Bella Hadid è una giovane supermodella statunitense di venticinque anni. Inizia la sua ascesa in carriera nel 2014, fino a essere oggi tra le modelle più pagate e richieste al mondo.

Dietro le foto di una giovane di successo internazionale, però, cosa si cela? Lo scopriamo nell’intervista da lei lasciata per il numero di aprile presso Vogue, una prestigiosa rivista di moda americana in cui afferma di pentirsi dell’operazione al naso che si era fatta a quattordici anni; questo avviene dopo numerose insinuazioni a lei rivolte di non essere affatto naturale. Smentisce queste accuse confessando di aver modificato solo il naso, ma se adesso potesse tornare indietro, non lo rifarebbe. A trascinarla in questa decisione fu probabilmente la sua smaniosa aspirazione alla perfezione estetica e il complesso di inferiorità verso la sorella Gigi, anche lei modella e detta la sorella più bella; ciò le creava in particolare da adolescente problemi di ansia e depressione, non ancora completamente sorpassati.

In effetti le aspettative proprie e degli altri verso di sé sopraffanno spesso chi ha successo e teme di perderlo, causando un malessere soffocante, un’angosciosa consapevolezza che prima o poi il bello decade; nei casi estremi, si arriva alla dismorfofobia, cioè essere così in preda all’ossessione da vedere pecche, se così le vogliamo chiamare, inesistenti; e ciò è più che  mai diffuso in quegli ambiti in cui l’immagine assume un ruolo principale, se non totale.

Bella non è però la sola a rivalutare un ritocco di troppo, e purtroppo nemmeno quella che ne risente di più – almeno dal punto di vista fisico.

Dismorfofobia e il disprezzo del proprio aspetto

Oggi ci sono celebrità che si sentono sfigurate e irriconoscibili pure a se stesse, per aver tentato di rimuovere grasso indesiderato, le rughe sul viso; si sono cioè private della propria autentica espressione, quell’espressione che ci distingue gli uni dagli altri e che già inizia a raccontare chi siamo.

Triste a dirsi, ma consegue che a volte non ci si toglie solo la propria unicità, che conferisce anche dignità, ma pure la salute. Dunque si corrono rischi psicologici – la perdita della propria identità – e fisici. Si può rischiare infatti un’emorragia, cicatrici sgradevoli e forse permanenti, infezioni e intolleranza all’anestesia o alle sostanze usate per l’intervento, deformità pericolose al nostro corpo. Spesso non c’è una completa ripresa a seguito dell’operazione. Operazione che invece si proponeva di raggiungere un miglioramento estetico! Si crea così un circolo vizioso di un superfluo e a volte dannoso ritoccare il ritoccato, oppure si è costretti a un serio intervento per rimediare ai danni del precedente. E perché ci sono questi effetti collaterali? Le motivazioni sono varie, tra cui una predisposizione dell’organismo a non reagire bene a certi tipi di intervento, la sproporzione del ritocco rispetto alla natura del paziente, qualche errore del chirurgo o una trasgressione alle sue istruzioni.

A volte ci si trova addirittura davanti a medici impreparati ma ostinati nel guadagnare con l’inganno. Si deve quindi stare attenti a chi ci si trova di fronte, per affidargli la nostra incolumità.

Ma va anche detto che la chirurga plastica nasconde intrinsecamente un inghippo: essa si può intendere come la fusione tra scienza e arte, ma arte su tessuti viventi, vulnerabili e delicati. Insomma nessuno specialista onesto può garantire che non ci sia alcun tipo di ripercussione sul corpo del paziente.

Esiste un documento di consenso informato che va letto e firmato prima di fare l’operazione, proprio per togliere l’illusione di conseguire un aspetto sovrumano – in certi casi più disumano -, immune al passare degli anni.

La chirurgia può però rivelarsi una risorsa salvavita e senza dubbio è lecito e doveroso usufruirne, ma con senno e cautela – pensiamo alle ricostruzioni a seguito di tumori e ustioni o a altre patologie preclusive; quando però è la morbosità di farci belli a guidarci, bisogna rallentare, perché l’avventatezza non porta mai a buone mete, anzi spesso è dannosa.

Già l’uso dei filtri sulle foto, dicono esperti psicologi, è sintomo di una potenziale e malsana indole a modificarsi.

A volte ciò rimane un passatempo innocuo e innocente, un divertimento, ma per alcuni non è un gioco, è lì racchiuso ciò che fa sentire potenti. Postare foto meticolosamente filtrate per offrire il meglio di sé ai followers può essere l’inizio di una strada di fanatismo.

Si scodinzola e si sbava di desiderio davanti agli schermi, si sputa sangue pur di imitare divi e dive. Soprattutto, ma non solo, tra le ragazze, già dall’adolescenza o prima, si sogna il corpo artefatto di parecchie celebrità.

E a dire basta alla tanto ammirata disumanizzazione standardizzata del corpo umano, per inseguire un obiettivo irrealizzabile, sono gli stessi medici.

