“Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”. (Indro Montanelli – Corriere della Sera, 7 maggio 1949)

La sequenza trionfale del “Grande Torino”, una delle squadre più forti della storia del calcio, si interruppe tragicamente alle 17.05 del 4 maggio 1949.

I giocatori del Torino tornavano a casa da una trasferta a Lisbona dopo una partita amichevole contro il Benefica, quando l’aereo che li trasportava si schiantò contro la collina di Superga.

Nell’incidente persero la vita ben 31 persone: oltre all’intera squadra trovarono la morte anche tutti i dirigenti, gli accompagnatori, l’equipaggio e tre noti giornalisti italiani che viaggiavano con loro.

Il triste compito di identificare le salme fu affidato all’ex commissario tecnico dell’Italia Vittorio Pozzo, che aveva convocato in Nazionale quasi tutti i componenti di quella formidabile squadra, capace di vincere cinque campionati consecutivi e una Coppa Italia tra il 1942 e il 1949 e di scrivere alcuni dei record più importanti della Serie A, tuttora imbattuti (maggior numero di partite casalinghe consecutive senza sconfitta: 88; maggior numero di marcature in un campionato: 125; maggior numero di reti realizzate in una partita dall’istituzione del girone unico: 10-0 all’Alessandria nella stagione 1947-1948).

I funerali delle vittime si svolsero il 6 maggio presso il Duomo di Torino e videro un’imponente partecipazione popolare: oltre 600.000 persone erano infatti presenti per le strade del capoluogo piemontese a salutare per l’ultima volta i calciatori. Tra i partecipanti anche Giulio Andreotti, in rappresentanza del Governo, Ottorino Barassi, presidente della FIGC e Vittorio Veltroni, capo redattore cronache della Rai, che effettuò la radiocronaca delle esequie in diretta.

In quell’anno il Torino fu proclamato campione d’Italia su delibera federale in quanto capolista fino alla strage, nonostante mancassero ancora delle giornate alla fine del campionato e pur non avendo raggiunto la certezza matematica del titolo. La stagione 1948/49 fu portata a termine dalla formazione giovanile del Torino, che disputò le restanti quattro gare contro le formazioni giovanili delle altre squadre. Il Torino vinse tutte le rimanenti partite, chiudendo il campionato con 60 punti, cinque di vantaggio sull’Inter, seconda in classifica. Ma fu un trionfo amaro, segnato dall’indelebile ricordo della tragedia.

L’incidente fu dovuto principalmente alle avverse condizioni meteorologiche incorse nella fase di atterraggio: quando il velivolo giunse nei pressi di Torino si trovò in mezzo a nebbia, vento e raffiche di pioggia che ridussero la visibilità a 40-50 metri. Recentemente si è anche ipotizzato un guasto all’altimetro: l’apparecchio indicava una distanza dal suolo di 2.000 metri quando in realtà l’aereo si trovava a 600 metri e, improvvisamente, senza alcuna possibilità di salvezza, si schiantò violentemente contro i muraglioni di sostegno del giardino posto sul retro della Basilica di Superga.

Alcuni resti dell’aereo (un trimotore Fiat G.212 delle Avio Linee Italiane) sono conservati oggi nel Museo del Grande Torino, a Grugliasco, inaugurato il 4 maggio del 2008.

Il Grande Torino nella cultura popolare

Di tutti i giocatori che persero la vita nell’incidente il nome che – ancora oggi – resta maggiormente impresso nella memoria degli sportivi italiani è quello del capitano Valentino Mazzola. L’episodio più rappresentativo di Valentino e dei suoi compagni si verificava ogni qualvolta il Torino si trovava in difficoltà. Oreste Bolmida, il trombettiere dello Stadio Filadelfia, dava fiato alla sua cornetta e suonava la carica: nel cielo plumbeo di Torino si levava il ruggito della Fossa dei Leoni. Capitan Mazzola si rimboccava le maniche e guardava dritto negli occhi i compagni di squadra. Era il segnale. Di lì a poco si sarebbe scatenato il leggendario ‘quarto d’ora granata’, cui nessun avversario poteva resistere. Le folate offensive si susseguivano impetuose, finché la rete si gonfiava una, due, tre, quattro volte e il risultato passava nelle mani del Toro. Agli avversari non restava altro che accettare rassegnati una supremazia troppo schiacciante. Questo era il Grande Torino: un insieme di uomini e campioni unico e inimitabile, che solo il fato seppe vincere».

Valentino Mazzola

Per il giornalista Beppe Gandolfo “Il Grande Torino è stato il simbolo, insieme a Coppi e Bartali, della voglia degli italiani di risorgere dalle macerie della seconda guerra mondiale. Un paese in ginocchio, città distrutte, troppe vittime. Ebbene, sentendo alla radio le gesta di due grandi ciclisti, Fausto Coppi e Gino Bartali, al Giro d’Italia e al Tour de France, così come godendo delle imprese di Valentino Mazzola e compagni, la gente provava un moto d’orgoglio, trovava dentro di sé quel coraggio, quegli stimoli, quella voglia di ripartire e di ricominciare per sollevare nuovamente la testa. Per questo la tragedia di Superga fu la tragedia di un popolo intero, di un paese intero, dell’Italia tutta”.

Alcune interviste ad alcuni compagni che per vari motivi non erano saliti sul tragico volo e ai familiari dei caduti possono essere ascoltate nel 33 giri ‘Sotto il segno del Toro’ curato dal famoso giornalista sportivo Sandro Ciotti.

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