Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale che avviene il 27 gennaio di ogni anno. La data è stata scelta nel 2005 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e rappresenta il giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di Auschwitz, diventando testimoni dell’indicibile violenza subita dalle vittime, delle torture psicologiche e fisiche a cui erano stati sottoposti con lo scopo di essere completamente sterminati. 

Il campo di Auschwitz era uno dei 20.000 lager (termine tedesco che indica campi di concentramento, di sterminio e di lavoro forzato), costruiti dal governo tedesco tra il 1933 e il 1945 con lo scopo di eliminare quelle categorie di esseri umani ritenute indesiderate, tra cui gli ebrei, gli omosessuali, appartenenti al popolo rom e dissidenti politici, per il loro efficiente annientamento, come previsto dai programmi del Terzo Reich

Abbiamo avuto l’onore di intervistare Adam Smulevich, giornalista e saggista, redattore delle Comunità Ebraiche Italiane e autore di saggi sulle leggi razziali e il mondo dello sport. Recentemente ha scritto un articolo per il Corriere Fiorentino riguardo l’installazione di 17 nuove pietre d’inciampo a Firenze avvenuta negli scorsi giorni. Le pietre d’inciampo sono un’iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig per diffondere la memoria delle vittime dei lager. Si tratta di blocchi di pietra ricoperti da una lastra di ottone che reca il nome della vittima, installati nelle strade davanti alle ultime abitazioni dei deportati. Demnig ha iniziato questo progetto nel 1992 in Germania, oggi ha installato oltre 70mila pietre in numerosi paesi europei tra cui l’Italia. A Firenze ha installato più di 80 pietre di inciampo negli ultimi cinque anni. 

Durante l’inaugurazione delle nuove pietre d’inciampo della scorsa settimana, è arrivato dagli Stati Uniti Roberto Benucci, discendente di Alessandro Benucci, che nel 1943 avrebbe denunciato alle autorità italiane un suo collega di lavoro, Goffredo Paggi, a cui è stata dedicata una delle pietre. Roberto ha lasciato la sua dimora in Florida per commemorare insieme a Vera Paggi, parente della vittima: una riconciliazione non usuale. 

Riprendendo l’articolo che lei ha scritto riguardo le nuove pietre di inciampo installate a Firenze alcuni giorni fa, le volevo chiedere se lei conoscesse altri aneddoti interessanti come quella successa all’inaugurazione della pietra d’inciampo di Goffredo Paggi?

L’iniziativa delle pietre d’inciampo ha preso piede in Italia solo a partire da gennaio 2010 a Roma. In seguito altre città italiane hanno seguito l’esempio, tra cui Firenze dal 2020 su iniziativa dell’ex presidente della Comunità ebraica di Firenze Daniela Misul, insieme all’amministrazione comunale e altre istituzioni. Le pietre d’inciampo rappresentano un segno di memoria, ed è fortemente significativo che questa iniziativa abbia avuto inizio in Germania, paese che ha fatto i conti con il suo passato prima di quanto non abbia fatto l’Italia. Il nome dell’opera non sta a indicare il rischio di inciamparci sopra ma che attirano l’attenzione e entrano a far parte della storia e dell’aspetto di una città. Le pietre di inciampo non celebrano solo vittime della Shoah, ma anche gli oppositori del fascismo.

L’episodio che ho descritto nel mio articolo è particolarmente significativo: non accade molto spesso che il discendente della vittima e il discendente del suo delatore, che lo ha denunciato alle autorità destinandolo al campo di concentramento, si riuniscano e si parlino.  Ci sono personaggi che hanno una forza evocativa importante, come Goffredo Paggi e come la professoressa Enrica Calabresi, anche lei protagonista di una delle pietre di inciampo installate negli scorsi giorni. La professoressa e scienziata di entomologia Enrica Calabresi è stata docente a Firenze e Pisa, dopo essere stata arrestata nel 1944, si è tolta la vita in carcere prima di essere deportata in uno dei campi di concentramento. Alla sua memoria sono stati dedicati il reparto di entomologia del Museo della Scapola e il libro Un nome dello scrittore e giornalista toscano Paolo Ciampi.

