In merito ai convegni organizzati dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, riguardanti opere con tema il diavolo, lo scorso 23 febbraio il nostro direttore, il professor Domenico Del Nero ha parlato, in un interessantissimo incontro,  del Mefistofele di Arrigo Boito; opera molto popolare perché fino almeno a pochi anni fa è stata  nel repertorio. Domenico Del Nero è uno studioso di Arrigo Boito, ha pubblicato un libro intitolato  Arrigo Boito: un artista europeo;  con una presentazione del grande musicologo Marcello de Angelis.

La conferenza è iniziata affermando che Boito tutt’oggi è uno degli artisti più incompresi, se consideriamo il fatto che ancora oggi si fa fatica ad ammettere che le sue opere siano dei capolavori assoluti; ma fortunatamente una delle cose belle dei capolavori artistici è che non sono equazioni matematiche non devono tornare per forza allo stesso modo, ognuno di noi ha i suoi gusti e le sue preferenze e tante volte vanno oltre a quelli che possono essere i fattori più o meno oggettivi. 

Boito è un argomento che divide e divide anche in maniera violenta con una passione simile a quella delle tifoserie di calcio, infatti si passa da stroncature veramente pesanti anche di personaggi di tutto rispetto, a  entusiasti “tifosi”, questo soprattutto perché Boito è un autore che non può rimanere indifferente. Si direbbe insomma che Boito continui un po’ a scontare quello  che successe il 5 marzo del 1868, quando si arriva finalmente alla rappresentazione del Mefistofele, opera di un giovane 26enne che era già riuscito ad inimicarsi una buona parte dell’ambiente culturale musicale ed intellettuale milanese con i suoi giudizi.

Leggendo quello che successe quella sera si ha veramente l’impressione di trovarci proprio in una partita di calcio di quelle cattive, tipo un derby sudamericano per esempio. Ma è vero quello che ci raccontano i giornali dell’epoca? Molte di queste sono leggende infondate, come ad esempio Boito  che va al teatro con la pistola in tasca, che è stato scortato fuori dal teatro per evitare il linciaggio; queste sono sicuramente delle esagerazioni, ma quel che è certo è che la prima delle Mefistofele fu veramente uno scontro talmente duro tra “filoboitiani” e “antiboitiani”, che un cronista dell’epoca scrisse questo “se un’ala del teatro fosse crollata avrebbe fatto meno scalpore”.

L’opera cadde rovinosamente anche perché seguendo le cronache del tempo l’esecuzione fu pessima, addirittura i cori angelici stonavano come una qualsiasi pellegrina  formazione terrestre, il Mefistofele si dimenticò la parte, successe veramente di tutto. Il Mefistofele passò alla storia come uno dei fiaschi più clamorosi della storia del teatro musicale.

Il Mefistofele è tratta dal Faust di Goethe, una delle opere più rappresentative del passaggio tra il 1700 e 1800, tra classicismo e romanticismo. Boito sceglie come titolo Mefistofele, un diavolo che è certamente terribile, però che ha anche un che di simpatico, quasi bizzarro e maligno; in greco mefistofele significa “non amo la luce“. Per questo motivo esiste un filone di studi che sostiene che Boito era talmente esperto di diavoli che poteva essere considerato un satanista, ma sinceramente sembra una cosa troppo forte.  Sicuramente era un uomo che aveva una cultura e un forte interesse verso il mondo esoterico, frequentò una biblioteca a Milano ,biblioteca Trivulziana,  dove venivano conservati i testi magici del culto; però avere un certo interesse verso il satanismo da parte di una persona, non significa metterlo in pratica!  

Son luce ed ombra; angelica farfalla o verme immondo, sono un caduto chèrubo dannato a errar sul mondo, un demone che sale, affaticando l’ale, verso un lontano ciel.” Dualismo è uno dei capolavori poetici di Boito, che non è stato non solo un musicista e un librettista ma, cosa che si comincia finalmente a dire perfino nelle antologie scolastiche, anche un poeta e uno scrittore tra i più interessanti dell’ottocento italiano. Boito è uno dei primi che finalmente porta in auge il lessico dantesco, come ad esempio nel Mefistofele, in Re Orso ecc.

