Don Andrea Bigalli, giornalista pubblicista, presentatore radiofonico, critico cinematografico dilettante, scrittore ma soprattutto fiorentino attivo da tempo contro le mafie e referente regionale di Libera. Dopo essere stato ordinato prete nel 1990 si è unito nel 1998 alla Caritas Toscana, di cui diventa vice direttore. Nel 1999 diventa parroco di Sant’Andrea in Percussina (Parrocchia situata a San Casciano Val di Pesa). Nel 2005 lascia la Caritas Toscana per dare il suo contributo a Libera, un’associazione attiva contro le mafie. Don Bigalli presenta inoltre una trasmissione su Radio Toscana. Abbiamo quindi deciso di porgli delle domande riguardo alla sua esperienza di lotta alle mafie in relazione anche alle dinamiche, italiane e non solo, più recenti:
Come è nata la sua collaborazione con libera? Ha qualche aneddoto che le è rimasto impresso?
Io sono finito a libera forse in modo un po’, per certi aspetti occasionale e per altri no, perché io lavoravo per Caritas Firenze. Ero molto impegnato in quell’ambito e in quella sede ho aperto una collaborazione con Libera perché noi avevamo come servizio l’educazione alla pace e alla mondialità di Caritas Firenze, una scuola permanente educazione alla pace quindi ci si occupava anche di molte questioni proposte dalla cittadinanza. In quel contesto io mi sono avvicinato a libera che conoscevo indirettamente anche attraverso la figura di Don Ciotti, ho sempre lavorato nell’ambito del volontariato e delle associazioni per i diritti umani, quindi sono tutte associazioni che si attenevano a Libera e per conto di Libera stessa. Ho fatto dei cineforum nel 2005 e poi mi vennero a cercare, quindi io sono entrato direttamente nel coordinamento regionale e poi qualche anno dopo sono diventato referente. Aneddoti a riguardo ce ne sarebbero anche tanti posso riferirmi, e lo faccio spesso quando racconto l’esperienza in Libera. Mi viene in mente quello che accadde quando io venni a sapere dell’attentato di Capaci perché mi ricordo con chiarezza: è stata una delle circostanze della vita in cui mi sono trovato a piangere per un evento pubblico, mia madre mi consegnò a tempo debito un ricordo che avevo rimosso cioè che quando seppi dell’attentato sull’immediato tirai un cazzotto sul tavolo e lei disse: “sei completamente pazzo, ma che fai, ti fai male!” quindi mi piace raccontare che da un lato è un evento in cui si sommano anche dei sentimenti personali anche di grande dolore grande sofferenza per le vittime per questa democrazia per questo consenso civile, dall’altro lato però anche la reazione e se volete la passione di tanti uomini e donne che ci lavorano e anche la mia non è andata a scemare nel tempo.
Cosa pensa, appunto per parlare della strage di Capaci, che sia cambiato maggiormente nella lotta alle mafie da vent’anni a questa parte?
Allora, il grande slancio di quella fase da un lato ha generato alcuni passaggi nella pubblica opinione nella memoria storica collettiva che fortunatamente sono irreversibili, nel senso che alcune sensibilità di fondo si possono dare per acquisite, insomma, è un argomento quello delle mafie, anche al centro Nord con il problema dell’infiltrazione, su cui un riferimento costante rimane anche al mondo della cultura, alla scuola. Nella dimensione politica nel complesso però noi lamentiamo che questo tema è stato un po’ metabolizzato, nel senso che si dà per scontato che ci sia un fenomeno del genere, ma dall’altro si rimane fermi un po’ all’idea che sia una questione del sud. Dall’altro lato si rischia di considerarla una realtà che fa un po’ parte dell’ecosistema quindi esattamente come oggi puoi crearti problemi ogni tanto sui poveri perché è un evento inevitabile imprevedibile e che comunque in ogni caso ogni tanto viene e quindi rientra nell’orizzonte degli eventi, così le mafie farebbero parte del panorama storico e culturale di questo paese e quindi bisogna rassegnarsi a convivere.
In un certo senso ci siamo abituati?
