Attraverso il movimento “Women to drive” si è fatta riconoscere risultando nel 2019 come una delle 100 donne più influenti al mondo: Loujain al-Hathloul si batte dal 2016 per i diritti delle donne in Arabia Saudita, quando ha iniziato con la raccolta di 14.000 firme per una petizione che potesse porre fine al cosiddetto “sistema del guardiano”, secondo il quale la donna deve sottostare ad un uomo che ha il controllo totale sulla sua vita. Già nel 2014 aveva scontato 73 giorni di carcere per aver guidato al confine degli Emirati Arabi, mentre un anno dopo si era presentata alle elezioni locali saudite, rimanendo esclusa dalla tornata per volere delle autorità.

All’inizio del 2018 inizia il vero incubo per Loujain, con l’arresto in Arabia Saudita e la conferma della detenzione nel mese di maggio. L’attivista ha dovuto subire torture e violenze psicologiche e fisiche, denunciate dalla sorella e dal Parlamento Europeo e non ha potuto vedere avvocati e familiari.

Nonostante la mobilitazione internazionale l’Arabia Saudita ha deciso di intentare un processo che nel novembre 2020 è stato aggravato con l’accusa di terrorismo, rischiando 20 anni di carcere e addirittura la pena di morte.

Secondo quanto riferiscono i parenti la ragazza è stata in regime di isolamento per tre mesi e la sorella Lina afferma che ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro le restrizioni subite e il divieto di poter vedere i genitori. Gli stessi hanno riferito che le quattro pagine di autodifesa in cui spiegava le sue motivazioni sono state lette da Loujain con voce  bassa e tremante. La pandemia per Covid-19 non ha fatto altro che aggravare l’ansia dei parenti. Il caso Loujain non è isolato ed altre donne musulmane lottano per i propri diritti spesso negati da una cultura maschilista, come la protesta contro l’obbligo di indossare il velo. Volto noto della lotta è l’avvocatessa Nasrin Sotouteh, condannata per vari reati a 33 anni di carcere e 148 frustate come punizione per aver difeso altre donne che avevano manifestato contro l’obbligo di coprirsi con l‘Hijab.

Anche Shaparak Shajarizadeh, attivista iraniana è stata condannata ad una pena detentiva e ha subito torture, denunciate dal suo avvocato, per aver partecipato alle proteste di piazza, prima di riuscire a fuggire all’estero. Questi episodi hanno avuto risonanza internazionale grazie alla tenacia delle donne coinvolte, ma la strada per l’emancipazione femminile in paesi come l’Arabia Saudita, dove le donne devono sottostare alle decisioni degli uomini per quanto riguarda il lavoro, la vita privata e lo sport, risulta ancora molto lunga.

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