30 anni fa alle 7:40 del mattino moriva l’imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia per essersi opposto al famigerato “Pizzo” e al Racket delle estorsioni.

Ma chi era Libero Grassi? 

I suoi genitori scelsero il suo nome in onore del sacrificio di Giacomo Matteotti, politico sequestrato e ucciso dai fascisti. Nato a Catania nel 1924, Libero si trasferì poi a Palermo dove cominciò con il padre l’attività di commerciante. Fondò poi la Sigma, un’azienda di produzione di pigiameria maschile e nel 1972 si candidò alle elezioni provinciali anche se senza successo. Egli era un uomo tutto d’un pezzo che credeva fermamente negli ideali di giustizia, proprio per questo spese la sua vita nella lotta contro la mafia. A lui non piaceva essere visto come un eroe, infatti quando per le strade lo chiamavano “Manager Coraggio”, gli occhi dell’imprenditore si riempivano di ironia e sarcasmo: “Non mi sento un Don Chisciotte. Non sono nemmeno un moralista né un apostolo. Voglio soltanto andare avanti per la mia strada. Sì, non ho pagato e non pagherò mai il Pizzo ai mafiosi, perché da 40 anni faccio il mercante. E un mercante non affida ad altri la sua merce”.

Nonostante le ripetute minacce che riceveva via telefonica non si è mai lasciato intimorire e il 10 gennaio 1991 inviò una lettera al Giornale di Sicilia che recitava così: “Caro estortore, volevo avvertire il nostro Ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”.

Con questa lettera egli manifestava tutto il suo onore e la sua volontà d’animo nel combattere la mafia, la stessa caparbietà spenta da 4 colpi di calibro 38. Essa fu una sorta di pubblica denuncia che aprì gli occhi ad una città abituata a sopportare in silenzio e donò speranza a tutti gli imprenditori: da qui cominciò la ribellione delle vittime del “Pizzo” di Cosa nostra. Il 29 agosto 1991 Grassi fu ucciso a colpi di pistola da dei mandanti di Cosa Nostra in via Alfieri a Palermo, 7 mesi dopo la pubblicazione di queste sue dichiarazioni lasciando la moglie Pina ed i 2 figli Davide e Alice, che in un mare di rabbia e desolazione accusarono lo stato: “Un uomo mandato al macello dallo stato, abbandonato, dopo gli applausi e i complimenti per l’alto senso civico delle sue denunce. Lo sapevano tutti che sarebbe finita così. Lui per primo”. 

Dopo l’accaduto, la famiglia di Grassi passò un vero inferno, ma riuscì a lottare e a portare avanti e il lavoro da lui iniziato. Qualche mese dopo la sua morte fu proclamato il decreto della legge anti-racket 172, con l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime. Inoltre l’anno scorso a Palermo all’ora di uccisione dell’imprenditore, la figlia Alice e il fratello Davide hanno spruzzato con la bomboletta spray di colore rosso il luogo in cui fu ucciso il padre, in via Alfieri. Ed è stato affisso il cartello, scritto a mano, che recita: «Il 29 agosto 1991 qui è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti, dall’assenza dello Stato». 

Questa è la storia di un personaggio che stava scomodo a molti e che ha sempre remato contro corrente, che ancora oggi viene ricordato e soprattutto onorato. Questo giorno sarà anche un momento per interrogarsi su cosa sia realmente rimasto dell’esempio dato da Libero Grassi, su come diversi commercianti in questi anni si siano liberati da qualsiasi forma di taglieggiamento, ma anche sul perché ci sia ancora gente che si sottomette e paga il “Pizzo” alla mafia.

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