Sì, purtroppo sì. A questo punto dico si è metabolizzata una cosa che invece è immetabolizzabile un po’ come un organismo vivente che affermi che ha metabolizzato il proprio cancro, discorso estremamente pericoloso. Ecco quindi di attenuamento a una certa tensione anche civico a riguardo lo vediamo anche in pandemia: alcune tematiche sono state completamente sospese, in realtà noi sapevamo bene che le mafie si stavano muovendo fin da subito su passaggi che magari sembrano anche banali tipo la falsificazione e la produzione di mascherine inadeguate spacciate per certificate oppure tutto il meccanismo di intromissione magari anche sui dati sensibili riguardo alla pandemia stessa, qualche mese fa essere positivi e negativi a un test indicava la possibilità di uscire, insomma, ci sono stati movimenti anche su questa realtà, esattamente come ora siamo molto preoccupati perché mi sembra che ci sia una nonchalance di fondi del PNRR, qualcuno parla di semplificazione di snellimento delle pratiche di eccessivi controlli sugli appalti, voglio citare l’assessore regionale Stefano Ciuoffo che durante un incontro pubblico mi diceva giustamente che la semplificazione non è stralcio di regole bisogna starci molto attenti perché è un pericolo concreto che questi si avventino su questi soldi e è purtroppo una certezza che sta noi non farne una certezza nefasta.
Che influenza pensa che abbia la guerra in Ucraina sull’attività mafiosa?
Innanzitutto cominciamo a dire che è una guerra che ha un contenuto di riferimento alle mafie ancora più esplicito di quelle passate. Le mafie hanno sempre avuto un coinvolgimento nelle guerre, basti pensare alla pagina storica dello sbarco alleato in Sicilia, dove furono fatti degli accordi tramite la mafia siciliana e gli Stati Uniti per trovare dei riferimenti e quindi garantire uno sbarco che avesse delle risoluzioni positive, poi tutto quello che è inerente al traffico internazionale delle armi su mercato, in cui il confine tra legalità e illegalità è sempre più labile, vedono le mafie ovviamente in prima fila, questa poi è una guerra che ha delle caratteristiche particolari. Se voi andate su Rai-play e recuperate un documentario che si intitola Maremma Felix trovate questo giovane giornalista che su questo argomento dell’infiltrazione mafiosa in Toscana soprattutto nella zona tra Grosseto e Follonica; si riferisce fra l’altro ad inchieste in corso che presto accorreranno anche a dei processi dove c’è una trama molto serrata tra mafia russa e oligarchi russi del governo di Putin che lo sostengono e mafie italiane. Molto inquietante tra l’altro, affermando la distinzione tra aggressori e aggrediti, possiamo dire che c’è un collegamento anche con le mafie ucraine in questo conflitto. Credo quindi si possa fare una lettura trasparente, insomma, è una guerra anche a interesse mafioso su cui mafiosi stanno speculando perché il grande problema delle guerre è anche chi ci sta guadagnando e chi ci sta traendo profitto, purtroppo le risposte sono a volte molto dolorose. Questo spiega anche perché si fanno le guerre, perché c’è una convenienza economica per cui a qualcuno conviene, non conviene ovviamente alle vittime ma a molti altri purtroppo sì.
Da fiorentino attivo contro le mafie da tempo, si ricorda cosa ha provato nella notte della strage dei georgofili?