La produzione di Boito non è una produzione imponente dal punto di vista quantitativo: abbiamo un libro dei versi, dei racconti, molto belli, quel piccolo capolavoro che è il poemetto Re Orso, il diretto antecedente di Mefistofele. La sua importanza sta nel fatto che sul piano del lessico Boito porta una musicalità nuova, dantesca e non più petrarchesca, e soprattutto quello che diventa veramente la meta artistica della sua vita, quella che potremmo definire come infondo disse D’Annunzio, la fusione alchemica tra la parola e la musica. Boito non è un semplice librettista, non lo sarà mai, che scriva per sé, per la sua musica, per Mefistofele prima o con quell’opera incredibile che è il Nerone dopo, o che scriva libretti per altri, purtroppo in un certo periodo per musicisti non eccelsi, poi finalmente, grazie al genio “imprenditoriale” di Giulio Ricordi, a Giuseppe Verdi. Il suo obiettivo non è semplicemente quello di imparare dei testi funzionali sul piano drammaturgico, il suo obiettivo è sempre quello di ricercare una musica prima di tutto all’interno della poesia stessa.

Fin da giovane Boito fu subito attratto dal poema goethiano e dalla figura del sesto cesare, Nerone, l’opera di Goethe era più nota in Italia, quella che fu realmente conosciuta, cominciata a diffondersi in Italia, solo attraverso alcune traduzioni, nella metà del diciannovesimo secolo. 

Nel 1862 questo ragazzo di vent’anni ha già chiarissimo in mente quello che sarà il suo operistico dei drammaturghi: Mefistofele e Nerone. Due opere sicuramente collegate tra loro, ma molto diverse l’una dall’altra. La cosa interessante sono però le date, perché nel 1862 si parla di Faust, poi addirittura in Mefistofele Boito parla anche di Nerone. La prima dell’opera invece, è datata 5 marzo del 1868; evidentemente, in una prima fase Boito pensava a qualcos’altro: Faust ed Elena; è probabile che il primo progetto boitiano fosse in realtà di scrivere due opere diverse: la prima parte delle tragedie faustiche, la seconda parte, alla quale lavorò negli ultimi decenni della sua vita, pubblicata poco dopo la sua morte.

Mefistofele e Nerone sono due opere diverse che avrebbero consentito di alleggerire il peso della vicenda, perché, Boito aveva in mente un progetto folle, quello che nessuno aveva mai tentato prima, nonostante di Faust in musica ce ne fossero già stati diversi. Boito voleva tutto, voleva un’opera che condensasse tutto quanto il lavoro di Goethe e quindi anche le indicazioni metafisiche e filosofiche, Boito voleva un’opera che non fosse la solita storia amorosa con il tenore, il soprano e il baritono che insegnano al sovrano ecc…voleva stravolgere completamente la concezione dell’opera dell’epoca.

Nell’ottocento l’opera è una vera e propria rivoluzione in serie, con compositori di cui oggi non sentiamo nemmeno parlare; di conseguenza quando Boito “si ribella” a certe convenzioni non pensa a Verdi o a Rossini o ai grandi autori del passato, verso i quali più volte manifesta venerazione; Boito si rivolge a tutti gli autori minori dell’epoca, però tutto ciò all’epoca non fu capito, infatti egli si inimicò gran parte della critica.

L’obiettivo di Boito, seguendo le orme di Wagner in Germania, ma attraverso procedimenti ben differenti ed originali, era quello di ritornare all’origine della tragedia, ovvero alla tragedia greca, nella quale l’artista era demiurgo, infatti egli era poeta, musicista, coregrafo ecc.

In un articolo sulla rivista Il Figaro, Boito non mette in discussione il passato, ma il presente, soprattutto il futuro quindi ritorno al teatro antico, in cui l’arte era contemporaneamente poema ed era giunto il momento di liberare lo sviluppo tonale e ritmico, che dovevano essere in piena sintonia.

Faust, il protagonista, nella prima edizione era baritono, poi nel 1868 diventa più tradizionalmente tenore in quella definitiva.

