Ormai da qualche anno internet, i social e i dispositivi ad essi legati fanno parte della nostra quotidianità. E’ innegabile come essi siano la nuova frontiera di comodità e velocità per comunicazione, ricerca di informazioni e condivisione di opinioni. Spesso però il web può essere un luogo pieno di insidie e pericoli che possono distruggere psicologicamente una persona.  Nerve incarna perfettamente questo lato oscuro della rete. Il gioco, da cui prende il nome l’opera cinematografica di Ariel Schulman e Henry Joost, ha due tipi di giocatori: gli spettatori e i giocatori veri e propri. “Gli spettatori pagano per guardare, i giocatori giocano per vincere soldi e gloria” come recita lo slogan di presentazione del gioco. Gli spettatori propongono sfide ai giocatori basandosi sulle informazioni raccolte tramite attente operazioni di stalking in tutti i vari profili social dell’interessato e facendo leva sulle loro debolezze e paure. I giocatori che hanno un determinato lasso di tempo per portarle a conclusione, se non riescono hanno fallito e sono eliminati dal gioco, perdendo tutti i soldi guadagnati, oppure possono ritirarsi e venire ugualmente eliminati. Gli ultimi rimasti si affrontano in finale e il vincitore prende tutto.

La protagonista interpretata da Emma Roberts è la classica liceale timida che non ha mai violato le regole, fatto qualcosa di rischioso o anche semplicemente dichiararsi a un ragazzo e dopo un’ennesima delusione in questo campo decide di iscriversi a Nerve come giocatrice. Le prime sfide sono un po’ imbarazzanti (al pubblico piace così) ma ancora fattibili. Ma nel corso dell’arco narrativo viene fuori un tetro restroscena del gioco che più si avvicina alle fasi finali più diventa pericoloso. “Vai in moto bendato a 60 km/h” “Cammina su una scala messa in orizzontale che collega due palazzi alti 20 metri” “Distenditi sui binari e fatti sorpassare da un treno”. Queste sono solo alcune delle sfide che dovranno affrontare i giocatori. Senza contare il fatto che dovranno filmarsi mentre rischiano la vita. Nerve passa da città a città, la “sessione di gioco” del film è quella di New York, ma in un’edizione precedente a Seattle un ragazzo aveva persino perso la vita. Ma come: nessuno ha detto niente? Nessuno ha avvertito le autorità? “Prima regola del fight club, non parlare mai del fight club”, e infatti i tentativi di denuncia di questo gioco sono seguiti dall’aggiunta di una 3° categoria di iscritti: i prigionieri. Nerve,e chi vi è dietro, ruba loro l’identità, fa in modo che i parenti del giocatore perdano il lavoro, minacciano i loro amici e l’unico modo per uscirne è vincere il gioco.

I giocatori vogliono i soldi, gli spettatori vogliono spettacolo. Queste ossessioni sfociano inevitabilmente nel rovinarsi gradualmente la vita in attesa della prossima sfida da giocare o guardare.

Chiaramente esagerando (ma non più di quanto si potrebbe pensare) questo film porta a una seria riflessione su come i social media possano davvero condizionare il nostro modo di pensare e, se usati nel modo sbagliato, portare una persona a dipendenza, depressione, insicurezza, e in alcuni casi più estremi  (realmente accaduti) mutilazioni  e/o suicidio. Nerve ci dice che una cosa così vicina a noi potrebbe diventare portatrice di pericoli di questo tipo che causerebbero non pochi problemi a livello sociale e non solo.

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