Eccome se me lo ricordo, più che altro quello che abbiamo provato il giorno seguente quando sono cominciate ad arrivare delle notizie che sembravano assolutamente irreali. Io in quel periodo non stavo a Firenze quindi le cose arrivavano un po’ filtrate, ho amici invece che non soltanto vivevano qui ma addirittura vivevano in centro quindi hanno dei ricordi precisi e determinati che io non posso avere, ti posso dire che l’enormità della cosa forse non l’abbiamo neanche del tutto realizzata, un po’ perché quella era una fase storica in cui purtroppo le autobombe erano una realtà a cui la mia generazione era tragicamente abituata, e del resto il segnale politico era di una violenza inaudita, perché con le autobombe di Beirut cosa nostra ha mandato tra le righe un messaggio preciso “noi possiamo fare dell’Italia il Libano, questa cosa qui possiamo scatenarla come vogliamo”. Quello che provai era un sentimento che avevamo già vissuto l’anno precedente con le stragi del ‘92 e del ‘93, ci ha messo di fronte a questa enormità in realtà l’attentato ai georgofili fra virgolette “tragicamente fallito” o comunque in parte fallito, perché l’autobomba avrebbe dovuto distruggere l’ala principale e l’ala centrale degli Uffizi e pensate a cosa non è custodito in quell’ala, poi l’attentato è fallito in un modo ancora più drammatico perché il patrimonio artistico non vale cinque vite umane, però capite l’enormità di una forza criminale che si permette di porre un attentato del genere e io credo nella storia dell’umanità a parte quello che accade durante i conflitti, durante le guerre, una cosa del genere non si è mai vista e questo mi dice che enormità di quello che è stata cosa nostra in questo paese. E’ stato un potere che avuto un disegno politico molto più elaborato di quanto pensiamo, assolutamente non catalogabile con le categorie della follia e che quindi ha messo seriamente in pericolo la democrazia in questo paese, tra l’altro quello che abbiamo poi capito della cosiddetta trattativa stato-mafia ci da ampiamente ragione, è stata messa in discussione la democrazia in questo paese ed è stata una fase estremamente difficile, ce ne rendiamo conto ora con l’occhio storico di una distanza anche di decenni che ci consente anche forse di rileggere i fatti secondo un’altra dimensione.
Quale attività Libera sta svolgendo al momento e, secondo lei, è riuscita a raggiungere gli obbiettivi che si era prefissata?
La nostra attività è fondamentalmente socio-culturale e quindi politica, nel senso che questi sono i tre punti su cui noi abbiamo un’azione anche di contrasto culturale, cioè elaborare le risposte possibili proprio anche sull’idea che le mafie garantiscono una pessima vita perché hanno alla base una cultura totalmente disumanizzante. Questo ci conduce anche a fare un’attività sociale, ciò che è culturale, se inteso in maniera adeguata, diventa una proposta sociale e questo si lega inevitabilmente a ridefinire la politica secondo quelle che sono le sue autentiche coordinate, perché la politica non è i partiti o la vita dei partiti, la politica è la vita concreta delle persone nei loro bisogni nelle loro circostanze, come il governo dovrebbe provvedere a tutte quante le persone. Cosa vuol dire questo? Noi lavoriamo molto sulle scuole, lavoriamo molto sulla promozione delle nostre tradizionali campagne, dei nostri tradizionali appuntamenti, delle proposte al paese, il 21 Marzo che è la giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di tutte le stragi di mafia, il lavoro sui beni confiscati, la legge che abbiamo contribuito a ridefinire attraverso l’iniziativa della legge popolare per la destinazione sociale dei beni confiscati; perché c’era una legge che prevedeva appunto la confisca dei beni, però mancava un tassello, ciò che ne facciamo in maniera primaria di questi beni. La raccolta di firme del ‘95, quando Libera nacque, andava in direzione appunto del definire la destinazione sociale di questi beni, quindi non solo allo stato ma anche tutte quelle realtà sociali che attraverso fondamentalmente l’idea della cooperativa, che rappresenta una società civile, esattamente come Libera, che è un’associazione di associazioni, questo si proponeva. Da lì sono partite le esperienze pedagogiche presso i campi di lavoro con le cooperative che coltivano le terre confiscate, il problema della