La vera rivoluzione non è l’esibizione di una falsa coscienza, non è un evento isolato che viene dal e si conclude nel nulla.

Nella consapevolezza che una certa dose di relativismo è sana, che è legittimo e di pari rilevanza seguire i propri interessi e le proprie inclinazioni culturali nell’obiettivo comune di nobilitare l’animo umano nelle sue svariate espressioni, in questo articolo si parla di matematica congiuntamente alla politica.

Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate (Voce fuori campo del Poeta)? No, ma lasciamo ogni sussiegosa presunzione. Non aspettiamoci di capire tutto e subito, di possedere la verità unica, totale ed incontrovertibile. Bisogna dedicare tempo ed energia alla scoperta della verità, che è assoluta e transeunte, in base al contesto, almeno in matematica, almeno quando non si parla di soprusi, ma di soluzioni democratiche, di scelte di vita innocue o persino benefattrici … bisogna però strapparsi quei paraocchi che ci fanno pensare che tutto, per un presunto diritto, debba essere semplice, immediato. Che esista La soluzione che mondi possa aprirti, direbbe il sensibile Montale.

Al nostro mondo consumista ed ipocrita, che tende ad appiattire, banalizzare e commercializzare tutto pur di avere successo, queste parole sembreranno eretiche. Pedanti tirate moralistiche, frutti di saccenteria, inutile ed odiosa. A che giova, se i riconoscimenti, le grandi inaugurazioni, contano più del merito, della manutenzione che esistono spesso nel silenzio? Il bene (se si fa, ma anche se non si fa), si dice! La cultura (anche se non si ha), se serve a qualcosa, serve ad affermarsi! Si devono seguire tali valori, per essere qualcuno! In questa corsa all’affermazione dell’io, si pensa che la felicità sia facile da raggiungere. Bastano pasticche, basta non pensare. E invece no. E invece l’astio e la “spassosa” invettiva verso chi è diverso nascondono un certo malessere. Chi fa del male, probabilmente lo ha anche dentro di sé, verso di sé.

Dopo questo lagnoso ed altisonante cappello, vagabondo e prolisso, procediamo al cuore della questione (cui in qualche modo si è accennato). Come? Definendo meglio i confini della trattazione, che tuttavia spalanca uno spiraglio, o un portone, verso l’assoluto, dal momento che la matematica è l’unica disciplina, oltre alla teologia, che ha a che fare abitualmente con passaggi logici e l’infinito (l’infinità dei numeri, dello spazio, ad esempio …). Si parla insomma del saggio La matematica è politica (Vele, 2020) della matematica e scrittrice Chiara Valerio.

Si ricordano, tra le sue pubblicazioni, A complicare le cose (Robin, 2003), Storia umana della matematica (2016) e La tecnologia è religione (Einaudi,  2023), oltre alla sua attività di traduttrice per nottetempo di Flush (2012) e Freshwater (2013) di Virginia Woolf.

Dall’inizio alla fine, l’autrice ci guida attraverso una lettura agile, ironica ed aforismatica, incisiva. Talvolta forse troppo incisiva, e meno condivisibile… Del resto, la sua è una rivoluzione: non riconoscere alcun principio di autorità, ovvero il presupposto per cui qualcosa è vero solo perché … ipse dixit.

Esso non ha alcuna validità in matematica, perché una verità è constatabile da chiunque, come l’esercizio autentico della democrazia (in teoria). La sua non è una maschera da rivoluzionaria, un atteggiamento da anticonformista irriverente: piuttosto una ricerca di punti fermi e democratici, che si avvera però nel relativismo, cioè nella particolare forma mentis per cui la verità cambia a seconda del punto di vista, a patti che tale punto di vista sia fondato, e non soggetto all’arbitrio bizzoso di qualche opportunista.

Affermazione relativistica che nella dimensione temporale, quella in cui ci realizziamo come esseri umani, si avvera nella democrazia ad esempio, nelle modalità con cui è possibile realizzarla a seconda dell’epoca in cui si vive; invece, nella dimensione che dal tempo è svincolata, il relativismo si realizza con le varie matematiche che sono state scoperte, o inventate (a seconda … dei punti di vista!).

Ma veniamo al quia: la matematica sembra accessibile solo ai geni, a chi, per straordinarie doti, riesce a farla propria. Invece no! La matematica esige esercizio (senza nulla togliere all’esercizio di riflessione che si svolge in ambito umanistico o, in senso lato, scientifico, con cui non si vuole qui tessere paragoni, difficili e delicati da affrontare se non nello scherzo e purtroppo, nella rivalità).

