In occasione delle recite di Falstaff al Maggio Musicale Fiorentino, abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare il protagonista, grande voce e grande interprete del firmamento della lirica. Lo ringraziamo di cuore, insieme all’ufficio stampa del Maggio che ha reso possibile questa intervista.

Nicola Alaimo è un baritono palermitano di grande esperienza e di incredibile talento. La sua carriera è costellata di numerosi successi e interpretazioni strabilianti; vincitore del premio Abbiati 2016, anche in questi ultimi giorni ha conquistato il pubblico con la sensazionale interpretazione di Sir John Falstaff nell’omonima commedia lirica di Verdi al teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Lo spettacolo è stato un successo, forse addirittura al di sopra delle già notevoli aspettative: la punta di diamante di una stagione teatrale di alto livello, che è ripartita fortunatamente a gonfie vele con il tutto esaurito dopo l’epidemia, grazie anche alle bellissime iniziative del Maggio, prima tra tutte sicuramente la maggiocard che consente ai giovani sino a 30 anni di accedere al teatro a prezzi stracciati e che ora è addirittura gratuita grazie a un accordo con Unicoop. E giovane ed entusiasta è stato in buona parte proprio il pubblico di questo Falstaff.  Sotto l’eco ancora udibile degli applausi del pubblico, abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare Nicola Alaimo: persona squisita dietro le quinte come sul palcoscenico, non ha disdegnato di accogliere con entusiasmo e disponibilità dei redattori ancora … ai primi vocalizzi giornalistici!

Maestro lei ha esordito nel 1997 in un ruolo buffo: la Cenerentola di Rossini, ma il suo repertorio
comprende ruoli sia seri che comici. In quale si sente più a suo agio?


Accidenti, partiamo subito con una domanda bella tosta!
A me piace moltissimo far ridere e sorridere la gente, sono lieto quando si crea questa empatia fra me e il pubblico; sia nelle opere buffe che in quelle drammatiche. Ma nelle opere buffe un po’ di più. Mi piace quando la gag funziona e quindi arriva al pubblico direttamente. Quando, per esempio, nel Falstaff, che non è proprio un opera comica, ma
è  tratta da una commedia di Shakespeare, anche se Giuseppe Verdi la definiva buffa, c’è un momento in cui, nel duetto con Ford io dico a lui: “Fra una mezz’ora, sarà nelle mie braccia!” e lui esplode dicendo: “Chi?”, io lo guardo e dico: “Alice”. Questa cosa un po’ diverte il pubblico e io lo sento. Avverto che arriva quel sorriso che un po’ mi aspetto, e quindi questo è appagante. Perciò un po’ più nei ruoli buffi sicuramente.”


E a questo proposito, cosa significa e cosa comporta per lei calarsi in un personaggio?


“Tutto, è la fase fondamentale della mia vita artistica da 25 anni a questa parte. Questo è stato, grazie anche ai miei maestri, come dire…. il mio modus operandi, il mio stile di vita nell’arte. Immedesimarsi in un personaggio e perfezionarlo, credo sia una cosa fondamentale aldilà dell’aspetto musicale e vocale. Proprio perché noi siamo attori inscena, io antepongo sempre la recitazione all’aspetto vocale. Preferisco fare un suono brutto, che sia però espressivo, perché l’espressione è fondamentale. Anche le pause sono espressione. Se fai una pausa, non è che poi stai lì ad aspettare la prossima frase. Le pause sono vive, sono espressioni, e i nostri grandi compositori lo sapevano benissimo. Quello che componevano: anche le virgole, i virgolettati e i punti di sospensione, tutti hanno un significato nello stile del compositore. E questo speravano di tramandare agli attori, e un attore bravo cerca di carpirne i più profondi significati e portarlo sulla scena. E questo è fondamentale, credo.”


Per un cantante il mestiere è sicuramente più difficile rispetto a quello di un attore
comune, infatti ci sono sia il regista che il direttore d’orchestra a tenere d’occhio. Qual è il
suo equilibrio tra proscenio e golfo mistico?

