Dall’inizio della pandemia in televisione e nei giornali si è sempre sentito parlare dei medici negli ospedali, che si sono distinti per bravura e anche per il modo in cui hanno gestito questa emergenza, ma non degli operatori che lavorano direttamente sul territorio, fra cui gli operatori socio sanitari della Misericordia. Di questi fa parte Gianluca Pantano.

Chi sei e che lavoro fai?

Sono Gianluca Pantano e sono un dipendente del coordinamento delle Misericordie dell’area fiorentina, che comprende in totale 42 Misericordie. Ho deciso di far parte di questa associazione principalmente per aiutare il prossimo e alla fine è diventato il mio lavoro. Faccio parte della Misericordia di San Martino a Brozzi, la cui sede si trova in via Pistoiese, che di base copre la zona che si estende da Novoli a San Donnino. Siamo una delle Misericordie che viene chiamata più spesso e infatti siamo stati la Delta, cioè l’ambulanza composta da soli volontari, con maggiori uscite, per un totale di 130, nel solo mese di febbraio di quest’anno. Offriamo sia servizi sociali sia prestiamo soccorso in situazioni di emergenza (118) per potenziali casi di covid-19 o semplicemente traumi dovuti a incidenti e siamo comunque coordinati dai medici del 118 e dall’asl di Firenze.

Come avete gestito e state gestendo te e i tuoi collaboratori l’emergenza da covid-19?

All’inizio, a marzo 2020, quando si iniziava a sentir parlare di covid-19, vi era uno scetticismo diffuso misto a confusione generale poiché essenzialmente non era chiaro cosa fosse effettivamente questo virus e come si propagasse, basti pensare che i primi casi positivi li andavamo a prendere solo con la mascherina chirurgica perché pensavamo che si propagasse solo a contatto con esso (!). Appena ci siamo resi conto della gravità della situazione e visto che alcuni miei colleghi erano a contatto con persone anziane, i loro genitori in primis, abbiamo deciso il 6 di marzo di metterci in quarantena, io ed altri cinque miei colleghi, nella sede della Misericordia. In questo periodo ognuno svolgeva i propri turni e in particolare ci dedicavamo al trasporto dei possibili casi positivi in ospedale con ambulanze Delta-covid, ambulanze dedicate proprio al trasporto dei casi covid e che dovevano e devono tuttora essere pulite alla fine di ogni servizio. Con l’abbassamento della curva epidemiologica e anche una maggiore chiarezza riguardo alle procedure che dovevamo adottare per prelevare un positivo, ad esempio, o anche semplicemente riguardo all’abbigliamento da indossare in ambulanza con possibili positivi, decidemmo di ritornare dalle nostre famiglie il 4 maggio, dopo due mesi di inferno e di duro lavoro.  Incredibilmente nessuno di noi è risultato positivo nonostante fossimo stati a contatto con persone positive durante tutto questo arco di tempo passato in sede. E’ stata un’esperienza che ci ha reso un gruppo coeso e che comunque ci ha fatto apprezzare ancora di più il nostro lavoro e ciò che facciamo per le altre persone.

Diverse persone negano la gravità del covid: tu che ci lavori a contatto, cosa ne pensi?

Queste persone parlano di quello che in realtà non conoscono o che non vogliono conoscere. Solo i dati che ogni giorno sentiamo dai media sono paragonabili a dei bollettini di guerra e, proprio a questi dati, i negazionisti non credono. All’inizio della pandemia si poteva anche dire che queste persone si rifugiassero in discorsi complottistici perché la situazione in cui si trovavano era molto più grande di loro e difficile da sopportare e soprattutto da accettare; ora però questi ragionamenti non possono più essere fatti, anche solo per il fatto che le persone che stanno male si trovano in una condizione di salute veramente critica. E noi operatori tutto ciò lo tocchiamo con mano e lo vediamo con i nostri occhi: gli sguardi di paura mista a confusione quando andiamo a prelevare i positivi a casa ed i gesti di panico che questi fanno. Ecco, far finta di niente davanti a tutto questo è veramente un gesto ignobile e palesa l’ignoranza dei negazionisti, che non dovrebbero meritare lo spazio che gli è stato concesso fino ad ora e che gli viene ancora concesso in televisione e sui giornali. Comunque, a parte i pochi negazionisti, nelle persone ho trovato molta responsabilità: adesso non vengono più chiamate le ambulanze per motivi futili come invece accadeva prima della pandemia. Anche a marzo 2020, in piena emergenza, non c’è mai stata una chiamata extra covid, per esempio.

Ci sono degli episodi della pandemia che ti hanno colpito?

Quando trovi il signore o la signora che potrebbero essere tuo padre o tua madre distesi sulla barella in attesa di essere trasportati all’interno del pronto soccorso dell’ospedale. Tu sei lì, con la bombola di ossigeno in mano e l’unica cosa che puoi fare per loro, oltre a dargli l’ossigeno, è stringergli la mano. Non gli dici che andrà tutto bene, ma gli stringi la mano. E mentre cercano il contatto con te, unica figura umana in una situazione disumana, tu sei semplicemente impotente: li guardi negli occhi, loro guardano te. Tu gli fai un sorriso accentuando molto l’espressione degli occhi quasi chiusi, proprio per rendere evidente questo tuo sorriso, e loro continuano a guardarti, distesi, e impotenti anch’essi, inconsci del loro destino. E poi, quando arriva il loro turno, dopo che le solite sette/otto ambulanze in fila davanti al pronto soccorso hanno lasciato il paziente che avevano trasportato, li accompagniamo all’interno dell’ospedale: luogo che ora più che mai può essere paragonato all’ospedale buzzatiano del racconto Sette piani.

Ringraziamo Gianluca per ciò che ci ha detto riguardo alla situazione che ha vissuto in piena pandemia e speriamo che questa testimonianza sia un invito ai giovani e meno giovani a entrare a far parte della Misericordia, o comunque delle altre associazioni di volontariato, perché ciò che fanno è un vero e proprio gesto di umanità e di aiuto verso il prossimo.   

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