Certamente ci sono dei geni, ma le dimostrazioni, le verità che si dispiegano in ambito matematico sono partecipate. Senza tessere elogi all’errore, esso è comunque costitutivo della condizione umana, e spesso solo provando strade sbagliate e confrontandosi si è capito quale fosse quella giusta. E gli errori possono non essere tali in base alla branca con cui si ha a che fare!

Cosa sono questi discorsi relativistici astrusi ed astratti?! Forse un esempio può chiarificare la questione: si parte dalla geometria euclidea, in cui esiste un’unica retta passante per un certo punto e parallela ad un’altra, ma grazie a grandi studiosi come Gauss, soprattutto a padre e figlio Bolyai, si è creata una geometria non euclidea, in cui, a partire da un diverso postulato, si arriva alla conseguenza contraria a quella invece valida in geometria euclidea! Le due conseguenze sono quindi verità assolute, ma relativamente alla branca presa in considerazione! La verità si dice perciò transeunte.

Ma … la matematica è asettica! Isola! È difficile … è il legittimo incubo dei comuni mortali … Tra questi miti che, essendo radicati in società, rendono spesso scomoda la trattazione della matematica, solo nella difficoltà c’è del vero.

Se si guarda a fondo, come la matematica, la democrazia procede per deduzioni derivanti anche da sbagli individuati e quindi allontanati, a volte approssimando, o facendo previsioni. Ci sono quindi tra esse rilevanti analogie, che rendono la prima una buona palestra per la seconda, in base alla tesi della studiosa. Interessante è ad esempio l’analogia rilevata tra matematica e democrazia nel concetto di superadditività: se nel primo ambito esso significa per esempio che il quadrato di binomio non è la semplice somma dei quadrati di ciascun monomio, ma che vi si deve aggiungere il doppio prodotto tra essi, in ambito democratico esso significa che un cittadino è più della mera somma dei suoi diritti e doveri giuridici, dei suoi dati biologici, come invece ci fanno vedere le più inquietanti distopie: il cittadino autentico è reso più complesso dalla relazione col mondo, da quella sua ineffabile unicità morale.

L’esercizio in matematica è inoltre una via che ci fa tendere alla perfezione, pur senza umanamente raggiungerla. Ci porterebbe così, secondo l’autrice, anche ad un senso religioso, per cui, direbbe Galileo, la matematica è la lingua del grande e divino libro della Natura, gelosa della propria complessità al punto tale da diluirla in varie forme, affrontabili con apposite branche matematiche; scoprire ciò con paziente e costante passione può così essere un arricchimento in ambito esistenziale, oltre che culturale.

La scrittrice ribadisce la preziosità nella crescita personale operata dai contributi in ambito umanistico, ma anche dalla sinergia tra i vari ambiti del sapere per creare qualcosa che va oltre la mera somma delle nozioni, qualcosa di spiritualmente prezioso per la vita di tutti, in materia di consapevolezza della propria condizione e condivisione con gli altri. Afferma anche che i veri matematici, pur non essendo i soli, sviluppano con lo studio una buona capacità mediatica, essendo abituati già dalla stessa matematica ad esercitare un rigoroso criterio di distinzione tra i contesti in cui si pone un problema, contesti che possono comportare diverse soluzioni. Insomma, la matematica può aiutare a creare quella che secondo l’autrice è una nobilitata “postura del cervello”, così come un atleta, anche dopo anni di interruzione della pratica, tende a conservare nel proprio corpo tracce del lungo esercizio.

Inoltre, come può la matematica considerarsi asettica ed isolante, se le pagine dell’autrice trasudano della storia umana della matematica, fatta di scambi, inimicizie ed amicizie tra studiosi? Se tra gli elementi che strutturano la materia, ineludibili sono la proporzione e l’armonia tanto care all’impeccabile gusto estetico degli antichi greci?

L’autrice stessa del resto collega alla trattazione della matematica citazioni poetiche, ricordi personali, grandi ideali (si ricordi per esempio il suo motto “l’istruzione è orizzontale, la cultura verticale”, per cui il diritto allo studio deve essere essenziale e senza discriminazioni nella formazione della persona, ma resta irremovibile l’impegno necessario ad una cultura più profonda); è poi poetico, se si vuole, che la matematica faccia capire come tutti senza alcuna distinzione possiamo raggiungere verità universali, che ci accomunano grazie alla ragione di cui siamo dotati.

