Lo scorso 20 febbraio si è tenuta presso l’auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio a Firenze (in Via Folco Portinari 5) la presentazione organizzata dal Leomagazine Il Dante di Pupi Avati, dalla pagina allo schermo del film Dante appunto di Pupi Avati, uscito nelle sale del cinema il 29 settembre 2022. Tra il pubblico era presente lo stesso discendente di Dante, Conte Alvise Serego Alighieri.

Il film presentato si ispira al romanzo dello stesso autore L’Alta Fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, pubblicato nel 2021 dall’editore Solferino, e racconta la vita di Dante attraverso flashback e diversi punti di vista (poetico, politico, dei rapporti interpersonali …). Il pretesto è il compito calorosamente accolto da Giovanni Boccaccio di portare alla figlia del Poeta Suor Beatrice la somma di dieci fiorini d’oro, atta a rimediare almeno in parte all’ingiustizia commessa nei confronti di Dante, morto ormai da trent’anni, esiliato da Firenze dalla turpe e faziosa oligarchia fiorentina di allora. Boccaccio si lancia all’avventura alla scoperta di Dante, nonostante qualche suo acciacco e la dolorosa perdita di tre su quattro figli, dei quali la rimanente, la piccola Violante, sdegna lui assente e il suo dono per lei. Dono su cui il regista stesso invita a riflettere in quanto è la stessa bambola nuziale tenuta da Beatrice tra le braccia il giorno del suo matrimonio con Simone dei Bardi, a sottolineare la continuità, persino inconsapevole, tra i due poeti Dante e Boccaccio.

A presentare l’evento, il vicedirettore del Leomagazine Edoardo Benelli, mentre tra i relatori si annoverano il regista Pupi Avati, lo storico Franco Cardini, il genealogista e presentatore Rai Domenico Savini, la caporedattrice e i membri dello staff del Leomagazine Elena Faggioli, Leonardo Beconi Margherita Congiu, Mattia Ascanio Fontolan, Francesco Marino e Michele Milazzo hanno letto passi significativi de L’Alta Fantasia, di cui sono state proiettate le corrispondenti scene del film, e hanno presentato i relatori; sono intervenuti anche il direttore responsabile del giornale Domenico Del Nero, la dantista e insegnante presso Università degli Studi di Trento Claudia Di Fonzo e la nostra editrice e Dirigente Scolastica Annalisa Savino.

Relatori dell’evento, la prof.ssa Di Fonzo, la preside Savino, il vicedirettore Edoardo Benelli, il direttore Del Nero

A esordire quest’ultima, che ha sottolineato l’importanza della maniera personale e umana con cui il regista si è approcciato a una figura che, come lo stesso ha ribadito, spesso è stata presentata come irraggiungibile, astrusa, trascurandone il vissuto travagliato che trasuda umanità, passione, fragilità. Colpita in particolare dall’originalità di Dante presentato bambino e poi ragazzo, dalla forza icastica di immagini che configurano la straordinarietà (ma anche l’umanità) del personaggio, la Dott.ssa Savino riconosce anche il potenziale del film di far breccia tra i giovani, oltre che l’abilità di Avati di creare scene dall’irripetibile e coinvolgente atmosfera.

Il direttore Del Nero ha fatto notare il riferimento di Avati a straordinari versi del Paradiso dantesco, leggendo il passo dell’ultimo canto del Paradiso, il XXXIII, che contiene l’espressione l’alta fantasia che dà il titolo al libro del regista, ma è un “ingegno” di cui il Poeta esprime l’inefficacia di fronte all’ineffabilità della visio Dei, a cui è ammesso alla fine del viaggio nell’aldilà e alla quale partecipando sente soddisfatto ogni suo desiderio. Il professore ha infine evidenziato, come Avati, l’eccezionalità di Giovanni Boccaccio che, nella sua ammirazione per Dante che sconfina quasi nell’amore di un figlio riconoscente e nella sua ricerca di tracce del Poeta, raggiunge molti che lo hanno conosciuto o che possono aggiungere un pezzo del puzzle, e infine la figlia Antonia, chiamatasi non a caso Suor Beatrice. Del resto Boccaccio è stato il primo esegeta di Dante, di cui copiò, diffuse e difese l’opera, come anticipando quel sentire del dantista Vittorio Sermonti, secondo il quale Dante dà del tu a ciascuno di noi, ossia ognuno può entrare con Dante – come con tutti gli artisti sfaccettati e grandemente espressivi- in una speciale sintonia, uno speciale “canale di connessione” che trasmette aspetti diversi a ciascuno. Ciò è possibile in particolare per la straordinaria abilità di Dante di essere insieme subcreatore divino, autore di un’opera in cui piano allegorico e dottrinale coesiste col piano della quotidianità terrena: ad esempio, Beatrice insieme è lumen gratiae, luce della grazia divina, e è stata l’amata di Dante, ora beata e guarita dalla ferita, ma sempre memore delle sue infedeltà nei propri confronti, riprovevoli – e da lei stessa rimproverate, prima che lui giunga in Paradiso!

