Tra i più famosi e importanti poeti romantici inglesi, nonostante la sua breve vita, Percy Bysshe Shelley ha lasciato un segno indelebile nella cultura internazionale, tanto che vale la pena ricordare ancora oggi la sua esistenza movimentata, briosa, talvolta complicata e controversa, a giudizio di qualcuno magari smisuratamente radicale e idealista, fino a sfociare nel ridicolo – non sarà tuttavia in questo articolo che si darà un giudizio sulle opinioni altrui. Vale la pena ricordare le personalità che si sono distinte – magari a costo del disprezzo pubblico – da una massa uniforme, anzi quasi informe all’apparenza, perché il bello dell’umanità è l’avere punti di vista diversi da proporre, ovviamente senza alcuna forzatura o imposizione.

Di famiglia aristocratica e influente, nacque il 4 agosto 1792 a Field Place in Inghilterra e sin da giovane il suo spirito indipendente e sovversivo (opposto a quello familiare) si fa conoscere, soprattutto a scuola, dove ha successo grazie alla grande perspicacia, non certo per il piacere di avere insegnanti che gli dicono cosa fare (soprattutto quando passa all’Università di Oxford, l’ambiente scolastico rappresenta per lui un “perfetto inferno”): lettore onnivoro e considerato folle, preferisce istruirsi da autodidatta con romanzi gotici, dall’atmosfera cupa, romantica e soprannaturale, con trattati di personalità affini riguardo la giustizia e la libertà, con gli studi scientifici dell’epoca su chimica, magnetismo e elettricità.

Sin da studente propugna l’ateismo e nel 1810 viene pubblicato per la prima volta un suo lavoro, Zastrozzi, romanzo gotico in cui difende nuovamente l’ateismo attraverso l’omonimo fuorilegge Zastrozzi. Il suo credo, mai rimangiato, provoca, oltre all’espulsione dall’università nel 1811 per la diffusione di un opuscolo a riguardo, la rottura dei rapporti col padre.

Spesso purtroppo l’insofferenza verso pareri diversi dal proprio, anche innocui, porta alla divisione di una società, e anche all’interno di una famiglia, creando faziosità e tensione.

Poco prima dell’espulsione, Percy scrive con l’amico del college Thomas Jefferson Hogg i Frammenti postumi di Maragret Nicholson, raccolta di poesie apparentemente burlesche, ma che anticipano in verità il radicalismo riformista dei suoi ideali: contro la guerra, contro le monarchie e i monarchi.

Poco dopo l’espulsione, Percy fugge in Scozia con la studentessa Harriet Westbrook (da cui avrà due figli), sposandola e abbracciando l’ideale di amore libero, quello cioè che accetta ogni forma di amore, libera dal controllo statale. L’interesse per le tremende condizioni di lavoro dei lavoratori di Dublino lo porta in Irlanda, dove interviene attivamente in difesa di tali lavoratori, guadagnandosi così il disprezzo del governo inglese.

Dal 1812 poi inizia a soffrire di attacchi nervosi e allucinazioni.

Nel 1813 viene pubblicato La regina Mab, poema filosofico in cui si riscontra il pensiero radicale proprio e del filosofo inglese William Godwin, di cui il giovane è ritenuto discepolo.

Questi anni lo vedono aiutare i bisognosi col denaro che aveva, allontanarsi da moglie e figlia per la frequentazione della casa di Godwin e della sua libreria a Londra. Si allontana sempre di più dalla famiglia di origine per le sue idee economiche ostili alla rendita di cui fruivano gli aristocratici quali i suoi parenti. Il patrimonio familiare è quindi sempre meno accessibile a lui, che si trova così a chiedere al generoso Godwin di sanare i suoi debiti. La figlia del filosofo, Mary, colta e sensibile, si innamora del poeta; il suo amore è ricambiato, nonostante il matrimonio che lega Percy a Harriet. I due fuggono allora nel 1814 insieme con Claire,  sorellastra di Mary, per non ristabilirsi più in patria, e felicemente da entrambe le parti – l’Inghilterra riservava ostili attenzioni all’abitante sovversivo, questi altrettanto. Si stabiliscono in Svizzera, dove la coppia vive il suo idillio, portando entrambi avanti le scritture e tenendo un diario comune delle loro avventure. In ristrettezze economiche però, i due devono tornare poi indietro. Del loro viaggio ci parla l’opera narrativa a quattro mani Storia di un viaggio di sei settimane (1817).