rivalutazione dei beni aziendali e quindi l’idea che i beni confiscati dovrebbero davvero vedere l’impegno di tutti perché si possa restituire ad una vita economica piena, l’idea anche proprio di programmare, se volete, la gestione delle risorse da parte della collettività anche in direzione di esperienze che possono essere le cooperative che includono soggetti svantaggiati e l’idea anche appunto di una socialità che si riattiva concretamente su proposte imprenditoriali di livello. In ultima analisi, l’idea che l’illegalità non garantisce quella dimensione di benessere e di giustizia che le mafie da sempre negano, questa è l’idea che noi cerchiamo di costruire che è un’alternativa di vita che sia degna e giusta. Ce l’abbiamo fatta? Ora, 27 anni sono un tempo che sembra lungo in realtà, per quanto riguarda i processi storici, non è ancora un tempo che ci consente di valutare a pieno. Io credo che libera abbia lasciato un segno, credo che abbia rappresentato la possibilità di vedere che c’erano delle alternative, ha creato degli spazi, ha se volete garantito una vita migliore ad alcune persone, Libera si è adoperata per esempio per far sì che i familiari delle vittime innocenti avessero un sostegno da parte dello stato, che venissero riconosciute, abbiamo lavorato tanto anche sul tema dei collaboratori di giustizia, abbiamo lavorato tanto sul problema del carcere minorile e quindi il lavoro anche per la prevenzione a quel livello lì. Abbiamo fatto della mafia anche un tema culturale, quindi teatro, cinema, letteratura, cerchiamo di raccogliere tutta questa serie di risorse sociali contro le mafie. Non lo so se ci siamo riusciti, bisogna essere anche molto lucidi e segnati da quella cosa necessaria che è l’umiltà, parola che viene da humus, cioè ciò che veramente sta nella terra e che si spera sia la parte fertile della terra. Io vedo che abbiamo rappresentato dei riferimenti, vedo che la gente ci cerca dandoci anche una grande fiducia, ci cerca anche riconoscendosi. Noi siamo per la maggior parte tutti volontari, io stesso sono assolutamente volontario, tutto quello che faccio, e sinceramente nell’arco della settimana è un impegno abbastanza gravoso, lo faccio comunque senza nessuna retribuzione e senza ricavarne vantaggi e ovviamente va bene così. Credo che questo livello di disinteresse che però ha incontrato la sfida della professionalità, della serietà, della competenza, dello studio, ecco, credo che questa sia una cosa su cui libera ha prodotto i suoi frutti.
Quali sono i programmi per il prossimo futuro e secondo lei cosa si potrebbe fare per combattere e ridurre le mafie?
Le prossime sfide guardando sicuramente a questo contesto post-pandemico, che in verità ancora non ci siamo totalmente. La sfida è rielaborare su una dimensione di aggregazione su cui noi abbiamo perso due anni, Gli ultimi due anni per noi sono stati il tentativo di continuare a proporre delle iniziative, il tentativo di spostare online e quindi sul virtuale delle iniziative che in realtà hanno come riferimento fondamentale la presenza, la possibilità appunto di vivere le esperienze in maniera non virtuale. Su quello sappiamo che dobbiamo riattivare un sacco di risorse che sono rimaste un po’ ferme sul territorio; dall’altra dimensione ci stiamo rendendo conto che appunto abbiamo delle mafie sempre più aggressive, sempre più sinergizzate tra di loro e sempre più attrezzate da un punto di vista tecnologico, la sfida rischia quindi di essere un po’ recepita come qualche cosa di impossibile, ecco noi bisogna tornare a spiegare a questo paese che combattere le mafie non soltanto è possibile ma è anche una scommessa vinta se noi riusciamo a portare avanti le cose secondo determinati criteri, le mafie sono un fenomeno storico che si può sconfiggere, questo paese ha bisogno di ricordarselo questo perché ribadisco quello che dicevo prima, quest’idea appunto che le mafie siano invincibili, purtroppo la respiriamo, a volte mi capita perché io lavoro anche ad una radio e ho prevalentemente programmi in linea diretta con il pubblico e a volte ci sono cose che proprio sentiamo dalle risposte. Insomma, è quello che dicevo prima, “la mafia fa parte dell’ecosistema quindi bisogna rassegnarsi alla sua presenza”, in realtà ci sta sottraendo risorse, futuro, speranza, dignità collettiva, quindi la sfida è anche riportare