Venerdì 12 maggio, presso la libreria del Libraccio di Firenze (via dei Cerretani, 16 rosso) si è tenuta la presentazione del libro di Andrea Vitello Il bullismo nella società. Storie di razzismo, omofobia, abilismo, sessismo, mobbing, bullismo giovanile e adulto. Come prevenire e contrastare il bullismo attraverso la didattica della Shoah (pubblicato nel 2023 da Multimage, associazione editoriale che promuove i diritti umani e gli scritti che ne ricordano e tutelano l’importanza); dal titolo evinciamo un dato fondamentale: il bullismo riguarda la società, non è cosa da ragazzini, di formazione, può avvelenare qualsiasi comunità, segnare o addirittura stroncare vite umane. Troppi i suicidi, gli atti di violenza che scaturiscono dalla violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la cui presenza è data, ma utopistico il desiderio che sia rispettata, sembra. In una dimensione comunitaria, in cui ogni ente politico dovrebbe interessarsi della popolazione e non vigere una meschina, colpevole indifferenza di fronte alla sopraffazione, ciò raccapriccia, la cosiddetta tutela è inaffidabile, tutti potremmo cadere senza nessuno che ci aiuti a rialzarci. Del resto, ricorda durante la presentazione Francesca Conti, giornalista attenta ai temi del cyberbullismo e della navigazione in Internet dei giovani, è invivibile e orrenda una società in cui ognuno desidera primeggiare. Ma tale prototipo di società sembra spesso proprio quello che affrontiamo quotidianamente, in cui pubblicità, social e altro tende a valorizzare solo chi appare vincente, che in quanto tale può calpestare gli altri per farsi strada impunemente. Non ripugna ciò al nostro senso di giustizia? Eppure Vitello riporta nel suo libro – prezioso e attuale – dati e storie circa il bullismo da disparate regioni del mondo per disparati motivi, a testimonianza del fatto che esso è inserito nella quotidianità globale. La prevaricazione fisica e verbale è un’erbaccia che inquina la convivenza, talvolta è incoraggiata da chi dovrebbe contrastarla perché fa fatica combatterla, porta la vittima a una vita priva di autostima, piena di ansie e di isolamento, i bulli a rinforzare le radici di insicurezza e astio che causano l’azione. Uno studente su tre è stato vittima di bullismo secondo una stima del 2019 dell’UNESCO, mentre in Italia, secondo una stima dell’INAIL del 2021, un milione e mezzo su 21 milioni di lavoratori subirebbero mobbing (bullying at work), e almeno cinque milioni di persone hanno assistito a fenomeni di bullismo: dati che sottolineano quanto spaventosamente notevole sia questa tendenza. Nel libro si dà anche una definizione al fenomeno, ricostruendone le origini assai radicate nell’umanità e gli studi a riguardo. Già nel VI secolo a.C. si possono riscontrare nell’antica Grecia episodi di prepotenza e squalificazione di certi individui in base a discriminazioni di ordine etnico, sociale e fisico (ciascuno chiamato pharmakos, capro espiatorio), quasi a riflettere una comoda meschinità nello scaricare su chi sembra più fragile e innocuo le frustrazioni e le colpe altrui. I capri espiatori venivano barbaramente sacrificati agli dei in periodi difficili per la comunità. Il fenomeno è però stato categorizzato negli anni ‘70 del XX secolo nel Nord Europa, dove si iniziava a capire il peso sociale de bullismo che infatti portava al suicidio sempre più vittime.

Appurata la gravità di tale fenomeno, è doveroso citare gli articoli che esso viola, e ricordare che se conseguenza di un istinto secondo alcuni, andrebbe comunque gestito e non guardato con rassegnazione, come un’ingiustizia che solo qualche utopista si sognerebbe di estirpare. Recita, ad esempio, l’Articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948):

«Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.»

E l’Articolo 26:
«1. Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali.
L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.
2. L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza,
l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.»

Non si nota una certa dissonanza col bullismo (in particolare, con quello scolastico rispetto al secondo comma dell’Articolo 26)? Il chiudersi egoisticamente nei propri interessi e la mancanza di previdenza ci portano a sbuffare di fronte a quelli che ci sembrano enunciati vuoti e staccati dalla realtà, che invece garantiscono la vivibilità della nostra esistenza come individui. Basterebbe a valorizzare le parole degli articoli il solo contesto da cui scaturiscono, quello traumatico e tremendo seguito allo sterminio di 15-17 milioni vittime dell’Olocausto, alla perdita di umanità che va pure oltre il numero di persone colpite, e si sofferma sull’idea raccapricciante di vessare un individuo per il semplice fatto di esistere in quanto tale.

Già, perché se è vero che ognuno può trovare difficoltà nella vita, cercando di fronteggiare le quali può maturare, è inaccettabile pensare che perciò non si debba fare nulla per sradicare quella corrosiva mancanza di rispetto verso l’altro, che un istinto altruistico dovrebbe farci ripugnare, soprattutto se per rimuovere questo male il mezzo è la costruzione di consapevolezza, la diffusione di leggi e eventi a portata di tutti, come proposto dall’autore del libro.

Egli ci ha gentilmente concesso la seguente intervista, in cui spiega i fini del lavoro e la modalità delle misure anti-bullismo che prevedono la didattica della Shoah. Ma prima di dargli la parola, presentiamolo almeno brevemente: Andrea Vitello, nato a Empoli nel 1992, ha conseguito una laurea triennale in Filosofia e una magistrale in Scienze Storiche, un diploma di perfezionamento presso lo Yad Vashem, Scuola Internazione per gli Studi della Shoah, e uno post-laurea sulla didattica della Shoah presso l’Università degli Studi di Firenze. Ha scritto anche Il nazista che salvò gli ebrei, Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca (Le Lettere 2022) e collabora per varie testate come LEFT e Pressenza.