Ma chi era Faust? Dottore, Filosofo, teologo, alchimista, venduto all’inferno e al paradiso, completa incarnazione del dualismo umano. Faust è il jolly dell’era moderna, è l’uomo scommessa, è un mago. Il vecchio che ha conosciuto due vecchiaie, è il giovane che ha vissuto due gioventù; è colui che ha assaporato tutto lo scibile del bene e del male, della mente umana e del corpo. Maestro terribile degli aforismi mendaci e delle parole, sempre assetato di verità e affamato di bontà.

L’opera è composta da un prologo e cinque atti. Il prologo è concepito come una visione dantesca, in una versione sinfonica in quattro tempi, il primo tempo del coro, secondo tempo scherzo strumentale, il terzo tempo scherzo vocale e il quarto tempo finale.

Boito caratterizza il diavolo in modo molto attento sin dalla prima apparizione. Mefistofele è sempre annunciato con note diverse, appare con la nota di prologo in vari travestimenti ed in vari momenti; la parte di mefistofele è quella meno ritoccata in tutta l’opera da un’edizione all’altra.

Il recitativo del diavolo dissolve i fumi degli incensi, frantuma la dolce cantilena delle Falangi celesti, raccoglie la possanza delle fanfare che al levar del sipario squarciavano la «Nebulosa», e la trasforma in arguzia. L’orchestra rincorre la sua voce, gli archi ora staccano con brillantezza, ora legano, gli strumenti mimano i ‘concetti’ del suo pomposo eloquio – il preannuncio del fischio viene dato dall’attacco del flauto a cui risponde grottescamente il fagotto. Mefistofele si trova perfettamente a suo agio nella forma, declamando con fierezza sopra la melodia degli archi gravi del Trio, poi sollecita i trilli di flauto e violino con l’immagine del “grillo saltellante” che “a caso / spinge tra gli astri il naso“. Torna a gonfiare il petto quando celli e bassi riprendono il canto, attendendo che Dio, non potendo comparire di persona in un teatro italiano, apra bocca per il tramite del Chorus Mysticus, ma in realtà questo è un altro fatto geniale che poi intuisce che Dio appunto, facendolo parlare come personaggio è una sorta di coralità, del resto nella religione cattolica Dio è uno e trino. In Goethe è direttamente Dio che parla, nell’opera di Boito c’è il Chorus Mysticus a parlare. Infatti il diavolo fa una scommessa con Dio, ovvero Faust riuscirà a “trasumanar” o vincerà il diavolo e quindi sarà dannato per l’eternità?

Trasumanar è una parola importantissima in Boito che in Goethe è completamente assente.

Trasumanar significar per verba non si poria

Siamo nel primo canto del paradiso, Dante ha appena contemplato Beatrice negli occhi ed è passato dal paradiso terrestre al cielo della luna, e dice che è impossibile descrivere con le parole l’andare oltre la cognizione umana, anche perché come dice nel verso immediatamente successivo solo la grazia divina può concedere questo passaggio.

Si può trasumanar sol per grazia

In Faust, invece, trasumanar è un atto della volontà, è il concetto tipicamente romantico dello streben, cioè di una tensione verso l’infinito, verso l’assoluto, ma è un atto che qui, come dicevano i greci, assume la caratteristica della hybris e della tracotanza, tant’ è vero che qui, chi è che usa il termine “trasumanar”? Il diavolo che cita Dante, e passi se citasse l’inferno, ma cita il paradiso di Dante. Pensate che genialità nell’uso di questo semplice termine che però riesce a dare veramente un tocco di originalità, completamente assente nel modello che del resto si ispira una visione molto più “protestante”.

 Nella versione definitiva Boito nell’epilogo approfondisce molto di più lo scontro tra il diavolo e le falangi celesti finché il tema del bene, del paradiso non sommerge completamente Mefistofele che sconfitto sprofonda nell’inferno, sempre fischiando.

Nella conferenza si alterna una parte descrittiva dell’opera spiegata dal professor Del Nero ed una parte di lettura e di ascolto di alcuni passi dell’opera sempre molto toccanti ed emozionanti, come ad esempio il finale dell’opera con la redenzione di Faust e la caduta definitiva del diavolo.

La conferenza è stata molto interessante, lo dimostra l’entusiasmo, alla fine del convegno, del pubblico presente; complimenti al professore ed al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, che organizza questi eventi culturali di altissimo livello; con la speranza che presto il Mefistofele possa essere anche rappresentato.

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