“Tutti i giovani dovrebbero giocare a Bridge, perché chi sa giocare a Bridge sarà bravo anche in tutte le altre cose della vita” diceva Bill Gates, fondatore della Microsoft. il Bridge viene definito come un esercizio intellettuale in grado di stimolare la socialità, la logica, il pensiero creativo, la capacità di problem solving e di spirito di squadra. C’è chi dice che il Bridge abbia il poter di unire chiunque ci giochi, grazie ad un linguaggio universale paragonabile a quello della musica. Un gioco dove la fortuna non influenza il risultato, difatti le carte vengono predisposte in maniera tale da essere uguali in ogni tavolo della competizione, una sorta di guerra ad armi pari. Ad oggi l’ insegnamento del gioco è stato introdotto in più di 60 scuole fra elementari, medie e superiori; le regole non sono delle più semplici, ma con un po’ di accortezza e attenzione chiunque può riuscire a giocarci. Bridge si basa sulle prese, ovvero il numero di mani vinte, il quale numero deve rispettare quello prestabilito durante l’asta, che anticipa il gioco, secondo quanto detto nel “contratto”. Il sistema di presa ricorda in parte quello della “briscola” con qualche modifica tipica del “tre sette”. Un gioco molto interessante che può essere giocato anche fra amici in modo divertente.

A Didacta, nello stand dedicato al Bridge, abbiamo intervistato, ponendole qualche semplice domanda il Consigliere Nazionale della Federazione responsabile del settore insegnamento, Patrizia Azzoni.

Cos’è il Bridge e come nasce?

Il Bridge è un gioco in cui si usano le carte, ma non lo so può definire semplicemente come tale, ma piuttosto un gioco di intelligenza e ragionamento il cui strumento sono le carte da gioco. Nasce anni e anni fa, in l’Inghilterra, dove era un passatempo dei nobili, o almeno così dicevano un tempo; ora invece è diventato un gioco assolutamente popolare, anche perché i costi per poter giocare sono veramente ridicoli. Da un po’ di anni è nata una federazione che è affiliata al Coni, il FIGM (Federazione Italiana Gioco Bridge) e grazie al quale abbiamo anche una copertura. E’ quindi considerato a tutti gli effetti uno sport, uno sport della mente, paragonabile a tutti gli effetti agli scacchi.

Qual è il rapporto del gioco con la scuola e il vostro obbiettivo per Didacta?

Noi siamo a Didacta perché l’intento della federazione è quello di cercare di catturare un po’ di giovani, e questo lo possiamo fare attraverso la scuola, con l’ obbiettivo di cercare di introdurre l’insegnamento del Bridge nella scuola, non necessariamente come una materia scolastica ma anche come materia di contorno. Molto spesso facciamo dei corsi dove rubiamo delle ore alle lezioni, per esempio, alla matematica, perché questo è un gioco che aiuta moltissimo nel ragionamento matematico e non solo. Oppure all’educazione fisica, essendo considerato uno “sport”, e quindi rubando queste ore riusciamo perlomeno a diffondere questa disciplina vista la sua poca conoscenza fra i giovani. Siamo qui perché facciamo sedere le persone che passano (pur non avendo giocato), siano insegnanti o studenti questo non ha importanza, per cercare in 10 minuti di dargli un indicazione su ciò che è l’interesse per la scuola del Bridge, così hanno la possibilità di vedere nell’atto pratico come funziona questo gioco, affinché poi possano promuovere il gioco nelle scuole.

In Italia il bridge è poco conosciuto, perché?

Si, purtroppo è poco conosciuto nonostante ci sia una federazione affiliata al Coni e nonostante ci siano 25 mila iscritti,un numero abbastanza consistente. Questo perché sempre è stato considerato un sport di élite ed è ciò che stiamo cercando di togliere noi dalla testa delle persone, proprio questa patina per la quale si attribuisce il gioco ai pochi. Va bene che ci vuole l’educazione, il rispetto dell’avversario e tante regole ma non è solo uno sport esclusivamente per un “determinato ceto sociale”; è ottimo per tutti ,dal ragazzino di dieci anni fino all’adulto di novanta. Se volete un esempio abbiamo un tesserato ultracentenario e che gioca tutt’ora a bridge, a tutto tondo.

Considerando la domanda precedente, perché a suo parere, il bridge è riuscito a “sfondare” maggiormente il altri paesi, per fare un esempio la Cina invece che in Italia?

Prendendo in considerazione proprio la Cina, beh lì hanno una cultura diversa. A partire dai numeri che sono diversi, loro hanno la possibilità di inserirla come materia scolastica e quindi, visto il loro numero enorme di persone, hanno ancora più scelta tra i ragazzini, i quali vengono fatti giocare quasi tutti, e per molto tempo per poi arrivare ad estrarre i più bravi e dotati. I nostri numeri non sono certamente quelli. Il Bridge nelle scuole è iniziato a diffondersi qualche anno fa qui in Italia, una ventina di anni fa più precisamente, per poi finire ad essere nuovamente meno considerato e per certi aspetti un pochettino abbandonato. Ora stiamo cercando di rilanciarlo, perché fondamentalmente l’ambiente del Bridge sta invecchiando sempre di più e abbiamo bisogno di rinfrescarlo e ricambiarlo: diciamo che stiamo lavorando adesso per il futuro, un progetto che ovviamente non sarà a breve termine. Molti di voi giovani o anche più anziani non sanno cos’è, dato poi che c’è una resistenza mentale all’idea delle carte a scuola; quasi sempre si associano le carte al gioco d’azzardo, ma questo non ha nulla a che vedere col Bridge e sedendosi al tavolo lo si può capire.

Vogliamo che il messaggio che arrivi sia proprio questo: è una gioco di carte ma che non ha nulla a che vedere con i tradizionali giochi di carte, basti pensare che soldi non ce ne sono.

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