“Il discorso della regia e il rapporto fra palcoscenico, buca o fossa orchestrale è abbastanza complesso, ed è abbastanza difficile trovare un’alchimia totale, ma ad esempio nel Falstaff l’abbiamo ottenuta con il regista, con il direttore (che è uno straordinario musicista) e i cantanti, sia nelle parti femminili che in quelle maschili; e devo dire che il lavoro è venuto, non voglio dire in maniera perfetta perché non voglio fare il presuntuoso; ma certo uno spettacolo molto bello, molto interessante. Il regista ha operato in maniera molto meticolosa, anche quasi pesante, nel senso buono del termine, perché abbiamo lavorato a pieno ritmo e lui non ha mai concesso niente. Ad esempio, ci sono i registi che dicono: “Vabbè dai la prova finisce alle 20, stasera finiamo alle 19:30. Poi tutti a casa.” Noi finivamo se mai alle 20 e 01, quindi siamo stati moto caricati da lui e con un lavoro straordinario che evidentemente ha reso, perché lo spettacolo è veramente bello. Poi c’era il maestro Gardiner che curava tutto l’aspetto musicale in maniera
impeccabile secondo me. Ha fatto un lavoro certosino, anche l’orchestra che è diventata un tutt’uno con noi, si divertiva con noi, e si diverte con noi, e diventa protagonista di se stessa insieme ai protagonisti di scena, e questa è una cosa meravigliosa quando si crea.”


Ancora a questo proposito, lei ha lavorato con registi come Livermore e direttori
d’orchestra come Muti, Levine, Daniel Harding e naturalmente Sir John Eliot Gardiner,
com’è stato il suo rapporto con loro? Può raccontarci qualche episodio particolare?


“Ne ho un po’ di episodi, di aneddoti. Il Maestro Muti lo conobbi nel 2003, quando io cantavo come cover, senza recite con il Trovatore al Ravenna festival. C’era un mio collega che faceva tutte le recite e io ero semplicemente cover: ovvero colui vede le prove e interviene se il collega non sta bene. È successo che durante le prove del Trovatore, che erano le prove di regia coadiuvate dalla moglie del maestro, Cristina Mazzavillani, lei facesse provare entrambi i cast: sia i titolari che i cover. Li faceva lavorare in maniera uguale perché non voleva fare discriminazioni: un atteggiamento
molto bello. E poi si lavorava, quindi già questo era positivo. Ed ecco che io chiedo un permesso per andare a Milano per un impegno; e proprio quel giorno –  noi si provava da una ventina di giorni e non si era mai visto, il maestro Muti è venuto a vedere le prove di regia e ha voluto ascoltare il cast. Mi ricordo che io nervosissimo telefonai a mamma e le dissi: “Mamma è venuto Muti e io non ci sono e mi sono perso quest’occasione”. Perché poi lui era così, faceva le sue tournée e poi arrivava appena aveva un giorno libero a teatro a vedere e a sentire i giovani talenti e poi ripartiva.  Vabbè, pazienza. Il giorno dopo vado a Ravenna e durante le prove di regia ( in cui non devi cantare in voce per forza, sono prove di regia, dei movimenti, delle cose…. non è una prova musicale); si provava la scena dell’arresto della zingara, che prevede che il baritono canti, anche se nulla di particolare .In attesa di entrare in scena, sento una pacca sulle spalle, era il collega basso che si chiamava Antonio De Gobbi, che era veneto mi disse: “Ue ciccio” “Che c’è?” “Canta in voce” “Ma no, non ho fatto niente vocalizzi, né niente” “ Ue canta in voce” “perché?” “Perché c’è LUI,
C’è Muti”. Anche il giorno dopo il maestro Muti era venuto alle prove. Io tremavo tutto perché Muti per me è stato sempre un’icona da quando ero bambino. Alquanto nervoso…. facciamo la scena della zingara e io canto, però non è che potessi dare chissà che cosa. Alla fine di questa scena, Cristina prende in mano il microfono e dice:
“Ragazzi tutti in pausa, tranne te Nicola.” “Mi dica signora” “C’è il maestro Muti che vorrebbe sentire qualcosa da te. Ci canti l’aria del Conte di luna?”. Non esattamente l’aria più facile del mondo, soprattutto se non hai fatto vocalizzi e hai la voce fredda. Comunque ce la metto tutta e cerco di fare del mio meglio. Canto e, alla fine ci dicono “Venite tutti in sala, il maestro vi vuole conoscere”. Io felice perché mi dice “Bravo”, basta, niente altro. Il giorno dopo, io come cover ero sempre seduto a guardare la prova e sento una pacca sulle spalle, mi giro pensando fosse Antonio e vedo lei, la signora Cristina, che mi disse: “Nicola mi sa che ti teniamo stretto stretto fino a quando il maestro non ti prenderà con sè nelle sue ali” e io cominciai a piangere come un bambino. Sei mesi dopo quest’incontro con il maestro io debuttavo alla Scala. Avevo 25 anni, ero proprio un giovanissimo debuttante , e da lì sono passati 10 anni stupendi con lui, in giro per il mondo e ho imparato tantissimo. Un aneddoto divertente c’è e lo voglio raccontare è molto carino. Si faceva l’Otello a Salisburgo e c’era un collega tenore dalla voce fantastica. Nella scena finale dell’Otello, il protagonista si pugnala, ci sono gli ultimi istanti di Otello morente e c’è questo grido, o meglio un  anelito di dolore che lui deve fare. Durante la prova musicale a Salisburgo c’era l’inteprete di fronte al maestro, che dirigeva,  io accanto al tenore, Desdemona, erano tutti lì, Muti di fronte. “AAH!” Muti ferma la prova ed escama”Ma che, che è?” Quello era tutto tranne che un’anelito Il maestro guarda il tenore e lui  “maestro….maestro, cacca addosso!”. Io non ho mai visto Muti ridere così tanto, è diventato paonazzo per le lacrime. Si è fermata la prova….

