Come è ormai noto, a Pompei è stato ritrovato un thermopolium, tradotto per anglobecera mania dominante streetfood ,ergo una sorta di tavola calda. Di questo abbiamo già parlato ma ci è sorto un dubbio; i nostri lettori sanno cosa e come mangiavano i Romani? Certo non tutti, forse non molti; dunque buona lettura e ( se poi vi riesce) buon appetito. Ci permettiamo poi di sconsigliare il rispetto di certe norme del loro galateo ma …. de gustibus! (DDN)

Edamus, bibamus, gaudeamus. Mangiamo, beviamo, godiamo.

Orazio presenta così, in modo telegrafico ma molto efficace, l’arte del mangiare nell’Antica Roma.

Si parte dalla colazione, detta Ientaculum, pasto frugale consumato in piedi; i dolci pargoli di casa erano gli unici a poter beneficiare di un primo pasto come si deve, latte e focaccette; per tutti gli altri gli avanzi della cena della sera prima erano garantiti.

Il Prandium, consumato a mezzogiorno, di certo non saziava i più affamati. Rapido spuntino a base di pane, vino, frutta, legumi e pesce. Ai più poveri non spettava il pesce di mare, riservato all’élite; gerarchia alimentare che rispecchiava la gerarchia sociale. Per chi lavorava lontano da casa risultava comodo il Thermopolium, una sorta di fast food dei giorni nostri. Ne è un esempio quello scoperto a Pompei lo scorso 26 dicembre.

Tra le 15 e le 16 iniziava la Coena, il pasto principale della giornata; e qui viene il bello. In caso di eccezionali banchetti si poteva protrarre fino al giorno dopo, con più di cinquanta portate.

Veniva consumata nel triclinium; uomini sdraiati su letti triclinari e donne sedute, almeno fino alla fine dell’età Repubblicana.

Il galateo, come lo intendiamo oggi, era il vero e proprio tallone d’Achille di questo apparentemente raffinato momento conviviale.

Il cibo veniva consumato con le mani, le forchette erano pressoché inutilizzate, ma non mancavano dei cucchiaini dedicati ad una educata pulizia delle orecchie.

Quello che oggi desterebbe lo sgomento di tutti i commensali, veniva invece considerato come chiaro segno di apprezzamento delle vivande: il rutto.

L’Imperatore Claudio, che soffriva di aerofagia, aveva pensato di concedere un editto un po’ particolare: avrebbe consentito la libera emissione di flatulenze a tavola per … diritto sovrano!

Le pietanze non erano quelle che ci aspetteremmo di trovare oggi anche nel più disparato cenone natalizio. Il garum era all’ordine del giorno. Illud sociorum garum pretiosam malorum piscium saniem, non credis urere salsa tabe praecordia? E quella salsa che viene dalle province, preziosa poltiglia di pesci guasti, non credi che bruci le viscere col suo piccante marciume?

Era questo il dubbio che sorgeva a Seneca riguardo al condimento che i romani prediligevano…

Usate pesci grassi come sardine e sgombri, cui vanno aggiunti, in porzione di un terzo, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri. È questo l’inizio della succulenta ricetta che Gargilio Marziale ci ha lasciato.

Sul tavolo non poteva mancare il maiale, ma come rinunciare ad un piatto di isicia de pavo (polpette di pavone)? La vulva e le mammelle di scrofa erano un must, fondamentali anche per combattere il malocchio.

Ut vites poenam de potibus incipe coenam

Per vivere lontano dai malanni comincia con buone bevande i tuoi pasti.

Ad accompagnare il tutto, infatti, all’inizio concesso soltanto agli uomini, era un buon vino, preferibilmente non quello d’orzo che, secondo Giuliano l’Apostata, puzzava come un caprone.

Dopotutto… De gustibus non disputandum est.

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