Il LeoMagazine, per la sua natura di testata di legata ad una istituzione, non può e non vuole prendere posizioni “di parte”. Questo non significa però chiudere gli occhi davanti ai drammi che purtroppo stanno lacerando il mondo non troppo lontano da noi. Non lo abbiamo fatto per l’Ucraina, non lo faremo adesso per questo nuovo conflitto in Medio Oriente. La nostra solidarietà va alle vittime e ai loro familiari, ai ragazzi massacrati nel rave party, ai bambini orrendamente uccisi nel kibbuz, ma anche a tutti i morti e i feriti dei bombardamenti. Se il terrorismo non può che ispirarci totale e assoluta repulsione, auspichiamo comunque che la reazione di Israele non sfoci in una “rappresaglia”, perchè purtroppo quando la parola è alle armi è molto difficile rispettare certi “confini”. In questo articolo, cerchiamo di risalire alle radici del problema, che speriamo un giorno possa trovare una soluzione nel rispetto della dignità e della libertà di tutti. DDN

Il conflitto arabo-israeliano ha avuto inizio nel 1948, dopo la spartizione decisa dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) della Palestina in due nazioni: Israele e Stato della Palestina. Il conflitto, sebbene per il momento sia limitato allo scontro tra i due stati precedentemente citati, continua ancora oggi. Quello di sabato 7 ottobre è solo l’ultimo atto di un terribile spettacolo che continua da settantacinque anni.

Le radici della guerra sono dunque antiche. In Europa, a fine ottocento, quando era molto diffuso l’antisemitismo, il giornalista ebreo Theodor Herzl fonda il Sionismo, un’ideologia politica il cui scopo era la creazione di uno stato ebraico, proprio in Palestina, poiché considerato il luogo “di nascita” del popolo ebraico. Al termine della Grande Guerra la Palestina passa dal controllo dell’impero ottomano a quello della Gran Bretagna. Quest’ultima però, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ormai esausta in seguito al più grande conflitto della storia umana e con la sua occupazione non gradita, sia dalla popolazione araba palestinese che da quella ebraica, diede in mano all’ONU la gestione della questione palestinese. Proprio dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale, la popolazione ebraica europea ebbe più che mai bisogno di trovare un territorio pronto ad accoglierla. La Palestina era però abitata, in numero superiore alla popolazione ebraica, dagli arabi palestinesi. Così, dopo l’abbandono della Gran Bretagna, l’ONU si occupò, nei primi anni del dopoguerra, della gestione geopolitica del territorio. Sebbene la maggior parte della popolazione della Palestina fosse araba, l’UNSCOP (il Comitato speciale delle Nazioni Uniti per la Palestina, il quale era composto da Australia, Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, India, Iran, Jugoslavia, Paesi Bassi, Perù, Svezia ed Uruguay) e poi 25 stati membri dell’ONU (tra i quali URSS e Stati Uniti, che mai chiamarono in causa i diretti interessati), il 29 novembre 1947, approvano la Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale e il territorio palestinese venne diviso in questo modo: allo stato ebraico venne concesso più il 56% del territorio, tra cui le città di Tel Aviv e Haifa; la restante porzione di territorio venne concesso allo stato arabo. Fece eccezione la città di Gerusalemme, la quale, almeno inizialmente, rimase sotto il solo controllo delle Nazioni Unite. All’indomani della decisione dell’ONU, incominciò la prima vera e propria fase del conflitto israelo-palestinese. Alcune persone di origine ebraica vennero uccise in diversi momenti della giornata da alcuni terroristi, i quali, come del resto tutto il movimento arabo, furono scontenti della spartizione del territorio da parte delle Nazioni Unite, proprio perché, sebbene la maggior parte della popolazione palestinese fosse araba, più di metà del territorio venne ceduto allo stato ebraico.
Dopo un inizio di 1948, dove ci furono le prime schermaglie armate che raggiunsero il culmine il 9 aprile 1948 con il massacro di Deir Yassin (un villaggio arabo, dichiaratosi neutrale al conflitto) nel quale persero la vita un centinaio di civili per mano israeliana; a metà maggio iniziò l’invasione del neonato stato di Israele (istituito ufficialmente il 14 dello stesso mese) da parte della Lega degli Stati Arabi, la quale era composta da stati come Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Iraq, Libano e Siria. Quest’ultimi vennero, inaspettatamente, respinti da Israele, il quale, con un contrattacco, passò da avere il 56% della Palestina a quasi l’80%. Rimasero sotto il controllo arabo la Striscia di Gaza, che passò in mano all’Egitto, e una porzione di territorio ad est di Gerusalemme, la quale venne chiamata Cisgiordania e rimase sotto il controllo della Giordania fino al 1967. Un altro importante cambiamento avvenne proprio nella città di Gerusalemme, la quale come per Berlino, venne divisa in due zone: ovest (la parte israeliana) ed est (la parte araba). Sebbene dopo il 1948 il conflitto abbia avuto una tregua, la lotta tra le due opposizioni non cessò mai veramente e così sfociò nella Guerra dei Sei Giorni. Tra il 5 e il 10 giugno 1967 Israele, in seguito alla chiusura degli stretti di Tiran e per paura di un imminente attacco dei paesi arabi, invase Siria, Egitto e Giordania. La guerra venne vinta, per l’appunto, in sei giorni e Israele prese il controllo della Striscia di Gaza e della penisola del Sinai, prima egiziane; delle alture del Golan, prima siriane e della Cisgiordania. Di conseguenza anche Gerusalemme venne conquistata, in tutto il suo territorio, da Israele. Gli esiti del conflitto non piacquero alle Nazioni Uniti, i quali chiesero ad Israele di abbandonare i territori conquistati. Grazie agli accordi di Camp David (una delle residenze del presidente degli Stati Uniti d’America) del 1978, Israele cedette all’Egitto la regione del Sinai, mentre le alture del Golan rimangono tutt’ora in mano israeliane. Proprio in questi anni, nacque l’OLP (l’organizzazione per la Liberazione della Palestina) che chiese ad Israele parte del territorio da esso precedentemente conquistato. Contemporaneamente però, le fazioni più radicali di coloro che rivendicavano la Palestina come uno stato arabo, alzarono il tono della loro voce incrementando il numero di attacchi terroristici in Israele e non solo. Uno dei più famosi attentanti terroristici fu quello di Monaco di Baviera in Germania del 1972. Il 5 maggio 1972 un commando di uomini armati, fece irruzione nel palazzetto israeliano del villaggio olimpico di Monaco e prese in ostaggio nove atleti israeliani dopo averne già uccisi due. Dopo ore di negoziazione con la polizia locale e un viaggio in elicottero fino all’aeroporto di Fürstenfeldbruck, l’attentato finì nel peggiore dei modi, con la morte di tutti gli ostaggi. Anche il nostro paese fu luogo di attacchi terroristici da parte degli arabi palestinesi: nel 1973 e nel 1985 (in contemporanea con l’aeroporto di Vienna) venne attaccato da due diversi gruppi armati l’aeroporto di Roma Fiumicino, dove persero la vita in totale quarantanove persone, terroristi esclusi.
Nacque così l’organizzazione terroristica di Hamas.
Un tentativo di pace venne effettuato nel 1993 ad Oslo, dove sotto mediazione del governo statunitense, Israele si impegnò a riconoscere la Striscia di Gaza e la Cisgiordania come porzioni di territorio governate dall’ANP (Autorità Nazionale Palestinese). Malgrado questi accordi, Israele non cedette mai veramente né tutta la Cisgiordania agli arabi Palestinesi né la Striscia di Gaza, e questo scatenò, nuovamente, una serie di attentati terroristici da parte di Hamas.