Ho imparato molto da tutti i maestri con cui ho lavorato.  Ad esempio Daniele Gatti, che adesso è il neo direttore musicale qui a Firenze;  con lui ho cantato Falstaff alla Scala  sebbene io avessi già cantato molte volte quel ruolo, da lui come dal maestro Gardiner ho appreso tante altre cose, tante altre sfumature di questo personaggio. Mi ricordo molto bene quel Falstaff alla Scala. Fu un bellissimo spettacolo che ha regalato il premio  Abbiati sia a me sia al maestro Gatti; una bellissima esperienza. Sono tutti grandissimi direttori, ho avuto la fortuna di lavorare con loro, quindi mi tengo stretti finchè posso i loro insegnamenti.”

Qualche domanda sui giovani, che sono il nostro pubblico più diretto, anche se non esclusivo. Si parla di lontananza dei giovani dal mondo del teatro lirico; per quanto riguarda il Maggio- possiamo testimoniarlo noi- questo non è assolutamente vero. Ha percepito questo in altri teatri, o si tratta di un luogo comune?

“Secondo me, è una domanda molto difficile, però insomma i giovani secondo me vanno incentivati un po’ di più a venire al teatro; è una bellissima cosa che ci vengano. Al teatro Massimo di Palermo, io sono palermitano, canto tanto e vedo che c’è una politica per i giovani meravigliosa, quindi ne ho visti tanti. C’è anche lo spettacolo under 30… Se si potesse fare di più perché no, sarebbe bello. La vostra è una testimonianza meravigliosa. Voi siete il nostro futuro alla fine quindi è fondamentale che voi ci aiutate ad andare avanti, quindi va bene così, però se si può fare di più meglio ancora.  Il tema del costo dei biglietti è un tema molto delicato e che secondo me non riguarda solo i giovani. Il teatro deve essere fruibile a tutti, come lo era nell’800. Il teatro dell’opera nell’800 era un teatro popolare, era il popolo che faceva le serate. Adesso con dei prezzi un po’, diciamo tra virgolette, proibitivi è come se alcuni teatri, forse non Firenze, ma alcuni teatri dicessero “signori il teatro dell’opera è un teatro dell’elite” invece no, non deve essere così. Io auspico che il teatro dell’opera torni ad essere il teatro popolare che era un tempo, così possiamo riempire le sale. Giuseppe Verdi nell’800, Giacomo Puccini, Gaetano Donizetti o Vincenzo Bellini erano i Fedez di oggi.”

Quali consigli darebbe ad un giovane che voglia fare il cantante lirico?

Questa è la domanda più difficile, ma proprio più difficile. Oggi viviamo in un periodo nero, già era un periodo di crisi pre-pandemia, poi ci si mette anche la pandemia. Ma quello che posso dire è che la passione è più forte di qualsiasi altra cosa. Quindi se tu senti dentro di essere nato per fare questo mestiere (perché il nostro è un mestiere meraviglioso, ma è anche una missione), se tu lo vuoi fare e lo senti dentro di te allora non ti fermerà nessuno. È molto difficile anche per chi cerca di fare una carriera da anni, tentando di emergere, quindi per un giovane lo è ancora di più. Però la forza, la determinazione e la speranza che i teatri accolgano i giovani nei loro palcoscenici deve essere un tutt’uno. Il giovane talento se viene fuori deve essere sicuramente aiutato e incentivato ad andare avanti.”

Questo Falstaff è stato un trionfo, anche suo personale; come ha vissuto questo spettacolo?

