Lee Harvey Oswald, impiegato della Texas School Book in Dealey Plaza, si trova su un tetto da cui è ben visibile il corteo presidenziale che era giunto nella città di Dallas nel giorno 22 novembre 1963; nelle sue mani è serratamente stretto un fucile calibro 22, dal cui mirino la limouisine con a bordo il Presidente degli Stati Uniti e sua moglie è convenientemente ingrandita. L’orologio segna le ore 12.30, e in quell’istante Lee esplode 3 colpi in direzioni della vettura, uccidendo quello che, per via di questo drammatico episodio, diventerà suo malgrado uno dei Presidenti più famosi della storia: John Fitzgerald Kennedy.

( L’auto pochi istanti prima dell’attentato).

Kennedy nacque il 29 maggio 1917 a Brookline, da una agiata famiglia che aveva la politica nel DNA visto che il nonno materno fu sindaco di Boston per ben due volte. Dopo una formazione di primo ordine, tra cui figura anche il nome dell’illustre università di Harvard, “Jack” (modo in cui era chiamato) si arruolò nella marina militare e combatté nella seconda guerra mondiale. Durante il conflitto svolse soprattutto missioni nell’Oceano Pacifico, particolarmente caldo dopo l’attacco di Pearl Harbor, fino ad ottenere il grado di Sottotenente di Vascello.

Finita la guerra iniziò per Kennedy la carriera politica, che nel giro di quattordici anni, dal 1946 al 1960, lo portò a diventare leader del partito Democratico statunitense. Durante la sua scalata John è stato anche costretto a restare nel letto quasi infermo per circa un anno, dal 1951 al 1952 per la precisione, per via di un’infezione scaturita da una placca metallica posta chirurgicamente sulla colonna vertebrale, che si era fratturata anni prima per colpa di una partita di football ad Harvard. Fu anche la postura insolita di Kennedy, dovuta a una leggera differenza di lunghezza delle sue gambe, ad aggravare la sua situazione medica.

Nel 1960, una volta diventato alfiere dei democratici, decise di concorrere alla Casa Bianca.

Il testa a testa definitivo avvenne con il repubblicano Richard Nixon, in una vera e propria competizione incerta fino all’ultimo grazie anche e soprattutto all’abilità oratoria dei due avversari. La rivalità sfociò in un incredibile confronto faccia a faccia che per la prima volta nella storia americana, venne trasmesso in televisione. In tale circostanza la maggior parte dei cittadini vide vincitore Kennedy per la sua maggiore cura e presenza scenica, ma tutti riconobbero comunque il valore di Nixon.

Da quel momento in poi fu globalmente riconosciuta la potenza divulgativa della televisione a sfondo politico, e la importanza per le elezioni, ed è per questo che ancora oggi il confronto tra i due candidati alla presidenza viene trasmesso e seguito con incredibile attenzione da tutti i cittadini.

Kennedy nel 1960, all’età di quarantatré anni, divenne quindi il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America con un leggero scarto di voti sul suo avversario.

Il periodo storico in cui Jack si trovò a dover governare però è forse uno dei più complicati di sempre per gestire uno stato, specie se questo stato è l’America. Ci troviamo infatti nel bel mezzo della Guerra Fredda, nata dalle ferite indelebili della Seconda Guerra Mondiale, periodo in cui il mondo si trovava diviso brutalmente da due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, che provavano a spartirselo.

Il maggior pericolo per gli americani nel ’63 era rappresentato da Cuba, sotto il governo di Fidel Castro, strettamente collegato con la Russia, che aveva costruito una base missilistica sotto disposizione sovietica. Kennedy si trovò allora davanti a un dubbio amletico: se avesse attaccato Cuba, avrebbe dato via a un conflitto “caldo” con l’URSS, e se non la avesse attaccata, l’isola avrebbe rappresentato un pericolo troppo grande e incombente per l’America, anche perché se fosse stata Cuba a sferrare il primo attacco, data la sua vicinanza, avrebbe reso impossibile una risposta da parte degli americani.

Nonostante le pressioni da parte dei suoi ministri, il Presidente decise di intraprendere la via della diplomazia, incontrando il segretario generale del partito Comunista dell’Unione Sovietica Nikita Chruščёv, e riuscendo così a far ritirare i missili dall’isola cubana. La calma dopo la tempesta, e il timore per quello che poteva essere un conflitto di proporzioni disastrose, portarono addirittura alla stesura del “Partial Test Ban Treaty”, il 5 agosto dello stesso anno, cioè un trattato grazie al quale si limitavano fortemente gli esperimenti nucleari a sfondo bellico e non solo.

(Kennedy e Chruščёv)

L’avventura presidenziale di Kennedy si concluse anzitempo, prima della fine del mandato di quattro anni previsto dalla Costituzione, in quel giorno funesto di fine novembre in cui trovò tristemente fine la sua vita per mano dell’ex soldato Oswald. Quello tra l’altro fu il primo di una serie di misteriosi omicidi politici che insanguinarono l’America negli anni sessanta, tra cui figurano i nomi del fratello Robert, e dei due pensatori afroamericani Malcom X e Martin Luther King.

La morte di John apre anche la tradizione a quella che a livello mondiale è ritenuta una vera e propria credenza, la maledizione dei Kennedy, ossia una serie di misteriosi omicidi e incidenti che hanno portato nel giro di qualche decennio alla morte di una buona parte della sfortunata famiglia.

Tensione e violenza sono quindi le parole chiave che etichettano la pagina di storia degli anni sessanta, un momento in cui portare avanti le proprie idee poteva significare rimetterci la vita, un momento in cui il pericolo di una terza guerra mondiale era sempre dietro l’angolo, un momento in cui vivere era sicuramente complicato.

La miglior cosa da fare nel giorno del suo compleanno è ricordare John Fitzgerald Kennedy nel modo in cui voleva esserlo quando nel 1960 giurò con la mano sulla Bibbia di difendere il suo Paese: Non come il presidente famoso perché è stato assassinato, ma solo come il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, che voleva solo il bene e la pace della sua nazione.

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