Potremmo dire, sebbene in maniera poco romantica e anzi piuttosto rozza e anti-platonica, che il cibo si collega a TUTTO nella nostra vita. Tale asserzione potrebbe scandalizzare chi crede in valori più spirituali e non limiti le proprie aspirazioni alla mera soddisfazione di bisogni fisici, e ciò non è solo giusto, è più che auspicabile; ma come sottovalutare il ruolo di una componente la cui assunzione determina sopravvivenza e che purtroppo ossessiona tanti e disparati membri della società contemporanea? È confermato dagli studi scientifici che un’alimentazione sana e equilibrata permette, assieme a una discreta attività fisica, di prevenire molte malattie, comprese quelle più ostiche, come cancro e malattie cardiovascolari, e di accedere a un benessere non solo fisico, ma anche psicologico (si è rivelata infatti stretta la correlazione tra i due tipi di benessere!). La domanda cruciale è, però, cosa si intende per “alimentazione sana e equilibrata”? Domanda più che legittima ma a cui è difficile rispondere. È una di quelle situazioni in cui si deve vedere caso per caso e è arduo generalizzare. È anche un campo in cui questioni scientifiche si mischiano o si confondono addirittura con convinzioni o ideali personali. Tali tematiche si ricollegano allo spaventoso problema dei disturbi del comportamento alimentare (o DCA).
Recenti statistiche parlano di 3,5 milioni di italiani, il cui 70% in età adolescenziale, che soffrono di un disturbo alimentare; è pure probabile che sfuggano casi ancora non conclamati, poiché non è sempre facile rilevare il disturbo per la riservatezza in questione di chi ne è colpito. Nel nostro Paese sembra però che i segnali di allarme siano stati colti e che si cerchi di intervenire in rimedio: se da una parte l’emendamento votato dal Senato il 20 dicembre 2021 vede nascere un fondo di 25 milioni di euro presso il Ministero della Salute per il contrasto dei Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione per il prossimo biennio, dall’altra anche in piccolo ci sono importanti iniziative; emblematica l’apertura a Rieti del Centro Disturbi del Comportamento Alimentare della Asl, nato anche grazie ai finanziamenti della fondazione Varrone, un’organizzazione locale no profit che promuove imprese a favore della cittadinanza. Lo scorso 18 gennaio si è tenuta l’inaugurazione del centro di fruizione pubblica che, come sottolinea Marinella D’Innocenzo, Direttore Generale della Asl di Rieti, si cura del benessere sia fisico che psicologico dei pazienti con pari scrupolosità.
La rinnovata attenzione a tali problemi si deve in parte alla pandemia, le cui conseguenze hanno colpito anche questa ferita già aperta, aggravandola ulteriormente. E sebbene siamo propensi a pensare che questi disturbi abbiamo radici nei nostri tempi, essi sono ben più antichi. Per esempio, comportamenti che ricordano la bulimia (dal greco “fame da bue“) venivano praticati anche dai Romani- imperatori e patrizi, non certo poveretti pronti a tutto per malnutrizione- col fine di farsi nello stomaco uno spazio sufficiente a accogliere fantasmagoriche quantità di cibo conviviale.
Anche una sorta di anoressia- intesa come “assenza di appetito”- era praticata – e ancora lo è – in contesti religiosi, perché visti come mezzo di purificazione ascetica o di avvicinamento al divino. Per esempio nel Medioevo, seppur in un’ottica diversa da quella contemporanea, era quasi ammirato il digiuno o semidigiuno come mortificazione del corpo e dunque mezzo di connessione con Dio : si pensa a tal proposito che Santa Caterina (1347-1380) sia morta di stenti per epurazione (vomito indotto) e rifiuto del cibo. Dando la parola agli specialisti in nutrizione, si può dire che il digiuno potrebbe giovare, ma solo per compensare grandi mangiate e in modo rigidamente misurato e seguito da medici.
Per arrivare all’individuazione di veri e propri disturbi psicologici si dovranno però aspettare secoli: il medico inglese Richard Morton nel 1689 osservò un caso di “consunzione nervosa”, poi definita “anoressia nervosa” da un altro medico inglese nel XIX sec. (William Gull, il primo a studiare sistematicamente il fenomeno).