“L’ho vissuta in maniera meravigliosa, è stato un crescendo dalle prove fino all’ultima recita che abbiamo fatto qualche giorno fa. È stata bellissima, una sensazione stupenda, straordinaria e gli applausi alla fine… devo dire non mi aspettavo un calore così. Alla prima mi è uscita pure la lacrimuccia. Veramente è stato un boato festivo nei miei confronti che è stato bellissimo, tanto ero emozionato che baciavo il palcoscenico, è stata una sensazione davvero eccezionale. Non vorrei dire delle fesserie, però credo che questa sia la punta di diamante della stagione (e che stagione). Sensazione bellissima. Poi io adoro questo personaggio, fin da quando ho aperto lo spartito, quando quindici anni fa me lo hanno proposto io ero giovanissimo, avevo ventotto anni e il teatro Verdi di Pisa mi propose il Falstaff. Io lì per lì dissi: Falstaff lo fanno i cinquantenni”. Ho dato un’occhiata ai primi interpreti del personaggio, agli interpreti storici, ho letto che Mariano Stabile per esempio l’ha debuttato a trentadue anni alla Scala e da allora ne ha fatto il suo cavallo di battaglia interpretandolo mille e duecento volte, fu una carriera basata sul Falstaff praticamente, è stato un punto di riferimento e l’ha interpretato a soli trentadue anni. Quindi ho detto: “Io mi butto, mi ci butto a capofitto e vediamo che succede”. E’ stato un debutto bellissimo, allo stesso tempo però non ero ancora ben maturo, ben preparato, non lo sono ancora adesso quindi figurati quindici anni fa. Chiaramente mi sono un po’ perfezionato leggendo anche la commedia di Shakespeare, l’Enrico IV, anche parte dell’Enrico V dove si narra più che altro della morte di Falstaff. Sono andato un po’ perfezionandomi, però quel debutto a Pisa lo ricordo con molta nostalgia e affetto. Del resto il mio maestro me lo diceva sempre: “Ricordati che più avanti andrai nella carriera più sentirai il peso della responsabilità perché frequenterai grandi teatri. Ricordati di questi teatri “minori”e di queste esperienze che hai fatto. Io mi ricordo con profonda nostalgia quegli anni, quegli inizi diciamo sono durati sei anni, fino a quando qualcuno si è accorto di me e quel qualcuno era Riccardo Muti. Ho debuttato nel 97 e nel 2003 ho debuttato alla scala dopo sei anni di gavetta.”

Prossimi impegni e sogni nel cassetto?

“Dunque, prima di dire gli impegni prossimi, i sogni. Tanti sogni li ho già avverati a dire la verità. Uno di questi era per esempio quello di trovare la mia anima gemella e l’ho trovata, quello di diventare papà e lo sono diventato, di due figlie meravigliose. Alcuni sogni artistici li ho realizzati, per esempio cantare Falstaff al Teatro della Scala dove è nato, perchè la prima rappresentazione del Falstaff è stata lì, e cantarlo per me è stato unì emozione grandiosa e pure portarlo al Metropolitan di New York anche quella è stata un’esperienza esaltante. Io ho avuto tanti sogni nel cassetto che  non avrei mai sperato di esaudire e invece si sono avverati.  Altri sono ad esempio, debuttare in ruoli che sono abbastanza impervi. C’è tempo per Gerard  nell’ Andrea Chenier, c’è tempo per Macbeth, insomma tutti ruoli che sono nel mio cuore ma che devono ancora aspettare. Quindi progetti nel cassetto ancora ce ne sono diversi, come il Tabarro di Puccini che è un altro capolavoro che mi piacerebbe affrontare e un altro sogno è quello di potermi un giorno dedicare ai più giovani e cercare di aiutarli e di coltivare un po’ il loro talento perché il talento c’è ed è una cosa bella, ma se non è coltivato è destinato a morire, è importante che venga coltivato, il talento fine a se stesso non va da nessuna parte. Quindi mi piacerebbe fondare una piccola accademia, una piccola scuola, solamente per i giovani e basta. Impegni prossimi: ho finito le recite di Falstaff ed entrerò subito in recita con la Cenerentola e torno con Rossini perchè Rossini e Verdi sono i miei due amori, però Rossini è il mio primo e fino a quando le mie corde vocali saranno belle forti da poterlo affrontare, lo canterò perché Rossini è tutto fuor che facile; quindi lo affronterò con l’enorme affetto e rispetto che si deve a lui. E sarà un 2022 Rossiniano, apriamo un tour qua in Italia e a Montecarlo con Cecilia Bartoli, una bellissima produzione e poi a Zurigo sempre con Rossini. “

Che ruolo farà?

“Taddeo e sempre con Cecilia che canterà la parte di Isabella, poi ci sarà Salisburgo con il Barbiere di Siviglia nel ruolo di Figaro ; poi un Fra Melitone all’opera di Parigi e Falstaff per il mio debutto alla Fenice di Venezia con il maestro Chung che dirigerà, una cosa molto bella. Finalmente dopo venticinque anni riesco a debuttare alla Felice di Venezia !”

 

 

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