Così arriviamo a sabato 7 ottobre 2023, quando l’organizzazione di Hamas ha intrapreso un attacco a sorpresa contro Israele, il quale, negli ultimi anni, ha attuato una politica spesso dura nei confronti della popolazione araba in Israele, con reazioni della parte più estremista che sono purtroppo spesso sfociate nel terrorismo. L’operazione Alluvione Al-Aqsa, che sottolinea una sconfitta dell’intelligence israeliana (la quale viene giudicata come una delle migliori al mondo), si è concentrata ai confini della Striscia di Gaza, dove l’organizzazione militare di Hamas ha tentato un’incursione nel territorio israeliano. All’alba del 7 ottobre, Hamas ha dichiarato di aver lanciato circa cinquemila missili sul territorio nemico, sebbene questa affermazione non sia stata confermata dal governo israeliano. L’offensiva di terra sembra essere stata bloccata, sebbene i terroristi arabi abbiano ucciso in modo efferato oltre 260 persone durante un rave party in territorio israeliano e tengano in ostaggio centinaia di persone, tra cui donne e bambine. In queste ore di grande tensione, si teme una controffensiva di Israele che potrebbe invadere la striscia di Gaza. Sebbene quest’ultimo abbia avvertito la popolazione civile di questa possibilità e abbiano raccomandato di scappare verso l’Egitto (dove sono stati creati degli apposti corridoi umanitari), una possibile invasione della striscia potrebbe comunque causare una strage.

Oltre alla guerra sul territorio della Palestina, un’altra forma di “guerra” si potrebbe scatenare in Europa. Proprio in seguito ad eventi di questo genere, si “svegliano” le cosiddette “cellule dormienti”, ovvero persone appartenenti alle frange più estremiste dell’Islam, le quali conducono una vita apparentemente normale ma che, dopo avvenimenti come quelli della settimana scorsa, per rivendicare le vittime musulmane, compiono attentati nelle grandi città europee, storicamente schierate con Israele.
Proprio nella serata di lunedì 16 ottobre 2023, il terrorista tunisino Abdeslam Jilani ha aperto il fuoco nella città di Bruxelles, uccidendo due cittadini svedesi, presumibilmente nella capitale belga per assistere alla partita di calcio Belgio-Svezia, al grido di: “Allah Akbar“. L’uomo dopo aver freddato a colpi di fucile le due vittime nell’atrio di un palazzo, ha prima sparato contro delle auto in strada e poi si è dato alla fuga a bordo di un motorino bianco. Il terrorista è poi stato abbattuto dalla polizia belga in un caffè marocchino di Bruxelles, dopo essere stati avvertiti della presenza dell’uomo da un cliente del bar.

L’attacco di sabato 7 ottobre hanno scatenato polemiche e discussioni sulla situazione in Medio Oriente, soprattutto attraverso i social media. Negli ultimi giorni sono girati nelle principali piattaforme social come Instagram e X (attuale nome di Twitter) diverse foto e video fasulli, tra cui uno anche su un ipotetico bombardamento di una chiesa ortodossa di Gaza. Questo genere di contenuti viene diffuso per polarizzare l’opinione pubblica a proposito del conflitto, perciò è bene ricordare il pericolo delle false notizie in circolo. La guerra non è mai una cosa semplice e non può essere la soluzione. I nostri pensieri vanno alle vittime degli attacchi e a tutti gli sfollati costretti ad abbandonare le loro case.

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