Il primo invece a diagnosticare la bulimia nervosa fu lo psichiatra britannico Gerald Russell nel 1979.
Al 1959 infine risale la prima descrizione di “binge eating” (termine anglosassone che significa “grande abbuffata”) da parte dello psichiatra americano Albert Stunkard.
Anoressia, bulimia e binge eating. Quali le cause e quali i sintomi?
Anoressia, bulimia e binge eating, sono le tre principali famiglie in cui si dividono i DCA . Inoltre, esiste un’altra categoria di tali malattie mentali, detta NSA (Disturbi non altrimenti specificati) in quanto essi hanno caratteristiche che non rientrano negli altri tipi di DCA. Questi disagi hanno origine in un rapporto sbagliato col cibo derivante da svariati fattori : psicologici e sociali, ma anche genetici – se ne è constata una certa familiarità, soprattutto da parte materna. Un’alterata percezione del fisico e preoccupazione per i difetti che se ne colgono –dismorfofobia -, bassa autostima, mancanza di attenzioni e un evento traumatico sono senz’altro fonte di questi disagi, ma più in particolare lo è l’enfatizzazione della magrezza nei canoni del bello della nostra cultura, talvolta più radicata in certi ambienti sportivi, come danza e ginnastica.
Questa cultura del resto dilaga tra le giovani- ma anche i giovani- che sono bombardati sui social media da immagini di coetanei o influencer ammirati per un fisico scolpito, che diventa allora l’unico scopo di quelle persone, convinte che la linea impeccabile sia mezzo di affermazione in società.
A scanso di ogni fraintendimento, di certo avere un fisico in forma è indicatore di salute e quindi un bene, ma se il pensiero è incentrato solo all’estetica, alla taglia che si vuole riuscire a indossare, agli etti che si vogliono perdere e mai acquistare, c’è un problema che nasce dal bisogno di sentirsi accettati e considerati, quindi non al fine ma a costo della salute! Ci sono casi di anoressia in cui la perdita di appetito è conseguenza di forte avvilimento non determinata da perfezionismo estetico. In altri, germoglia il seme dell’invidia mischiata a idolatria verso persone magrissime perciò considerate bellissime e dunque, nonostante si avverta brama di cibo, lo si rifiuta con disdegno, per devozione a un’immagine di sé senza grassi, per pudore di un corpo non perfetto. In questa ottica, la bulimia può confondersi con l’anoressia. Essa non ha infatti riserve né verso l’individuo sottopeso, né sovrappeso e nemmeno normopeso. Chi soffre di tale patologia ingerisce in tempi brevi quantità eccessive di calorie, ma poi, preso da sensi di colpa e di vergogna, ricorre a atti punitivi o “rimedi”-tuttavia dannosi- come uso sregolato di diuretici, lassativi o pratica di vomito indotto, eccessiva attività fisica; tutto questo per smaltire o espellere l’esagerazione di cibo ingerito. Questa condotta può avere origine dall’imposizione a se stessi di una dieta troppo rigida scaturita dal desiderio di dimagrire, ma che lascia insoddisfatti; dunque si ricorre a abbuffate per “togliersi la voglia” ma si procede con le succitate condotte di compenso per evitare conseguente ingrassamento. Altrimenti ci sono casi di fame nervosa, non fisiologica, derivante da un disagio psichico che trova sollievo nel mangiare senza freni; ci si trova comunque in un circolo vizioso dettato da brama di cibo e coesistente paura di ingrassare.
Ad oggi, tali disturbi colpiscono pazienti di diverse condizioni, anche se si nota una maggiore diffusione tra giovani donne tra i 15 e i 25 anni . È lecito allora chiedersi il perché di tale prevalenza femminile: in proposito sono varie le ipotesi avanzate per spiegare questa tendenza: forse la ragione è l’aspirazione al modello di linea ideale e dunque la non accettazione del fisico se non vi aderisce, serpeggianti soprattutto nel mondo femminile? O i più netti cambiamenti corporei sentiti improvvisi nelle femmine in età adolescenziale? Si può pensare anche a una spiegazione evoluzionistica: le donne sarebbero più resistenti al digiuno per motivi legati alla sopravvivenza della specie e quindi non avvertirebbero – almeno per un certo periodo – l’insufficienza nutritiva, causa un’ancestrale sensazione di invincibilità.