tutto ciò a livello di coscienza, e quindi in ultima analisi a livello culturale. Quindi stiamo cercando di riattrezzarci su questo tempo nuovo, per esempio rischiamo di dimenticare che il web è un ambito di intervento anche delle mafie, quindi alcune dinamiche investigative, ma ribadisco che queste azioni di contrasto culturale vanno portate anche su quella dimensione, per esempio se si parla di valuta virtuale capite bene che si parla di qualcosa che è in un certo modo la dematerializzazione di risorse economiche reali, che passano per il web e rischiano di trovare lì una lavatrice incredibile per poi ritornare nuovamente reali dopo questo percorso che per lo più ha percorsi molto intricati. Ci rendiamo quindi conto che lì c’è tutta una dinamica su cui bisogna riattrezzarsi, sto citando anche i rapporti annuali della DIA, i rapporti della magistratura per l’inaugurazione degli anni giudiziari, insomma le forze dell’ordine in magistratura sono attente a questi aspetti, un po’ meno la collettività. Quindi il nostro compito è anche portare certi temi su questo livello più immediato e poi in ultima analisi bisogna insegnare che c’è una cultura premafiosa, noi adoperiamo un termine che non sta nel dizionario:“mafiosità”. Lo usiamo per indicare un po’ l’atteggiamento di fondo, il privilegio mio contro l’interesse comune, l’idea anche che bisogna ricentrare su due concetti fondamentali come il bene comune e la giustizia, che le mafie sono la negazione radicale di entrambe queste due dimensioni fondamentali della società umana. Quindi lì sicuramente c’è anche da forse creare un linguaggio nuovo, per esempio legalità, che è ovviamente un concetto che noi riteniamo nei suoi contenuti assolutamente valido, ma rischia di essere molto frainteso, c’è legalità e legalità, poi parlano a volte di legalità delle persone che in realtà non la praticano assolutamente, allora noi per esempio insistiamo molto sul fatto che “legalità” va sempre e comunque circostanziato e aggettivato: legalità democratica, legalità fondata sulla giustizia, legalità intesa anche come opportunità date a tutti di uscire anche da condizioni di dipendenza, giustizia radicalizzata, eccetera eccetera. Non mi dilungo su questi che poi rischiano di essere solo esempi però dello stesso concetto. Bisogna ricentrare l’azione politica sul bene comune, in fondo, il mio presidente nazionale ricorda con insistenza che il documento antimafia più compiuto è la Costituzione della Repubblica Italiana, quindi ritornare anche ai valori veramente vigenti. Applicare la Costituzione significa anche porsi il problema di una società di segno diverso, una società giusta, una società in cui le mafie sono escluse automaticamente ecco, quindi l’impegno a largo raggio è quello, come riuscirci eh beh insomma… tanti passaggi diversi, però capite bisogna partire dalle persone. Non a caso io parlavo di coscienza, cioè io penso questo, c’è bisogno di risottoscrivere un patto etico, che in questo paese si è un po’ sfilacciato, per patto etico io definisco anche proprio l’idea di fondo che una delle dimensioni fondamentali nella relazione, per esempio fra stato e cittadino, sia questa garanzia del bene comune che per certi aspetti è saltata, guardate noi per esempio, combattiamo contro una finanza che sempre più rende vanescenti i confini fra legale e illegale, quest’affermazione che è molto forte, trova senso dopo la bolla speculativa del 2008/2009 con tutto quello che abbiamo visto, compreso il coinvolgimento delle mafie. Sicuramente sappiamo che la Ndrangheta ha spostato denari, movimenti speculativi e se sposta denari la Ndrangheta, capite bene, stiamo parlando di forze criminali che fatturano quanto un piccolo stato europeo, nel senso mica barzellette insomma, quindi questi se dicono di muovere loro i soldi, dopo quello che è successo nel 2008/2009 dire che noi abbiamo in parte un sistema economico-finanziario e bancario per certi aspetti criminogeno, non è un’affermazione azzardata né passibile di denuncia, di querela, perché purtroppo è così, l’abbiamo visto, e quindi studiare la mafia significa purtroppo studiare anche un costume che non è solo dell’associazione criminale a stampo mafioso. Per questo il concetto di mafiosità, cioè la logica mafiosa, è una dimensione molto importante perché in fondo è quello contro cui bisogna lottare in fondo.