Corpi eccessivamente sinuosi e volti da prodotti commerciali che poco hanno da invidiare a Barbie e Ken, sono al di fuori della nostra natura, e se a essa ci ribelliamo così, spesso ciò ci si ritorce contro. Chi vuole ridursi a questo deve prima contare le conseguenze, anche irreversibili, il chirurgo deve pensare all’etica della professione. È davvero giusto accontentare i desideri irrazionali di esseri umani che spendono e spandono per i loro frivoli affanni? Questi vanno piuttosto aiutati a rendersi conto del pericolo a cui vanno scioccamente incontro. Si cerca cioè di bloccare la tendenza all’abuso di bisturi, che ossessiona anche i più giovani, che “barano” così nell’infuocata e vana competizione di bellezza e del conseguente numero di like, proprio come gli sportivoni che si dopano per ottenere i premi dimostrando di non capire nulla di sport, né di cura personale.

I social e la televisione infatti spesso offrono un modello di società assurdamente devota alle qualità meno profonde; tale modello influenza il nostro pensiero, con immagini che ci formano e ci inducono in modo tirannico e seduttivo a aderire loro spasmodicamente. Siamo fomentati a nascondere la nostra interiorità, tenendo alla sola apparenza.

Abbiamo visto come questa voglia del rifarsi, se sfrenata, è dannosa sia alla gente famosa, che si rovina nel tentativo di allettare il pubblico, sia al pubblico stesso che si abitua a questi esempi, adeguandosi a essi e innamorandosene, forse anche per la loro esagerazione. Sono stati menzionati i rischi pscicologici e corporei a cui questa tendenza può portare, senza condannarla totalmente, ma limitandosi a favorire un piena accettazione di sé con i propri difetti, che però ci rendono speciali al di là di una bellezza ideale. Certo, tenersi bene non è male, curandosi, lavandosi, perché giova alla salute. Ma se ci sbizzarriamo inseguendo la moda e non ci si domanda: “ è davvero questo che voglio essere, o è quello che mi aspetto gli altri vogliano?”, allora c’è un problema di contrasto interiore che va affrontato.

Nel Medioevo, come nell’Età Moderna, come sempre possiamo riscontrare nella storia dell’umanità, ci sono canoni, diversi, ma a cui ci si attiene, a volte piegandosi alla mera forma pur di sentirsi accettati – e chi non lo vuole? Gli esseri umani non hanno insomma iniziato ieri a modificare il proprio aspetto e a celare la propria natura con lo scopo di sentirsi accolti. Questa è forse una costante, e chissà per quanto, ma consideriamo le variabili. Oggi siamo nel ventunesimo secolo ma la stessa società occidentale che sbandiera la sua ostilità verso gli stereotipi, ne è afflitta non tanto meno di prima. I progressi sono stati indiscutibilmente tanti, figli di brutti errori che sappiamo adesso di dover evitare, che ci hanno poi portato a una maggiore apertura e umanità.

Forse in maniera più subdola e occulta, continuiamo tuttavia a confondere una genuina ammirazione con idoIatria al di là del ragionevole, che sfocia nell’omologazione, nella perdita della propria identità, che talvolta non si fa nemmeno in tempo a percepire.

Il diverso spesso è difficile da accogliere senza qualche esitazione e diffidenza, e questo è comune a tante persone, se non tutte. La moda nel parlare, nel vestirsi, nel vivere in generale, ci rassicura perché ci fa sentire parte di un tutt’uno, ci fa sentire meno soli. Gruppi umani coesi contro il male. E ciò va bene, se per male intendiamo scorrettezza, sopruso e iniquità, ma non se lo interpretiamo come ciò che non rispetta le mode di qui e ora. È davvero così rassicurante essere tutti d’accordo, tutti uniti senza scocciatori con punti di vista contrastanti! O forse siamo noi incapaci di mantenere armonia nella ricchezza della diversità? Questa è la solita barbosa morale che, a effetto disco-rotto, tentano di inculcarci dall’infanzia? Forse, ma a quanto pare alla maggioranza di noi non è ancora entrata bene in testa.

A quelle persone che si affannano a uniformarsi alla tendenza di mercato, si rifugiano in un ideale di bellezza innaturale e camuffata schifando le differenze, evidentemente la storiella non è chiara. Dovrebbe essere palese però, per non smarrirsi, la differenza tra il modificarsi razionalmente per stare meglio e il modificarsi per soddisfare una smania di perfezione, secondo una moda mutevole e magari insalubre. Oggi vanno le labbra a canotto? E facciamocele! Domani vanno le cicatrici sulle guance? Domani senza pensarci di più ce le procureremo. A questo ci riduce tale inseguimento.

Stop. Fermiamoci a riflettere, pesiamo i rischi alla salute che possono incorrere, pesiamo l’apparenza in confronto all’essere, se ci basta davvero atteggiarci in un modo e vivere belli impostati, se non ce ne importa che la nostra espressione naturale trascina il nostro vissuto e che cambiarla  vuol dire vergognarsene, nascondersi perfino a noi stessi. Non sentiamo un bollore, uno spirito di rivolta, che se ne vuole scrollare di tutta questa falsità nociva? Non sappiamo di avere una dignità che va oltre i menù del giorno e che non si dovrebbe piegare alle convenzioni solo perché sono tali?

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