Il 16 marzo il Leomagazine ha avuto un importante appuntamento con lo scrittore Leonardo Gori presso l’Auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Il secondo appuntamento con un autore doc, dopo quello dello scorso anno con Giulio Leoni; una continuità che avrà sviluppi anche nel futuro.

Presente tutto lo staff del Leo (al microfono: Enrico SansoneSara DannaouiLeonardo PelagattiAlessio La GrecaMatteo Chelli; in platea: Dario Fanfani, Niccolò Lumini, Michelangelo Rogai, Francesco Orlandi e i membri del giornale), il direttore responsabile professor Domenico Del Nero e ospiti esterni;  l’ evento ha suscitato molto interesse nelle file del pubblico.

Un incontro che vede nuovamente come protagonista del libro il colonnello Bruno Arcieri ne L’ultima scelta, ambientato nei durissimi anni di piombo, anni segnati dalla paura, da tensioni politiche e dallo spionaggio.

Un titolo dal doppio significato, come d’altronde tutti i titoli dell’autore, che sottintende in realtà due scelte, una che ha a che fare la recente storia italiana, l’altra da trovare nel finale e che dunque solo i lettori del libro scopriranno. Un velo di mistero necessario in una storia di spionaggio. Ed è proprio quest’ ultimo a fare da sfondo a tutto il libro dove spesso vengono chiamate in causa servizi segreti sia nazionali (come il SIFAR) sia “privati”, ed è anche contro di loro che Arceri si batte.

I ragazzi del Leo, affascinati dallo studio psicologico e umano fatto su Bruno Arcieri, riconoscono in lui un agente che non rispecchia il classico agente 007. Il colonnello deve essere in grado di non farsi influenzare dal suo complesso passato, deve lasciare gli orologi nel cassetto e mettere gli aspetti della sua vita in secondo piano. Molto particolari le sue notti dove lui sogna profondamente. Questi sogni, spiega Gori, sono per la maggior parte suoi propri, quindi reali ovviamente tra  quelli che gli sembrano più adatti; altri invece sono inventati. Caratteristico dei suoi libri è sicuramente il rapporto storia-invenzione, perfetto sotto vari punti di vista, perchè in effetti se si deve immaginare il vero Bruno Arceri non lo si può che pensare come Gori lo descrive : tignoso, testardo, fedele e determinato.

Lo scrittore ha anche confessato una delle sue tecniche fondamentali nella scrittura. Come stato sottolineato da Enrico Sansone la molteplicità dei dettagli(sempre in primo piano) e i decisi ritmi di narrazione, portano il lettore ad immedesimarsi nel personaggio. D’ altronde è questo che Gori cerca di passare al lettore. Il segreto è usare una narrazione “in finta terza persona” dove Arceri fa, Arceri vede e Arceri dice ma tutto sotto una chiave soggettiva in cui tutto è raccontato dallo sguardo del colonnello.

Gori confessa di non conoscere il suo protagonista sin dall’inizio delle sue narrazioni. Di lui conosce vagamente la storia, i pensieri, i sogni e le sue paure. Inizia a raccontarli e di pagina in pagina, tassello dopo tassello, il personaggio prende forma e diventa credibile. Ne è prova il fatto che inizialmente era stato immaginato un personaggio molto meno caratteristico di quello di Arceri, un semplice maresciallo come tanti.

Gori procede con la stessa tecnica in realtà per tutta la narrazione: parte da un’idea vaga di cosa succederà, del filo conduttore e poi si lascia andare. Racconta che per i suoi primi scritti realizzava una scaletta, dunque concepiva tutto già prima, ma così facendo si accorse di dare vita a personaggi freddi e poco credibili. Non era il suo obiettivo, li voleva liberi. Perciò lasciò spazio al cambiamento e procedette dando più spazio alla penna e al cuore piuttosto che alla testa.

Il colloquio si è poi indirizzato più propriamente sugli interessi dello scrittore: da dove nasce la sua passione per i servizi segreti e per l’intelligence? Si ispira a qualcosa/uno per lo sviluppo psicologico del personaggio?

Gori dichiara di avere un maestro, John Le Carrè. Costui è autore di un ciclo di romanzi legati alla realtà del MI5 con un personaggio britannico serial, George Smiley, profondamente diverso dal “tipico” James Bond. Si ispira a quei romanzi perché hanno una forte introspezione psicologica: tutti i personaggi sono molto profondi. Ammette anche di essere abbastanza legato a George per la sua vita sentimentale piuttosto complessa.

Per quanto riguarda i servizi segreti, dice di non esserne un grande conoscitore. Arcieri, essendo un personaggio scomodo in quegli ambienti, gli permette di parlarne in maniera obliqua.

Proseguono le domande, delle quali rimane molto sorpreso Gori, e si evince che la struttura del libro ricorda quella di un diario di viaggio, se non addirittura quella di un videogioco. Ogni giornata è scandita da un ritmo preciso: colazione, scambio di battute con l’agente americano, pranzo, ora d’aria in cui prova a far combaciare i pezzi del puzzle, cena, riposo e infine la notte dominata dai suoi sogni. La sua interazione con gli oggetti è quella però da tenere sott’occhio: come in un videogioco ciascun particolare potrebbe essere un indizio, potrebbe tornare in seguito, tutto potrebbe servire a qualcosa.

L’autore rivela poi di non entrare mai veramente nello specifico, bensì di rimanere sul laterale. Solo così ne escono delle immagini interessanti, sorprendenti e soprattutto delle emozioni dall’interno.

A fine incontro Gori mostra un dettaglio originale del suo libro: in fondo vi è una raccolta di ricette; non casuali, sono alcuni dei pasti di Arcieri, le cui illustrazioni sono realizzate da Francesco Chiacchi, ideatore anche della copertina. Si può dire che quest’ultimo abbia creato un vero marchio esclusivo per le avventure di Bruno Arcieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

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