Ci sono degli spettacoli di cui si sente parlare tanto, di cui non si vede l’ora di vedere la rappresentazione, spettacoli su cui ci si informa, si legge e si ascolta per prepararsi al meglio per entrare in quel mondo che ti farà sognare e riflettere. E’ successo questo con “Uno zio Vanja” di Anton Cechov, regia di Vinicio Marchioni e coproduzione di  Khora.teatro e del Teatro della Toscana, andato in scena in prima nazionale al Teatro della Pergola venerdì scorso (26 gennaio).

Ivan Petrovic, Zio Vanja, amministra insieme a Sonja il vecchio teatro che hanno ereditato. Versano i redditi al cognato, il professor “magister”, vedovo della sorella di Petrovic e padre di Sonja. L’apparente serenità famigliare viene turbata dall’arrivo dell’illustre accademico che si stabilisce con i due, insieme alla seconda moglie, Elena, bellissima ed attraente. Rapporti familiari all’arsenico, resi perfettamente da una compagnia teatrale che sa sottolineare tutte le sfumature dei personaggi senza mai andare “sopra le righe”.

Il professore si rivela solo un mediocre sfacciatamente ingrato e zio Vanja sembra ribellarsi. In un momento d’ira arriva perfino a sparargli, senza colpirlo. Nemmeno questo gesto estremo, che porta alla partenza del professore e della moglie, modifica il destino di Vanja e di Sonja, che riprendono la loro vita rassegnata e dimessa, sempre inviando le rendite del teatro al professore tornato in città con la moglie. Il tutto si mescola tra storie d’amore, mancate rivelazioni, e monologhi tipicamente cechoviani.

 Se la noia è un tema ricorrente, la straordinaria rappresentazione di Marchioni, alla sua prima regia importante, non annoia; anzi, i tormenti interiori di Zio Vanja e sua nipote Sonja, il tumulto disordinato dei cuori dei personaggi, affascinano e per due ore e mezzo trasmettono speranza.

La scenografia non è più la tenuta agricola come nell’originale dramma cechoviano, l’opera si svolge nelle zone terremotate dell’Italia centrale e i problemi dello zio russo sono riportati al presente, in un vecchio teatro nei luoghi appena colpiti dal sisma. La trasposizione ai nostri tempi non ha per niente cancellato l’anima russa, non ha intaccato minimamente il testo, non ha cambiato nemmeno le pause. Non solo, le tematiche dell’opera sembrano trovare un terreno fertilissimo nei nostri tempi e con le problematiche contemporanee. Del resto lo stesso regista-attore ci aveva tenuto a precisare questo aspetto più volte.

Insieme al regista – protagonista Vinicio Marchioni, straordinario nel dare vita a uno Zio Vanja ora malinconico e rassegnato, ora impetuoso e violento, una compagnia collaudata e in perfetta sintonia:  Francesco Montanari è un dottor Astrov ormai vinto e rassegnato, capace però ancora di accensioni idealistiche ed amorose;  Milena Mancini, la bella Elena, nome che ricorda la conturbante protagonista del Piacere di D’Annunzio, ma femmima più fatale per accidente che per vocazione; una splendida Nina Torresi nei panni di Sonja, e Lorenzo Gioielli nel ruolo del professore sfacciato. Che lo spettacolo sia piaciuto lo testimoniano i lunghi minuti di applausi scroscianti da tutto il Teatro (riempito in ogni ordine di posti), segno che la compagnia ha dato vita a qualcosa di inedito e speciale.

Zio Vanja è una vicenda in cui rivive una tematica  che è un vero e proprio leitmotive di tutto l’Ottocento e non solo: il male di vivere e soprattutto il tedio, sia esso l’assoluta mancanza di sensazioni di leopardiana memoria o il gigantesco sbadiglio destinato a inghiottire l’umanità di Baudelaire, senz’altro più vicino allo spirito del dramma di Cechov; nel quale si può osservare, con timore forse, la nostra volontà di essere felici ed i tentativi, spesso futili e inutili, per tentare di diventarlo. Una visione non serena certo, ma quantomeno verosimile. Ma forse è proprio la visione della realtà che ci siamo costruiti, dalla quale è difficile liberarsi che ci porta a quel sentimento di speranza che scorre per tutto lo spettacolo.

Prossime rappresenazioni: fino al 4 febbraio, feriali ore 20,45, Domenica ore 15,45.

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