Ci saranno molti studenti con un anno di scuola mutilato. Poca cosa confronto a chi ha perduto ben altro, ma il suo appello merita comunque rispetto e attenzione.

Caro lettore,

Come intuirai dal titolo, quello che stai per leggere è l’ennesimo appello a stare a casa.

Sicuramente sei stato sommerso, come chiunque, da questi consigli tra i discorsi del premier e gli hashtag sui social.

Ma queste non sono le solite parole che ti staranno rimbombando in testa… sono le mie, quelle di una studentessa di quinta superiore.

Il 5 marzo la notizia della chiusura delle scuole fino al 16 marzo, non nascondo che mi abbia portato un sorriso in volto, ma credo sia ovvio aspettarselo da un’adolescente stressata e sotto pressione per un esame che si stava avvicinando, a cui hanno inoltre sospeso la gita di quinta, che poteva essere l’unica scappatoia del pentamestre.

(Tengo a precisare che di certo non ero contenta del motivo per cui era stato preso tale provvedimento per l’intera nazione.)

I primi giorni li passi a dormire, a mangiare, guardi quella serie TV che non sei mai riuscito a finire per i troppi impegni, addirittura leggi quei libri polverosi di cui non ricordavi l’esistenza, e arrivi al quarto giorno che forse metti anche a posto la stanza.

I prof iniziano a contattarti, sperimentano qualsiasi piattaforma per cercare di svolgere una specie di lezione. E pensi “una settimana e poco più senza scuola, che vuoi che sia, tanto quando si torna ci fanno il mazzo”.

Tuttavia corrono le voci di un prolungamento della quarantena… ecco il discorso del Presidente Conte: restiamo a casa fino al 3 aprile (con ulteriori restrizioni alla vita fuori casa).

Di giorno in giorno sempre più saracinesche si chiudono e restano chiuse la mattina dopo.

Eppure al telegiornale si sente parlare di denunce e multe ai “furbetti” che a casa non vogliono stare: ragazzi di Parma che non volevano perdere l’aereo per la vacanza a Madrid (dal giornale la Repubblica), partite di calcetto a Siracusa ( da Ansa), festini organizzati da un pub in Emilia (da il Giornale), ritrovi al mercato per comprare le zeppole per la festa del papà, c’è chi prende il sole sulla sdraio (da NapoliToday),  chi festeggia nel garage per il compleanno (da RaiNews), ecc.

Questi sono solo alcuni esempi.

Intanto i contagi aumentano, le restrizioni pure, e viene chiamato l’esercito per intervenire in alcune località.

Arrivano nuove voci sui tempi previsti per la quarantena: quasi sicuramente staremo a casa fino ai primi di maggio, perché la situazione non sembra migliorare.

Caro lettore, io sono un po’ preoccupata.

I professori fanno di tutto per esserci accanto, ma si muovono nelle loro possibilità: nessuno di loro si è mai ritrovato in una situazione del genere, non è mai stato imposto loro di saper usare YouTube, Skype, Microsoft Teams… o di avere una tavoletta grafica per disegnare il grafico di funzioni. Non è facile parlare a un occhietto posto su uno schermo, che non mostra quello sguardo confuso, spaventato, o interessato degli studenti.

Fare lezione così è tappare dei buchi con dei cilindri cavi che riducono solo parzialmente il foro.

Il ricordo che avrò del mio quinto anno, del famigerato e indimenticabile quinto anno, sarà camera mia, incredibilmente sempre ordinata.

Sai se tutto va bene, rientrerò a scuola un mese: rivedrò i miei compagni con cui ho tanto litigato e a cui ho anche voluto bene per 5 anni, un mese; rivedrò i miei prof che avrebbero voluto insegnarmi un po’ di più, disperati come noi per l’esame, riempirci di verifiche in un mese; correrò in quei corridoi, in cui ho sempre corso o per arrivare prima al bar o per non essere in ritardo, solo per un mese. Sai quest’anno la mia classe partecipava al torneo di pallavolo del liceo, e ci mancava poco per vincere, dovevamo giocare solo la finale, non so se si svolgerà.

Non avrò ricordo della mia gita di quinta e probabilmente nemmeno del mio viaggio di maturità.

Non voglio insinuare che queste siano le cose che contano davvero, perché io sono una studentessa preoccupata per un esame e per l’ammissione all’università, mentre molti genitori non sanno come ne usciranno da questa crisi economica, molti medici e volontari sono stremati, e molti nonni hanno paura ad andare a fare la spesa.

Io sono dispiaciuta per dei giorni che tra un po’ d’anni sono sicura avrei ricordato con piacevole nostalgia.

Tutti danno di matto a stare a casa per così tanti giorni, ma una tua partita a calcetto, può far stare a casa una nazione per ulteriore tempo.

Io lettore non sono nessuno, una ragazza nata nel mondo della rete, che guardando la storia, nota un calo della solidarietà. Mi piacerebbe vedere un’Italia (ma non solo) unita per sconfiggere la minaccia di questo virus. Mi piacerebbe combattere per me e per te, stando a casa oggi, per poter uscire domani.

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