragione e chi ha torto? Da che parte pende la bilancia della giustizia? Chi ha il diritto di fare ciò che fa e chi, invece, è il mostro di questa storia? Quello che sembra scaturire dalla sventagliata incessante di notizie che si susseguono in questi giorni è che, in realtà, la risposta a questi quesiti sia che sono proprio questo tipo di domande ad essere profondamente sbagliate. Il conflitto ha infatti suscitato un grande interesse nel web e pare che schierarsi da una parte o dall’altra sia un semplice simbolo per dimostrare il fatto di essere persone informate, o che la propria opinione valga più di quella degli altri in quanto inequivocabilmente giusta. Assolutamente corretto oltre che doveroso dare forma ad un proprio giudizio critico combattendo l’indifferenza, ma vivere la guerra come lo spettatore di un film che in base a quale sia il proprio personaggio preferito ci si schiera da una parte o dall’altra, perché il protagonista ha sempre ragione e l’antagonista ha sempre torto, è un atteggiamento piuttosto superficiale. Il mondo, purtroppo o per fortuna, non gira in questo modo ed è davvero difficile trovare al suo interno uno scontro unilaterale tra bene e male, bianco e nero. Ciò che è davvero sbagliato è contare con l’abaco chi ha più vittime e quindi più ragione rispetto all’altro, trasformando le vite delle persone in unità di misura. La grande colpevole di questa guerra è la guerra stessa, un cane ostinato che si morde la coda, una catena d’odio che giorno dopo giorno aggiunge un anello al suo ciclo infinito che sia per ragioni religiose, economiche o razziali. 

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