Il 24 giugno 2023 durante una conferenza stampa tenutasi a Boston, la Guardia Costiera Usa, ha annunciato il ritrovamento di alcuni detriti del sommergibile Titan che hanno confermato la presunta implosione dell’imbarcazione, partita la mattina del 18 giugno, per una visita ai relitti del celebre Titanic. Il Titan avrebbe perso contatto con la nave madre, la Polar Price, a circa 45 minuti dall’inizio della discesa che sarebbe dovuta durata un’ora e mezza fino al raggiungimento di 3.700 metri di profondità, sul fondo dell’Oceano Atlantico. Prima che la notizia della tragica e istantanea morte dell’equipaggio venisse fuori, le ipotesi erano molteplici, e la più sofferta vedeva il Titan disperso nell’Oceano con cinque passeggeri a bordo, separati dalla morte da 92 ore di ossigeno. È immediatamente scattato il conto alla rovescia per il ritrovamento del sommergibile, si sono mobilitate la Guardia Costiera Usa e la Royal Canadian Air Force, il Pentagono e la Marina Usa, impiegando un’intera flotta internazionale composta da navi, sommergibili, aerei e droni. Le ricerche sono continuate nonostante le ridotte possibilità di trovare i passeggeri vivi. A confermare queste perplessità e la difficoltà di condurre ricerche in mare aperto, sono le dure parole del contrammiraglio della Guardia Costiera Usa, John Mauger: “è una sfida condurre una ricerca in quella zona remota, ma stiamo dispiegando tutte le risorse disponibili per assicurarci di poter localizzare l’imbarcazione e salvare le persone a bordo“.

Le ricerche sono tutt’ora in atto, se pur con meno vigore, per ritrovare altri detriti del Titan. La speranza di salvare l’equipaggio non si è mai spenta, e adesso rimane la mera consolazione di una morte indolore e probabilmente inconsapevole dei passeggeri, che sarebbero venuti a mancare a seguito di un malfunzionamento del veicolo (la cui efficienza è stata molto discussa). Il sommergibile apparteneva all’azienda Ocean Gate, che per il progetto Ocean Gate Expeditions, proponeva una visita guidata di sei ore (tre per la discesa e la risalita e tre per l’esplorazione) all’interno del Titan, un sommergibile in fibra di carbonio lungo 6,7m, largo 2,8m e alto 2,5m, per un totale di 250.000 euro ad personam. Le cinque vittime erano l’amministratore delegato dell’Ocean Gate Stockton Rush (61), l’appassionato britannico Hamish Harding (58), il milionario britannico Shahada Dawood (48) e il figlio Suleman Dawood (19) e infine Paul-Henry Nargeolet (77), ex sommozzatore della Marina francese.

La popolazione italiana ha espresso opinioni contrastanti in merito all’accaduto, tra gli indignati che hanno deriso i miliardari e i loro soldi, e coloro che hanno empatizzato con degli esseri umani in punto di morte a chilometri di profondità sotto il livello del mare; in ogni caso, il clamore generato dalla morte di quei cinque passeggeri è echeggiato fortemente in questi giorni, come se di eventi così non se ne sentisse mai parlare, e in effetti è così, ma non perché cose del genere non succedano. Solo in questi primi mesi del 2023 infatti, il numero dei migranti morti nel Mar Mediterraneo è aumentato esponenzialmente arrivando a creste che non si toccavano dal 2017. Contiamo 20.000 morti dal 2014 e già più di 200 solo nel primo trimestre di quest’anno. È stato dichiarato lo stato di emergenza e sono stati disposti cinque milioni di euro per un finanziamento di sei mesi dal ministro della Protezione Civile e delle Politiche del mare, Nello Musumeci. A complicare i processi di agevolazione proposti dalle Ong e dalle organizzazioni di volontari, è lo Stato: è infatti in vigore dal 3 gennaio, un nuovo decreto che ostacola il salvataggio dei migranti limitando le modalità di azioni delle Ong, in particolare imponendo che una nave, dopo aver effettuato le manovre di soccorso, torni alla base più vicina. In questo modo, se ci fossero altre persone da salvare, le navi non potrebbero arrivarci se non dopo aver scortato le prime vittime soccorse al porto più vicino, e il decreto prevede anche che i migranti non possano cambiare nave in mare.

Le Ong si sono opposte appellandosi al Parlamento, e dice Juan Marlas Gil: “Continueremo a fare il nostro lavoro come sempre. Non è una scelta, ma un obbligo. Se ci fossero due situazioni di emergenza consecutive, saremmo obbligati a prestare assistenza in entrambe. Se non lo facessimo, potremmo essere accusati di omissione si soccorso. Legalmente, ma soprattutto umanamente, non sarebbe accettabile“. Nonostante lo sforzo dei soccorritori le manovre sono rallentate e questi ritardi costano la vita di centinaia di persone. La prontezza d’intervento e la mole di mezzi utilizzati per soccorrere i passeggeri del Titan sono impressionanti se rapportati alla situazione dei soccorsi nel Mediterraneo, e questo non perché la flotta internazionale non dovesse cercare quelle cinque persone, ma perché altrettante flotte dovrebbe essere impiegate per soccorrere le altre centinaia se non migliaia di persone disperse ogni anno nei mari. Il diritto alla vita non tiene conto del reddito mensile, cinque persone ricche non dovrebbero valere più di centinaia di persone povere. Siamo tutti umani e in quanti tali, tutti importanti, e se qualcuno si trova in pericolo di vita, siamo tenuti ad aiutarlo in qualsiasi modo. In una società in cui il denaro vale più di chi lo possiede, si perde il valore della vita e il diritto di viverla. Così si mobilita un’intera nazione per salvare il portafoglio di cinque persone e se ne lasciano affogare altre mille che aspettavano di avere un soccorso, che aspettavano di poter finalmente vivere.

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