“La Cannabis terapeutica prodotta in Italia non basta più e il Ministero della Salute in un emendamento al Decreto fiscale presentato dal Governo ha stanziato più di 2 milioni di euro per le serre; inoltre ha stabilito che le spese per la produzione della pianta non saranno più a carico delle regioni italiane che già da qualche anno le sostenevano da sole, ma a carico del servizio sanitario nazionale in tutta Italia.”

L’utilizzo medico e terapeutico della cannabis affonda le sue radici nell’antichità. La cannabis ha una storia legata alla medicina tradizionale cinese: usando i semi della pianta come alimento vennero scoperte le sue proprietà medicinali. Era tra le prime 50 “fondamentali” erbe mediche, veniva prescritta per il trattamento di diversi sintomi ed era utilizzata persino dall’Imperatore Shen Nung, appassionato di farmacologia. Nel 2737 a.C. Shen fu il primo ad includere i benefici legati all’uso della marijuana in un trattato di medicina. In molti altri scritti scientifici del Primo secolo a.C. la cannabis era raccomandata per più di 100 disturbi molto comuni in quel tempo, come gotta, malaria, reumatismi etc.. Secoli dopo, sempre il popolo cinese la consigliava persino per il trattamento di emorragie, infezioni, parassiti e nausee; fu poi proprio un medico cinese, Hua Tuo, il primo ad utilizzarla anche come anestetico. Nel 1550 a.C. nel Papiro Ebres, dell’Egitto antico, veniva descritto l’uso della cannabis medica per disturbi infiammatori. Le migrazioni di tribù nomadi dell’Asia Centrale, del Primo e del Secondo secolo a.C., favorirono la diffusione della cannabis in Europa. Questo fino alla prima metà del Medioevo, quando la “civilizzazione” delle culture pagane ne condizionò la progressiva scomparsa dal continente europeo. L’inquisizione del XII secolo si scagliò contro l’uso della cannabis, ma i viaggiatori di ritorno da Africa e Asia rintrodussero la pianta in Europa e nel 1621 l’inglese Robert Burton la consigliava per il trattamento della depressione. Solo all’inizio dell’800, grazie al medico irlandese O’Shaughnessy, entrato in contatto con la cannabis nel 1830 mentre viveva in India, si ebbe la nascita di un vero e proprio interesse scientifico. Esso fu il primo a introdurre, nel 1842, la cannabis nella medicina occidentale come “il perfetto rimedio anticonvulsivo”. Dopo altri studi e ricerche scientifiche, nel 1854 arrivò anche in America, accompagnata dall’avvertimento riguardo al fatto che alte dosi del potente narcotico, adesso meglio analizzato, sarebbero potute rivelarsi pericolose. Subito prima della Seconda Guerra Mondiale gli studi vennero bloccati, l’uso della cannabis in medicina cominciò a diminuire verso la fine del XIX secolo a causa della difficoltà nel controllare i dosaggi e dell’aumento della popolarità dei farmaci sintetici e derivati da oppio. Negli Stati Uniti, l’uso medico della cannabis diminuì ulteriormente con l’approvazione del Marijuana Tax Act del 1937, che impose numerose restrizioni e alte imposte sulle prescrizioni mediche della pianta. La cannabis venne rimossa dalla farmacopea degli Stati Uniti nel 1941 e venne ufficialmente vietata per qualsiasi uso con il passaggio della legge sulle sostanze controllate del 1970. Un anno più tardi, con il libro del dottor Lester Grinspoon “Marijuana Reconsidered”, primo testo “moderno” a riesaminare in modo critico e senza pregiudizi la letteratura scientifica antica e recente, venne ampiamente rivalutata. Reintrodotta a causa del frequente utilizzo compassionevole da parte dei pazienti affetti da tumore e AIDS che avevano riportato giovamento dagli effetti della chemioterapia e dalla perdita di peso, nel 1996 la California divenne il primo Stato Usa a legalizzare la cannabis medica in contrapposizione alla legge federale. Nel 2001, il Canada fu il primo paese ad adottare un sistema che disciplinasse l’uso medico della cannabis e, nel 2005, ad autorizzare la messa in commercio di un estratto totale di cannabis sotto forma di spray sublinguale per il trattamento del dolore neuropatico dei malati di sclerosi multipla e cancro. Nel 2006 il medicinale venne approvato negli Stati Uniti per essere sottoposto a studi clinici di Fase III per dolore intrattabile in pazienti con tumore. Tutt’oggi la cannabis, in molti Paesi, sta acquisendo sempre più notorietà come trattamento per le patologie più disparate; i moderni metodi di indagine scientifica hanno permesso di convalidare molti degli effetti terapeutici scoperti in passato, trovandone persino di nuovi. In Italia la cannabis dal punto di vista medico è legale dal 2007, quando l’allora ministro della Salute Livia Turco riconobbe con un decreto l’uso in terapia del cannabinoide delta-9-THC e dei suoi omologhi. Nel 2013, quando ad essere ministro della Salute era Renato Balduzzi, fu esteso il riconoscimento dell’efficacia per scopi terapeutici anche alla pianta di cannabis in forma vegetale e ai suoi estratti e preparati. Dal momento che in Italia la sanità è gestita a livello regionale, nonostante le norme a livello nazionale introdotte dal decreto del ministero della Salute alla fine del 2015, ogni Regione ha la possibilità di legiferare in materia. Ad oggi sono 4 le regioni italiane che non hanno ancora emanato leggi, norme o provvedimenti per regolare il settore e sono: Calabria, Molise, Trentino-Alto Adige e Sardegna, dove a giugno è stata depositata una proposta di legge. Dal gennaio 2017 è stata attivata la produzione statale della cannabis terapeutica solo da parte dell’Istituto chimico e farmaceutico militare di Firenze e la vendita nelle farmacie autorizzate. Recentemente l’istituto ha chiesto aiuto al Ministero della Salute poiché la reperibilità della cannabis in qualche regione è molto difficile; si parla di una vera e propria “carenza della sostanza, destinata ad aggravarsi ulteriormente nel quarto trimestre del 2017 e nel primo del 2018”.  Con l’ emendamento di qualche giorno fa è stato deciso di stanziare nuovi fondi per la produzione della cannabis che non sarà più solo a carico dell’Istituto di Firenze ma anche di altri istituti italiani, nel rispetto delle rigidissime norme in materia. Come diretta conseguenza si assisterà inoltre ad una riduzione delle importazioni dall’ estero, soprattutto dall’Olanda. A far mancare la marijuana è stato soprattutto l’aumento del numero di pazienti entrati in trattamento da quando è iniziata la produzione nazionale nello stabilimento militare: ormai decine di migliaia di persone usano la cannabis per i sintomi delle loro malattie, soprattutto quelli legati alla spasticità e al dolore.

