Il sesso è una necessità primaria individuale e della specie. Stimola il sistema limbico e quindi i centri di ricompensa, strutture cerebrali che rilasciano dopamina, “ormone della felicità”, a sottolineare come certe emozioni siano vincolate a meccanismi corporei. Non basta tuttavia a definire l’amore, che significa prendersi cura di chi si ama. Questa è un’ovvietà che viene tristemente sottolineata dagli eventi che ci circondano. La libido libera dalla premura verso l’Altro è una forza cieca, degradante. Si ricordi la ragazza in costume da bagno coperta di cioccolato nel buffet del sardo Voi Colonna Hotel di Golfo Aranci per Ferragosto di quest’anno, scena denunciata su Linkedin da un turista. Divertente o umiliante, per tutto il pubblico, in primis per la ragazza «trattata da stoviglia»? Frivole risatine o grasse risate sono fuori luogo riguardo un episodio del genere, quanto l’episodio stesso, dato che, sancisce l’articolo 35 della nostra Costituzione, il lavoro deve rendere libera e dignitosa la persona. A parte torme di scandalo, magari perbenismo, esplose sui social, la vicepresidente del M5s Alessandra Todde ha ribadito su Facebook l’importanza di ritrovare un equilibrio tramite educazione e indignazione; i dirigenti dell’hotel si sono scusati, impegnandosi affinché non si ripetano simili avvenimenti gravi, negando l’identità di valori tra la catena alberghiera e quanto avvenuto, dato il perseguimento del rispetto per la persona da sempre dichiarato.

Sintomo di pesanti sconsideratezza e superficialità, di un lusso pomposo e vuoto, disumanizzante, un evento del genere è l’altra faccia della violenza bestiale cui conduce assecondare senza scrupoli le proprie pulsioni. Fenomeni allarmanti, aggravati dalla loro diffusione, provocano sgomento: violenza psicologica e fisica, omicidi in ambito affettivo colpiscono l’Italia (e non solo); si continua inoltre a non disporre dei dati completi. Risulta ad esempio che oltre 50 siano le donne uccise nel 2023 per sessismo o violenza familiare, che ogni tre giorni avvenga un femminicidio.

Servono prevenzione e sensibilizzazione che coinvolgano in maniera approfondita e sistematica la formazione dei professionisti che si curano della persona (medici, assistenti sociali, poliziotti, psicologi …), ma anche ogni ambito in cui si realizza la vita collettiva e individuale. È un problema che penetra le nuove generazioni le quali come spugne interiorizzano e replicano controversie e minacce lanciate dai social, dal carattere seducente della maschera del “senza limiti e inibizioni”, efficiente quanto insostenibile.

Il garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello ha reso noto il numero di 2.027 minori, di cui 436 stranieri, denunciati nel 2022 in Italia per reati sessuali, con l’accusa di responsabilità collettiva: se famiglia, scuola e altre istituzioni si impegnassero maggiormente in questa problematica, non si arriverebbe a tanto. Innegabile è il tentativo generale di parlare, sensibilizzare a riguardo, ma sembra spesso di combattere invano contro forze maggiori: quelle di immagini, standard di violenza rigettanti l’autenticità individuale, diffusi sui media anche in modo occulto per ricevere numerosissimi, appetitosi like. Già bambini – e specialmente bambine – compiacenti imitano, ostentano atteggiamenti inadatti alla loro età, naturalmente ancora incapaci di comprendere dove vogliono portare certe gestualità e abbigliamenti.

Entra quindi in gioco l’ipersessualizzazione, l’opprimente enfasi sui valori sessuali, un aspetto sempre giovane e curatissimo, che seda e svalorizza l’attenzione alle altre innumerevoli qualità individuali che ci rendono umani, dignitosi, speciali. Questo avviene soprattutto al cosiddetto sesso debole, la cui gracilità viene oggi perseguita come moda con serie minacce alla psiche e al fisico.

