Durante questi ultimi due anni i social, i quotidiani online e i telegiornali sono stati il nostro principale mezzo per apprendere ciò che stava accadendo intorno a noi e per informarci sulle misure di prevenzione, sul numero di contagi, sulle modalità di ricovero e vaccinazione. I social media ci hanno permesso di colmare la mancanza di amici e parenti tramite un contatto virtuale ma, soprattutto per la componente più giovane, hanno rappresentato un salvagente durante i mesi del lockdown facendoci sentire parte di una comunità nella rete. Si è verificato, infatti, un incremento negli utenti dei social media, sia nei più giovani che nei più anziani.

Secondo il rapporto sulla comunicazione “I media dopo la pandemia della fondazione Censis”, nella fascia dei più anziani è avvenuto un aumento degli utenti di piattaforme online dell’11,2% e, in generale, di internet del 9,4%. Il 76% della popolazione italiana (soprattutto i più anziani) ha cercato informazione sulla pandemia ascoltando telegiornali, quotidiani e radio, il 52% si sono appoggiati ai siti online della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore della Sanità, del Ministero della Salute e dell’Asl. Invece il 30%, rappresentato dai più giovani, si è informato sui social media, in particolare Facebook, Instagram e Twitter. I social media hanno giocato un ruolo fondamentale nella diffusione di notizie sulla pandemia: solo su Facebook negli ultimi 6 mesi sono stati pubblicati oltre 218 milioni di post riguardo al virus. Solo il 7,4% degli italiani non ha cercato notizie online, mentre il 7,8% ha consultato esclusivamente internet e i media online.

A partire da marzo 2020 la domanda di news riguardo i decreti-legge promulgati per contrastare l’emergenza covid e la diffusione del virus in giro per il mondo si è incrementata così tanto da portare a una maggiore produzione di notizie e informazione nel web: i media dell’informazione hanno creato un’infodemia comunicativa, ovvero l’enorme mole di informazione che ha circolato nei social ha portato al fenomeno della disinformazione e ha contribuito a generare allarme nella comunità. Anche prima della pandemia esisteva il rischio di imbattersi in bufale navigando su Internet o oppure di cercare delle notizie concentrandosi sulle proprie credenze individuali. Durante questo bombardamento di notizie è mancato un sistema di controllo delle informazioni pubblicate che avesse potuto verificare la veridicità delle notizie e fermare la diffusione di notizie sbagliate. Secondo i dati “Agcom”, lo spazio dei telegiornali dedicato alla pandemia è aumentato dell’11% da gennaio a marzo 2020, fino ad arrivare ad occupare il 50% durante il mese di marzo, mentre secondo la ricerca “Socialcom-blogmeter” solo nel mese di novembre 2021 sono stati pubblicati oltre 550000 articolo riguardo il covid. Il fenomeno della disinformazione e della proliferazione di fake news ha portato conseguenze per la sicurezza di tutti, l’enorme varietà di notizie pubblicate ha generato confusione nelle menti degli italiani, portandoli spesso a non comprendere le norme per la sicurezza e i vari protocolli da seguire. Secondo il rapporto disinformazione e fake news durante la pandemia, dei 50 milioni di persone che hanno cercato informazioni online riguardo al covid, il 49,7% ha ritenuto le notizie apprese online confuse, il 39,5% le ha considerate fonte di allarme e ansia, mentre solo il 13,9% pensa siano state attendibili. Ben 29 milioni di italiani afferma che alcune della notizie lette sui media si sono rivelate sbagliate.

Nonostante l’argomento politico sia ancora quello più ricercato dagli italiani, rispetto a due anni fa è aumentato l’interesse verso articoli di tipo scientifico e anche verso esperti nel campo della medicina, soprattutto epidemiologia e virologia, che hanno iniziato ad apparire più spesso nei programmi televisivi. Il 54% degli italiani ha trovato gli interventi di questi esperti molto utili al fine di ricevere migliori informazioni riguardo la pandemia. Secondo l’analisi della ricerca “Socialcom-blogmeter”, la comunicazione al tempo del covid ha fatto emergere problemi come l’inquinamento globale e il ruolo della donna, che sono stati presi in maggiore considerazione. Riguardo il giornalismo praticato in altre zone del mondo, l’indice di libertà di stampa nel mondo compilato dall’organizzazione “Giornalisti senza frontiere mostra che la libertà di fare giornalismo è bloccata in 76 paesi e contrastata in altri 59. La miglior cura per la disinformazione è il giornalismo, ma spesso viene impedito per cause politiche, culturali, economiche.

In conclusione, la pandemia ha portato a un maggiore digitalizzazione delle comunicazioni e dei mezzi per fare informazione. Di fronte a un avvenimento di cui non si conosceva ancora nulla o molto poco, i media hanno trovato difficoltà nel regolare il flusso di notizie che venivano pubblicate e nello schermare le notizie fasulle che hanno portato complicazioni nel giusto rispetto delle norme per la sicurezza e una frammentazione della società. Valorizzare giornalisti e professionisti della comunicazione, oltre a coinvolgere i social media, può essere la soluzione contro l’infodemia e la circolazione di fake news, per la buona informazione del domani.

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