Il dibattito sulla cannabis ruota da tempo su due posizioni in netto contrasto: è un “farmaco” utile in diverse malattie, senza effetti collaterali o è una sostanza che può indurre dipendenza e alla lunga provocare danni al fisico e alla mente? Ad oggi c’è chi sostiene, come la fondazione Gimbe che  ha lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario, che ci siano scarse evidenze scientifiche sui potenziali benefici e rischi della cannabis terapeutica negli adulti con dolore cronico e inoltre sostiene che ci sia una scarsa conoscenza degli effetti a lungo termine. A sostenere questa tesi “contraria” ci sono anche associazioni cattoliche che vedono nella legalizzazione dell’uso terapeutico la diminuzione della percezione del rischio legato al consumo della marijuana e prevedono un aumento dell’utilizzo della cannabis. C’è da ricordare però che le differenze tra la cannabis terapeutica e quella per scopi “ricreativi” sono molteplici: l’effetto della cannabis come farmaco si basa sui composti che contiene, i cannabinoidi. Il più noto, il THC, è all’origine sia degli effetti psicoattivi della canapa sia delle sue proprietà farmacologiche. Tutto dipende quindi dalla percentuale di THC e di CBD, altro importante cannabinoide maggiore responsabile degli effetti palliativi e antinfiammatori della pianta; infatti la cannabis medicinale essendo coltivata biologicamente è molto più controllata e presenta un livello di THC basso che non provoca effetti psicoattivi e che la rende “legale”, ma ha un livello di CBD molto più elevato. Da entrambe le parti ci sono ancora delle perplessità riguardo l’utilità del così detto “medicinale”; sebbene ci siano degli studi sui pazienti che dimostrano l’efficacia della pianta e ci sia stato nell’ultimo anno un aumento delle richieste di questo farmaco, dall’altra parte i dubbi sono ancora molti. Da quale parte la verità? Ha davvero effetti “positivi” sui malati? È giusto stanziare dei soldi per questo tipo di ricerca? Porterà a una totale legalizzazione di questa droga? Questa, forse, la più grande paura.

 

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