Si avvicina la data stabilita dalla Commissione Europea entro la quale tutti gli Stati membri devono adottare la norma che prevede la messa al bando della plastica monouso in Europa: 3 Luglio 2021.

Nel 2019 è infatti entrata in vigore la Direttiva SUP (Single Use Plastics) o “Salvamare”, che fa parte della strategia “plastic free” della Commissione Europea, secondo cui tutti i prodotti per i quali esistono in commercio alternative più eco-sostenibili, devono sparire dal mercato comunitario; in particolare quei prodotti in plastica monouso di uso quotidiano come cotton fioc, posate, piatti, bicchieri, cannucce, contenitori per alimenti e per bevande.

Per altri articoli in plastica, come ad esempio attrezzi da pesca, sacchetti, bottiglie, confezioni e involucri, filtri per tabacco, articoli sanitari e salviette umidificate, la direttiva prevede invece di applicare misure diverse, quali: la riduzione del loro consumo, schemi di etichettatura specifici e responsabilità estesa del produttore, che dovrà coprire i costi di trasporto e rimozione dei rifiuti, secondo il principio “chi inquina paga”.

Le linee guida della direttiva hanno inoltre come obiettivo la raccolta separata del 90% delle bottiglie di plastica entro il 2029, la progettazione di tappi che rimangano fissati alle bottiglie ed anche quello di integrare il 25% di plastica riciclata nelle bottiglie a partire dal 2025.

Lo scopo globale della norma è quello di ridurre l’impatto sull’ambiente, prevenendo i danni in particolare sul mondo marino e sulla salute umana, nonché promuovere il passaggio ad un’economia circolare, improntata sul riciclare e su produzioni con materiali innovativi e sostenibili.

La prospettiva temporale è al 2026, anno in cui occorre che ogni Stato membro dimostri una riduzione quantificabile del consumo dei prodotti di plastica monouso rispetto al 2022.

L’inquinamento da plastica è infatti ormai diventato uno dei temi ambientali più dibattuti, dato che la produzione di oggetti in plastica usa e getta ha superato la nostra capacità di gestirla quando diventa rifiuto, tanto da necessitare un accordo mondiale, negoziato dalle Nazioni Unite. Questo tipo di inquinamento, anche se più evidente nei paesi in via di sviluppo dell’Asia e dell’Africa, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inesistenti, persiste anche nel resto del mondo soprattutto nei paesi con basse percentuali di economia di riciclo.

L’ introduzione della plastica ha portato molti benefici, ad esempio ha rivoluzionato la medicina con dispositivi salvavita, ha reso più leggere le automobili e gli aerei (consentendo di risparmiare carburante e inquinare meno), ha salvato vite con caschi ed incubatrici ed è stata utilizzata in attrezzature per rendere potabile l’acqua.

Nell’uso quotidiano però il facile utilizzo e il basso costo dei prodotti plastici ha portato ad un abuso e alla cultura “dell’usa e getta”, che ha determinato l’emergenza ambientale in cui oggi viviamo. Molti di questi prodotti, ad esempio le buste di plastica o gli involucri per cibo, che vengono utilizzati per poche ore, rimangono purtroppo nell’ambiente per centinaia di anni.

La responsabilità dell’inquinamento mondiale da plastica è da una parte di turisti e cittadini, che non svolgono correttamente la raccolta differenziata, ma sono soprattutto le aziende ad inquinare di più: ogni anno dalle industrie vengono scaricati nel Mediterraneo quasi 40 milioni di oggetti di plastica, insieme ad altre sostanze inquinanti. Le imprese però finora non hanno investito nella gestione dei rifiuti che producono, né nel riciclo, utilizzando esclusivamente plastica vergine, perché il processo produttivo è meno costoso.

Una volta che arrivano in mare, i rifiuti di plastica vengono degradati dal sole, dal vento e dall’acqua salata in piccole particelle, spesso inferiori al mezzo centimetro, dette “microplastiche”, che si degradano poi in pezzi sempre più piccoli, tanto da essere ritrovati addirittura nei sistemi di fornitura dell’acqua potabile e negli alimenti.

Ogni anno inoltre milioni di animali vengono uccisi dalle plastiche: uccelli, pesci e altri organismi marini, ma anche terrestri, perché mangiano questo materiale o perché ne rimangono intrappolati.

Una volta che i rifiuti di plastica sono arrivati nell’oceano, è molto difficile recuperarli; la soluzione, quindi, è anzitutto prevenire impedendo che questi entrino nei fiumi e in mare e l’ obiettivo potrebbe essere raggiunto migliorando i sistemi di gestione dei rifiuti e di riciclaggio, attraverso una progettazione diversa del packaging ed una minor produzione di quella plastica monouso di cui si potrebbe fare a meno; ossia gli obiettivi previsti nella Direttiva SUP.

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