Interessanti ed attuali sono anche alcune osservazioni circa la politica, la quale purtroppo si esaurisce spesso nell’esibizionismo, nell’ego arrivista, piuttosto che rivolgersi alla funzione esercitata, all’onere e all’onore da essa comportati in una visione collettiva; la matematica invece insegna a dare più spessore, piuttosto che alle cose in sé, alle relazioni tra esse, espresse dal fatto che un fenomeno è in funzione di un altro.

Scritto in tempo di Covid, il saggio non può mancare di cenni anche alla vita in epoca di pandemia, che andava purtroppo in molti casi a coincidere con sussistenza, consumo e paranoia.

Consumismo, egoismo, senso di non appartenenza e di libertà come assenza di responsabilità sono però virus che continuano a contagiarci. Nel testo sono infatti presenti richiami agli articoli della Costituzione italiana atti ad ammonire circa l’importanza del senso civico come difesa dalla dittatura, ad esempio il 54, in cui si stabilisce che chi ricopre funzioni pubbliche deve adempierle con disciplina ed onore.

Importante e al contempo inquietante è poi la riflessione sulla progressiva semplificazione, sull’intrattenimento come surrogato della formazione educativa, fenomeni che vertono alla dittatura, in cui valgono solo l’ipse dixit e il principio di obbedienza. L’antitesi della dittatura è così la democrazia, la complessità, anche matematica!

Sottili riflessioni e distinzioni costituiscono del resto una parte interessante del saggio, come quelle riguardo alla differenza, talvolta subdola ed impercettibile, tra protezione e controllo da parte dello Stato sui cittadini. L’ambiguità della protezione in ambito sanitario ad esempio si è verificata tra l’accettare le regole varate in tempo di Covid e il subirle, in quanto limitazioni di diritti costituzionali: si citano quindi in modo calzante la varie libertà costituzionalmente sancite, come quella di circolazione (art. 16), riunione, chiamata spregiativamente, solo assembramento (art. 17), e studio (art. 34); non è infatti un mistero che l’infodemia allora creatasi abbia passato quasi sotto silenzio la sofferenza di studenti e professori, come se costituissero una parte poco rilevante del futuro della società! Non sembra dunque opinabile che la scuola sia stata pesantemente sacrificata rispetto ad altri paesi, in cui il lockdown è stato meno gravoso, anche dal punto di vista produttivo. L’infodemia ha poi fomentato panico, confusione e sofferenza (per non dire nevrosi) nei vari strati della società.

Sappiamo però che la matematica è anche pratica: chi non compra mezzo chilo di pane? Quanti sono i sistemi elettronici esistenti che si basano su principi fisici, coadiuvati dalla matematica? Quanta la scienza basata sulla matematica, con ricadute sia benefiche (in ambito ad esempio medico), che distruttrici? Non serve del resto ricordare le guerre, sempre più simili a carneficine assurde ed indiscriminate, collegate alla tecnocrazia più scellerata.

Forse, è però un po’ pesante nel saggio l’eco delle vaste conoscenze e riflessioni dell’autrice, che intesse numerosi e sia pure interessanti collegamenti, coinvolgendo vari ambiti del sapere: dalla matematica, alla filmografia (cartoni animati compresi!), alla letteratura … tali osservazioni tendono forse a scoraggiare il lettore medio, che si trova un po’ disorientato tra tutte le dotte citazioni e le articolate riflessioni.

Talvolta, sono inoltre inserite osservazioni piuttosto personali e per questo non per chiunque condivisibili, o percepibili come superflue …

Ma si è sempre in tempo per colmare certe lacune culturali, e spetta al de gustibus l’ultima parola sulle ultime questioni menzionate.

Si può insomma considerare il contributo di Chiara Valerio rilevante dal punto di vista etico, oltre che culturale e politico, in un mondo che considera sempre più la vera cultura come un morbo da secchie, e che verte così all’anonimato, all’aridità, all’opulenza, semmai materiale.

Strumento di difesa è invece la cultura perseguita con serietà e senza discriminazioni verso chi l’apprezza con l’onestà intellettuale e l’umiltà di chi più sa, e più sa di non sapere, direbbe Socrate! Strumento di difesa è anche questo saggio, perché è un possibile aiuto nel rinforzare la consapevolezza che solo la formazione di cittadini che considerano primaria la relazione responsabile con gli altri e con la cultura può portare ad un benessere autentico (quindi anche imperfetto); l’opera dà infine un prezioso monito contro il macabro dittatoriale, senza libertà, senza umanità, che si avvererà se si persegue la deresponsabilizzazione, l’apatia, l’opportunismo, insomma l’ignavia.

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