Mentre però sfrenatezza e assenza di pudore non sono fenomeni nuovi, affondano le radici nella controversa condizione umana e si sono rafforzate con certi eventi storici che si menzioneranno per una migliore consapevolezza e quindi protezione dal pericolo, l’ipersessualizzazione, la denuncia dell’eccesso, sono invece ancora tabù, perché contro gli interessi del mercato; quest’ultimo infatti vende facendo leva sulle pulsioni del consumatore, sopendone ragionevolezza e umanità. Pensiamo ai tumultuosi anni ’60 del secolo scorso, cruciali per la rivoluzione dei costumi sessuali. Era ormai detestata e decontestualizzata la disciplina del passato, si esigeva vivere la propria sessualità senza censure o convenzioni. La libertà da verità assolute, pilastri su cui hanno vissuto le generazioni precedenti, dà adito a un maggior benessere, affiancato però dalla tendenza giustificazionista del tradimento, di un disperante commercio del corpo come oggetto asservito alla sessualità altrui, specie da parte delle donne. Così arrivarono i caotici anni ’80 in cui, in questo ambito, complici gli amplificati mezzi di comunicazione, regina la televisione, il corpo si vendeva o promuoveva la vendita, se curato secondo i canoni estetici e comportamentali dettati dalla libido del pubblico. Bisogna che la donna sia seducente, docile, per essere rispettabile (o meglio, guardabile), è il messaggio assurdo e lancinante sotteso a gran parte delle comunicazioni al grande pubblico. Anche gli uomini sono prede di strumentalizzazione, ma in modo meno evidente. Le radici culturali delle nuove generazioni sono anche queste, deleterie per la parità di genere perseguita dalla nostra stessa Costituzione. La vanità, il desiderio di bellezza sono diventati maschere inconsapevoli del dovere di un’avvenenza asservita. Una bellezza così idealizzata sfocia in pretese, che, se (naturalmente) non adempiute, portano a frustrazione e violenza.

Ci ritroviamo ora in era post Covid, sempre più dipendenti dai social, in cui contenuti pornografici, di strumentalizzazione dell’individuo sono accessibilissimi, anche ai più piccoli, il cui pianto viene placato raramente da consolazioni affettive, carezze, rassicurazioni, ma da tablet, nemmeno più giocattoli, ormai superati!

E quindi sono all’ordine del giorno scene inquietanti come quelle di genitori che con una mano reggono il cellulare dall’invitante schermo acceso, con l’altra spingono un passeggino con infante similmente attrezzato. La domanda curiosa sarebbe: chi lamenterà prima l’assenza del portatile? La domanda seria sarebbe invece, tutto ciò dove porterà la società? Specialmente conoscendo la pericolosa influenza che l’abuso può avere e sta già avendo: dalla diffusione dei social intorno al 2010 – di conseguenza anche dell’ipersessualizzazione – si è notata una propagazione, acuitasi durante la pandemia, di disturbi fisici (insonnia da luci blu degli schermi, ingobbamento …) e psicologici – fino al suicidio.

Secondo l’ISTAT (2021) in Italia sono 4.000 i suicidi l’anno, l’OMS dichiara che questo tipo di morte è la seconda più diffusa tra 15 e 29 anni.

Tra le conseguenze ci sono anche la convinzione generalizzata della centralità dell’apparenza, l’avidità di seguaci, presto ottenuti compiacendone la malizia, come fonte di felicità; si mettono così in mani sconosciute contenuti personali, potenziali oggetti di ricatto e vessazione.

Giovanissimi soggiogati a questo mondo costituiscono il fenomeno dell’ipersessualizzazione infantile, concetto in espansione, definito nel 2001 ad opera del movimento attivistico Mothers’ Union: consiste nella sessualizzazione precoce di atteggiamenti (stile, pose…) che si vogliono copiare in un’età invece naturalmente tenera, ostentare tramite i media.

Pubblicità con minorenni usati come oggetti per vendere, mode di vestiti, cosmetici aberranti e provocanti pensate per bambini, fanatici concorsi di bellezza, giovanissime star del cinema sotto i riflettori, post che incalzano la foga di successo e di crescere sono elementi che fomentano la tendenza, creando senso di inadeguatezza, giustificato dalla giovinezza così calpestata.

Non che gli – scioccamente –  additati “giovani di oggi” abbiamo geneticamente sviluppato un’anomala megalomania, anche sessuale; hanno bensì gli strumenti tecnologici per realizzarla senza la cognizione e la competenza in ciò che fanno e dovranno affrontare di conseguenza. A causa del pensiero (per lo più scientificamente infondato) di personaggi come il sessuologo statunitense Alfred Kinsey (1894-1956) si è diffusa l’idea che la disciplina tipicamente cristiana di controllo sui propri impulsi fosse contro natura e dannosa al proprio benessere, mentre fosse necessario perseguire fin da piccoli una sessualità sfrenata, principio che può legittimare in qualche misura la pedofilia e infondere nei discepoli un grande egoismo, arma a doppio taglio che incide anche sui figli.