Domenico Del Nero

Margherita Congiu ci legge le pagine del libro L’Alta Fantasia che riguardano il matrimonio di Beatrice con il ricco Simone Bardi, con cui doveva sposarsi per le convenzioni del tempo. Dante, a pezzi e consapevole che quella cerimonia significava un ulteriore distacco dalla donna amata, almeno nella finzione letteraria, la incontra e si scambiano i versi della sua canzone della raccolta di prosa e liriche Vita Nova, Tanto gentile e tanto onesta pare. Infatti alla lettura del passo è seguita la proiezione della scena del film corrispondente, che suscita stupore in quanto, come Avati fa notare, abbiamo una Beatrice consapevole di essere cantata, di essere colei che salutando beatifica. Ma ciò va interpretato come segno dell’infusione di Amore nelle menti di due persone legate da un sentimento vero e profondo, per quanto sappiamo almeno da parte del Poeta.

Dopo la lettura di questo significativo e non casuale passo del libro, si passa la parola a Domenico Savini, presentato da Mattia Ascani Fontolan e con cui approfondiamo infatti la questione del matrimonio di Beatrice. Risulta dalle sue fervide ricerche in Archivio di Stato fiorentino che dal matrimonio tra Bice di Folco Portinari e Simone Bardi, esponenti dell’eminente nobiltà fiorentina, siano nati cinque figli e che all’età di soli quindici anni la così chiamata Bice moglie di Mone, in piene facoltà giuridiche, avrebbe messo a disposizione del marito la propria dote. Quest’ultima notizia è stata scoperta dallo stesso Savini ed era così inaspettata che lo stesso studioso in un primo momento era convinto che si trattasse di un documento conosciuto! La morale è quindi che quel labirinto dell’Archivio di Stato di Firenze è una miniera per gli studiosi di storia, che potrebbe conservare ancora l’ignoto, che aspetta solo chi abbia tempo e voglia di svelarlo … Morta nel 1290 , presumibilmente di vaiolo, per ora risulta che Beatrice sia stata l’unica moglie di Simone Bardi, forse rimasto talmente ammirato dalla sua eccezionalità da non volerne avere altre. Diverso invece è il caso di Gianciotto Malatesta di Rimini, che dopo aver ucciso moglie e fratello colti nel loro adulterio (stando alla versione che lo stesso Dante segue nella sua Commedia), si sarebbe risposato senza indugio con una giovane donna. Il paragone del resto, oltre che sorgere spontaneo a un appassionato di genealogia tra l’altro romagnolo, è suggerito dal libro, che ricorda l’episodio in una scena di notevole spessore emotivo e attesta infatti una parentela, sebbene alla lontana, tra Dante e Francesca da Rimini, sventurata moglie di Gianciotto a cui dedicò versi ormai incisi nel sapere collettivo, parentela che lo stesso poeta rivela attraverso l’avo Cacciaguida nel XV canto del Paradiso.