Tuttavia, è importante sottolineare come queste malattie siano dettate certo dalla cultura in cui si cresce, ma anche da qualcosa che accomuna tutti noi in quanto esseri umani: la sofferenza, il non sentirsi accettati e il non accettarsi. Dunque è limitante e ingiusto associare bulimia o anoressia alla tipica ragazza di etnia caucasica, vittima dei media- riviste, serie TV e tanto altro- in cui magrezza è sinonimo di bellezza. In ripresa di quanto prima detto, non è solo lo spasmodico controllo sulle calorie acquisite che riduce a stati di disturbo alimentare! Anche nel cosiddetto Sud del mondo abbiamo persone che, pur non essendo ossessionate dall’immagine del proprio corpo e dal suo peso, per diverse ragioni, si auto impongono un regime alimentare sbagliato. Sanjay Chung, psichiatra indiano specializzato in disordini alimentari, confuta la convinzione generale che i disturbi alimentari coinvolgano solo una cerchia di persone di una certa cultura e di una precisa mentalità. La disattenzione sul piano psicologico dell’individuo, soprattutto in Africa, e l’inadeguatezza della preparazione in ambito di DCA sono le cause principali del quasi assente riscontro di persone anoressiche o bulimiche del posto, ma anche lo stereotipo occidentale offusca la consapevolezza di tutti noi, negando a individui non conformi alla norma la possibilità di avere l’aiuto necessario.
Infine, anche il binge eating, che secondo i dati raccolti coinvolge per metà donne e per metà uomini, nasce spesso da senso di inadeguatezza rispetto agli altri e paura di critiche, ma invece di mirare al raggiungimento – si ribadisce, inconcludente e nocivo! -di un peso sempre minore o eccessivamente piccolo, il disturbo è guidato da fame nervosa continua e cieca, che toglie anche il sonno: il bisogno compulsivo di alimenti porta persino a pasti notturni. Questa fame è malsana perché, come per la bulimia, non viene da necessità fisica ma da un vuoto di soddisfazione spirituale riempito strafogandosi senza alcuna razionalità.
Le conseguenze da DCA
La perdita di peso dei soggetti anoressici provoca danni agli organi interni come reni, cuore, apparato digerente e ossa e pure l’insorgenza di emorragie interne: insomma complicazioni che ostacolano la regolarità dell’organismo. Non si perdono “solo” troppi chili, ma anche capelli, o almeno la loro buona qualità, come quella di unghie e denti. Il fenomeno di logoramento dell’organismo è comunque tragicamente immaginabile. Dal punto di vista mentale le persone anoressiche sono in preda spesso a sbalzi d’umore, ansia, ossessioni e depressione – che può essere insieme causa scatenante e accresciuta conseguenza del malessere; per assenza di sufficiente energia, la capacità di concentrazione diminuisce, in genere insieme con la prestanza fisica.
I soggetti bulimici possono apparire in salute all’esterno, ma dentro sono consumati da ansie e paure, soprattutto riguardanti l’aspetto fisico. Dopo grandi abbuffate si sente dolore e eccessivo riempimento, cosicché si compensa attraverso le condotte sopra citate. Essendo il soggetto bulimico assorbito dal circolo vizioso abbuffata/compenso, spesso c’è costante fluttuazione del peso corporeo, accompagnato da infiammazione all’esofago e maggiore probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari e depressione. Quanto più sono frequenti episodi di abbuffate e conseguenti punizioni “curative”, tanto più si aggraverà l’insorgenza di tali sintomi.
Come facilmente si può intuire, chi invece soffre di binge eating sviluppa obesità con tutti le problematiche che essa comporta.
Come uscirne?
Il provvedimento da prendere quando si fronteggia un disturbo alimentare è chiedere quanto prima soccorso in centri specializzati: far passare troppo tempo rischia di rendere permanenti i danni fisici e mentali. Dunque nascondere il disagio minimizzando o facendo finta di nulla è un grave errore che prolunga il malessere in modo pericoloso – potenzialmente fino a causare la morte; anche se è difficile ammettere di avere un problema del genere e talvolta anche notarlo, bisogna intervenire ai primi sintomi di questi disagi, prima che essi si aggravino senza lasciare più vie d’uscita.