Quanta parte della sua esperienza personale, dei suoi studi è confluita nel libro?

«Molta: nel libro metto come soluzione al bullismo la didattica della Shoah, interessandomi di diritti umani e avendo conseguito il diploma di perfezionamento presso lo Yad Vashem, e un diploma di perfezionamento post-laurea sulla didattica della Shoah. Questa formazione mi ha permesso di elaborare una metodologia in contrasto al bullismo e scriverci questo libro, ma anche la mia esperienza di vittima del bullismo e la speranza di fare in modo che i diritti umani siano preservati, dato che il bullismo va contro l’articolo 2 e 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

In cosa consiste la didattica della Shoah?

«Consiste nello spiegare come si è arrivati da pregiudizi a attacchi efferati e al grande genocidio. La Shoah ha infatti colpito, oltre che gli ebrei, sinti e rom (chiamati spregiativamente zingari dai nazisti ), oppositori politici, omosessuali e lesbiche, testimoni di Geova, minorati mentali e fisici. Da questi tragici eventi nasce la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, quindi penso sia importante mostrare ai ragazzi come dal disprezzo si sia arrivati allo sterminio, alla violenza, in contrasto alla quale bisogna acquisire l’accettazione della diversità e il rispetto reciproco. Tale didattica serve per evitare qualsiasi forma di bullismo e discriminazione; se si riescono a estirpare tra i ragazzi, gli adulti di domani non avranno questi problemi – dato che il mobbing è il bullismo specifico del mondo adulto, in cui non mancano certo discriminazioni…»

Qual è a suo avviso il modo per distinguere fenomeni di bullismo da scherzo, critica costruttiva, che talvolta la suscettibilità ci fa confondere?

«Bisogna raccontare le conseguenze a cui il bullismo può portare, per questo nel libro ho parlato di chi non ce l’ha fatta, in modo da invitare a mettersi nei panni degli altri. Ognuno affronta una lotta personale, quindi serve imparare il rispetto, l’elogio della diversità di chiunque. Così si insegna la non-violenza, perché nel momento in cui rispettiamo qualcuno, non usiamo violenza nei suoi confronti, così come non vorremmo essere attaccati.»

Come si è evoluto il fenomeno del bullismo, soprattutto in questi giorni in cui si avverte la presenza soffocante di pubblicità, influencer che quasi impongono modelli da seguire?

«Il bullismo è molto influenzato da queste presenza, in particolare il cyberbullismo, per i modelli di vincenti che soprattutto i giovani interiorizzano e vogliono replicare. Perciò avvengono atti di bullismo verso chi è più fragile. I social possono inoltre veicolare false notizie che fomentano l’odio nei confronti di persone accomunate da migrazione, un orientamento sessuale piuttosto che un altro ad esempio … per evitare ciò, lo studio decostruisce queste teorie sbagliate, come è successo per il Protocollo dei Savi di Sion, un falso storico che incolpava gli ebrei di complotti di ordine mondiale.»

Tra le finalità del libro c’è anche quella di proporre nuove leggi e una giornata mondiale contro il bullismo da celebrare con fatti, non con mere belle parole, ricorda giustamente. In che modo, con che tipo di azioni nella giornata dedicata al bullismo, e con quali leggi specifiche contro il bullismo pensa di intervenire?

«L’obiettivo del libro è la sensibilizzazione verso il bullismo, e con la sua diffusione e la metà del ricavato potrà nascere una campagna per nuove leggi contro bullismo e mobbing. Quest’ultimo in Italia non è riconosciuto come reato, mentre in Francia e Nord Europa sì, come dovrebbe essere. Oltre a ciò, vorrei che nascesse una giornata contro il bullismo, non una di quelle ipocrite, che ricorda una volta l’anno un fenomeno e poi lo si trascura, ma che porti a riflettere e compiere azioni quotidiane per contrastarlo. Il pubblico è potenzialmente universale, perché il bullismo prende ogni fascia di società, etnia, età. Nel libro del resto ci sono storie persino di bambini piccoli e di una principessa giapponese che ne sono state vittime.»

Possiamo dire quindi che, attraverso una maggiore consapevolezza, la lettura del libro mira a una responsabilizzazione verso la denuncia da parte della vittima o chi assiste, e alla comprensione dell’altro da parte di chi ha atteggiamenti di prevaricazione?

«Certamente. Nel libro non invito solo la vittima a denunciare o chi assiste a non rimanere indifferente, ma nel caso del bullismo giovanile spingo il corpo docenti a prendersi le proprie responsabilità non restando indifferente ma tutelando la vittima. Anche chi fa bullismo nel futuro potrà avere delle conseguenze negative, anche se non quanto la vittima che le ha da subito, quindi per tale ragione è importante che nelle scuole vengano fatti dei percorsi mirati per prevenire e contrastare il bullismo. Infatti io propongo anche la didattica della Shoah e dei Diritti Umani. Questo libro inoltre è pensato anche per le famiglie, al fine di spingerle ad educare i propri figli al rispetto dell’altro e alla non violenza in modo da prevenire il bullismo. In sostanza questo libro invita tutti a non rimanere indifferenti di fronte a questi episodi di violenza.»

0 0 votes
Article Rating