Domenico Savini

Alle parole di Savini segue la lettura di Michele Milazzo del passo del libro in cui Dante viene sorpreso da Cavalcanti, che gli porge un sonetto in risposta di uno che il giovane poeta gli aveva spedito. Da tale scambio nasce un importante legame di affetto e sodalizio tra i due, da cui scaturiranno sinceri e commoventi versi che parlano del bene dell’amicizia, condivisione di esperienze formative per entrambi, come la Battaglia di Campaldino (1289), la maturazione stilistica (soprattutto per Dante, più giovane e inesperto di Cavalcanti). In seguito Leonardo Beconi presenta Pupi Avati. Il regista poi ribadisce il suo intento di avvicinamento e attualizzazione della poesia dantesca, ad esempio quella della Vita Nova, opera spesso trascurata e sottovalutata a suo avviso: l’amicizia, l’amore casto e ostinato per una giovane di cui si tratta è qualcosa che ha riguardato lui stesso. Così Avati difende strenuamente la dimensione umana degli autori protagonisti della sua storia, attraverso il racconto di esperienze che incidono sull’opera di ciascuno e li salvano dalle tinte sbiadite di eterei guru sapientoni, senza però sminuirne il talento: queste esperienze  sono ad esempio la perdita dell’amata, l’imposizione di una matrigna a soli cinque anni per Dante, e per Boccaccio i dolori di una vita segnata da peste e altre difficoltà, l’incontenibile devozione per il Poeta, nata dall’incontro con il poeta e giurista Cino Da Pistoia, che invece di istruirlo in ambito giuridico, come voleva il padre, gli fa scoprire il mondo letterario per il discente assai più affascinante. Tuttavia Dante rimane colui che sapeva il nome di tutte le stelle, come nel libro la figlia svela a Boccaccio nel loro tanto sospirato incontro; Dante era dotato di un talento e una sensibilità letterari coltivati con dedizione, che lo hanno reso il grande uomo di cultura che conosciamo.

Pupi Avati

Interviene poi la professoressa Di Fonzo che con una domanda al regista a riguardo, ci fa capire la scarsa diffusione di dantiste in un panorama prevalentemente di dantisti, e sottolinea l’importanza dell’amicizia tra Cavalcanti e Dante sul piano biografico ma anche letterario, in quanto troviamo riferimenti testuali nella stessa Divina Commedia (Canto X dell’Inferno) al personaggio, ancora oggetto di controversia. Su richiesta del professor Del Nero, Avati spiega anche come la scelta del cast di attori si sia basata sulla loro capacità di comunicare emozioni al pubblico, in primis a lui in quanto regista durante i provini, riconoscendo all’attore Alessandro Sperduti (interprete di Dante da giovane) una grande sensibilità che si traduce nella capacità di trasmettere emozioni, e all’attrice Carlotta Gamba, nel ruolo di Beatrice, uno sguardo seducente, di una profondità espressiva da cui lo stesso Avati rimane rapito.

Dopo la lettura di Francesco Marino di un passo de L’Alta Fantasia riguardo la morte di Beatrice, momento atroce per Dante, e la proiezione della sua trasposizione cinematografica, Elena Faggioli ci presenta lo storico Franco Cardini, che con il filo conduttore della nostalgia espone una sua relazione di vasta e attuale portata; la nostalgia, sentimento che già gli antichi Greci avevano individuato come incredibile stimolo alla ricerca, nell’ambito poetico e nell’agire quotidiano, è quella che ci pungola quando osserviamo eventi che desidereremmo diversi. La guerra che scuote l’Europa dall’anno scorso, su cui ha tra l’altro scritto con Fabio Mini e Marina Montesano il libro Ucraina 2022. La storia in pericolo, sembra essere una compagna costante dell’uomo nel corso della storia. Egli avverte che l’agiato mondo europeo è adesso vittima della sua stessa inettitudine, o scarsa dedizione, nel perseguimento della pace. La situazione bellica, oltre all’irreparabile costo umano, mette in ginocchio economicamente e interiormente molti suoi spettatori nella scomoda, angosciante posizione di chi è in balia di un possibile scontro nucleare dalla valenza ormai tattica e non più “solo” strategica. Pecunia regina mundi dice un disincantato e amaro proverbio latino, che in tempo di guerra è piuttosto calzante: purtroppo una vasta trama di produzione e profitto delle industrie belliche pervade tale situazione, che ci fa avvertire nostalgia per i tempi di pace. Dopo questa interessante digressione, Cardini si ricollega all’arte nostalgica in senso lato, come quella dei Preraffaelliti, pittori del XIX secolo ammiratori del Medioevo, ma in particolare a quella poetica dei nostri Dante e Boccaccio. L’uno nella sua Commedia, l’altro nel suo Decamerone, proiettano il proprio sogno inesaudito di ritrovata armonia nell’idealità, sebbene il primo in una dimensione ultraterrena, il secondo in una più schiettamente terrena e umana, priva dell’onnipresenza divina caratteristica della Commedia.

Franco Cardini

Insomma, la soddisfazione per la riuscita dell’evento di portata culturale – e umana!- ci induce ad auspicare che i contenuti dell’incontro e l’incontro stesso non cadano nell’oblio.

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