L’esibizionismo è un difetto comunemente adolescenziale, ma viene alimentato – non solo per i giovani – dalla promessa di potere e popolarità, in cambio di mercificazione di un’avvenenza conformata, un desiderio di far rumore per azioni demenziali, efferate, tanto più grande quanto più irrealizzabile e angoscioso.

Si parla inoltre di generazione porno-nativa, perché la squallida e aggressiva pornografia inquina le menti già a partire dai dieci anni, per la sfacciata e incitata soddisfazione dei propri impulsi nel mondo adulto.

Il problema sorge lampante dalle foto dei profili, dalle canzoni diffuse tra i giovani, fa notare l’autore di Pornolescenza Antonio Morra. Si tende a scambiare come normale ciò che invece è un meccanismo subdolo, contro cui combattere è necessario per la realizzazione individuale, per un’autostima indipendente da standard di bellezza che piegano a superflui interventi estetici, contro discriminazioni e stereotipi frustranti; questi ostacolano il miglioramento della società, minano la spensieratezza e la psiche, deformandole. Tale accelerazione dei tempi porta a maggiore immaturità e insicurezza.

Conseguenza del fenomeno è anche la formazione di soggetti fragili, superficiali, infelici perché troppo suscettibili al giudizio, ai paragoni altrui, per realizzarsi secondo le proprie inclinazioni; diventano facili prede di disturbi psicologici e alimentari: pur di raggiungere una bellezza idealizzata quanto naturalmente irraggiungibile, detestano e cambiano esteriormente se stessi. Questo forzato passaggio al mondo adulto in mancanza di requisiti psicofisici sembra rassegnare in particolar modo le ragazze a assolvere una passività da bambola nella sfera affettiva, da cui la violenza di genere.

Per rimediare si richiede un’esemplarità oggi fiaccata dal carattere generalmente permissivo dei genitori, figli di una simile società, illusi di dirigere così la prole alla felicità.

Dovrebbero invece individuare e estirpare le consuetudini che spingono i più piccoli in questo senso (giocattoli, filmati e soprattutto frasi sessualizzanti e pressanti, come “sei bellissima con il mascara” o “hai la fidanzatina?”); è importante trasmettere valori basati sul rispetto per la persona a prescindere dall’apparenza, parlare di corpo e sessualità con cautela in modo da costruire le basi per un pensiero critico e autonomo. Almeno per i più giovani e impreparati, sarebbe consigliabile attivare il parental control sul loro dispositivo. Servirebbe un ritorno all’innocenza dovuta all’infanzia, all’apprezzamento di fatti semplici e concreti, come passare tempo in compagnia, senza la schiavitù dal cellulare, dalla moda.

Insomma una chiave di risoluzione a tanti problemi odierni sarebbe cessare il meccanismo che ci fa pensare all’online come un rifugio dall’insoddisfazione, dalla paura del concreto, una scelta libera di postare, apprezzare contenuti irriverenti: queste sono abitudini conformanti e avvilenti. Esso è un mezzo da prendere con le pinze, che può ridurre le distanze, ma se usato male anche crearle. Crearle tra persone, tra l’io e ciò che conviene mostrarne.

È il momento di prendere coscienza del problema, affrancarci dalla schiavitù che ci piega all’analfabetismo emotivo, al bisogno del display e quindi al senso di solitudine.

Questo vuoto ha bisogno di essere riempito da affetto genuino, che pur richiedendo sforzi, sazia, diversamente da boriosa esaltazione di futilità (lusso, aspetto fisico), di spavalderia, irriverenza, elementi oggi di nocivo conformismo.

Altrimenti si crea un circolo vizioso per cui si cerca di curare ferite nelle loro stesse cause – come TikTok, Instagram … Finiamola, anche a costo di chiedere aiuto, col pensiero fisso di guardare il display, di affidargli l’educazione dei bambini. Sennò finiamo tutti per sviluppare assuefazione, stordimento, alienazione.

Del resto, un diplomando su due non consegue il livello minimo negli INVALSI di italiano e matematica. Rischiamo quindi di promuovere una società futura sempre più pigra, asservita alla tecnologia e alle sue influenze sul comportamento, una maggioranza vulnerabile e manipolabile, scissa, insoddisfatta.

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