Un’interessante storia è anche la vicenda di Nathan Cassuto, a cui è stata dedicata una pietra d’inciampo alcuni anni fa sempre a Firenze. Figlio di un eminente studioso di ebraismo, Umberto Cassuto, dall’inizio delle deportazioni è stato molto attivo nell’aiutare numerosi ebrei a lasciare la propria casa fornendo loro documenti falsi e alloggi. È stato arrestato nel novembre del 1943, tradito da un delatore, e spedito al campo di concentramento di Auschwitz dove è morto. Suo figlio David Cassuto è sopravvissuto ed è tornato a Firenze dopo essere stato vicesindaco di Gerusalemme durante gli anni Novanta: ha raccontato che durante il suo mandato a Gerusalemme ha sempre cercato di riportare un po’ di quell’atmosfera fiorentina che ha vissuto in gioventù, quando il padre lo portava in giro per Firenze, città che ha dovuto abbandonare a 7 anni e fuggire clandestinamente per mesi.

Secondo lei in Italia c’è impegno nel ricordare il giorno della memoria?

Penso che tutti i paesi debbano impegnarsi a mantenere viva la memoria di quel periodo storico, vale a dire mantenere l’empatia e l’interesse di conoscere le storie di coloro che l’hanno vissuto, anziché fare semplicemente riferimento a delle cifre, con il rischio di farle sentire questioni distanti. Sono storie di vite spezzate, di famiglie, di sogni, di speranze. Il rischio è di non soffermarsi abbastanza su questo piano e fare solo grandi enunciazioni di principio, che però non riescono a trasmettere alcun tipo di sentimento. Posso affermare che Firenze è molto impegnata a mantenere vivo l’interesse e la storia attraverso diverse iniziative, soprattutto verso gli studenti attraverso le scuole e non solo. Le pietre d’inciampo rappresentano un po’ la fatica della memoria, infatti l’ideatore di questa opera viene ogni volta per posizionarle lui stesso. L’importante è vivere la memoria, la sfida è ricordare ogni vita perduta. Allo Yad Vashem (anche detto Ente nazionale per la Memoria della Shoah) di Gerusalemme c’è la Sala dei Nomi: una sala circolare con le pareti ricoperte da attualmente due milioni di nomi delle vittime della Shoah, accompagnati da una breve biografia. Nella stanza un altoparlante pronuncia i nomi scritti senza sosta. Secondo la tradizione ebraica finché un nome viene pronunciato il suo ricordo non scompare, e continua a vivere nella storia e nella coscienza delle persone, per questo lo scopo della Sala dei Nomi è quello di dare un luogo fisico e un luogo letterale ai sei milioni di ebrei uccisi. 

Mi ha colpito la citazione pronunciata da Enrico Fink, presidente della Comunità ebraica fiorentina nel suo articolo: Gli italiani tendono a sentirsi parte soltanto dell’aspetto bello della storia. Conosce altre storie dove c’è stata una sorta di riparazione e conciliazione tra i discendenti delle vittime e quelli dei persecutori?

Esiste un principio ebraico, Tiqqun ‘olam (in ebraico תיקון עולם‎), che significa riparazione del mondo e una vicenda che si ricollega a questo tema è quello dell’associazione Ricordiamo insieme, con sede a Roma. Quest’associazione è animata da Federica Wallbrecher, che nel 2016 interessandosi al passato dei suoi nonni ha scoperto che facevano parte del partito nazista e che addirittura suo nonno aveva fatto parte delle guardie di quartiere, che avevano il compito di perquisire le case e scovare ebrei fuggitivi. La verità sulle sue origini l’ha spinta a fondare insieme ai nipoti di Settimia Spizzichino, l’unica sopravvissuta degli ebrei del ghetto di Roma, rastrellati il 16 ottobre 1943.

0 0 votes
Article Rating