Mary Godwin e Percy Shelley

Il trio torna alla fine in Inghilterra, dove il padre di Mary si mostra molto deluso e risentito verso la coppia, dicendosi preoccupato per la reputazione della figlia (mentre da sempre difende la libertà dell’amore), in verità per la propria immagine pubblica, che con questo movente si rovina, dando ciò manforte ai conservatori per ostacolarlo nella sua attività letteraria. Nel 1815 a Londra, Percy compone Alastor, o lo spirito della solitudine, un’allegoria in versi che allora non riscuote attenzioni ma che oggi è considerata il suo primo importante poema. Questi anni di ostracismo da parte della società verso la coppia causa grande pena in entrambi, spesso separati e con l’imminente rischio di finire in prigione causa debiti per Percy. La nascita del secondogenito Charles di Percy e la moglie Harriet mette ulteriormente in difficoltà la relazione di Percy con Mary. Inizia inoltre per Percy e Mary un periodo estremamente frustrante, che vedrà la perdita di quattro su cinque figli. Soprattutto Mary soffrirà di esaurimenti nervosi a causa del dolore. In questi anni migliora invece la situazione economica, grazie al patrimonio ereditato da un nonno di Percy. Nell’estate del 1816 Percy, Mary e la sua sorellastra si recano dal poeta Lord Byron, con cui Percy (a lui affine) fece subito amicizia e scrisse nel 1817 la poesia, per certi versi mistica, Inno alla bellezza intellettuale. Tale conoscenza fu ispirante dunque per Mary, che iniziò la stesura del celeberrimo romanzo Frankestein, per Percy e lo stesso Lord Byron.

1816, anno stimolante sì, ma anche tragico. Si suicida Harriet, moglie di Percy. Questi, incoraggiato da Mary, cerca di ottenere l’affidamento dei figli di lui e Harriet, realizzato grazie al matrimonio con la seconda compagna. Nel 1818 tuttavia si rivela un affidamento fallimentare: i piccoli Shelley vengono affidati a un’altra famiglia giudicata moralmente più adatta alla loro educazione. Nello stesso anno viene pubblicato Frankestein, con una prefazione di Percy. Si diffonde il sospetto che Mary voglia spacciarsi per l’autrice del romanzo, mentre Percy lo abbia ideato, ma se ne prova infine la falsità. Oggi conosciamo Mary Shelley principalmente per tale romanzo dal messaggio profondo e sempre attuale. Sempre allora i debiti, la cagionevolezza e il rischio di perdere l’affidamento anche dei figli avuti con Mary portano la coppia a lasciare, stavolta definitivamente, l’Inghilterra per andare in Italia, insieme con Claire.

Nel bel paese così il trio gira, senza fermarsi a lungo in una città, ma viaggiando in compagnia, imparando la lingua e continuando la carriera letteraria. Tuttavia questi anni, che a parlarne così sembrano idillici (e in parte lo sono, per la libertà politica di cui lì possono fruire e l’ispirazione che l’esperienza porta alla loro opera), vedono la morte di due figli di Mary e Percy per malattia. La madre, sopraffatta dal dolore, si allontana anche dal marito, il quale accetta mesto ma con speranza di ripresa.

A Firenze nasce Percy Florence, cosa che aiuta Mary a combattere la depressione, senza però mai scordare le perdite subite. La relazione tra Mary e Percy si indebolisce per l’interesse di questo per altre donne (cosa lecita secondo i suoi ideali di “matrimonio aperto”). Nel 1822 Mary ha un aborto che la debilita fisicamente, senza che le attenzioni di Percy smettano di rivolgersi a un’altra donna.

L’8 luglio dello stesso anno, Percy, il capitano della nave e l’amico Edward E. Williams salpano di ritorno a Villa Magni (sul golfo di Lerici) dopo qualche settimana di permanenza presso Byron per fondare la rivista radicale The Liberal. Probabilmente lo stesso giorno c’è un naufragio per tempesta e nessun sopravvissuto (escludendo le ipotesi romantiche che parlano del suicidio di un Percy depresso e dissennato). Il loro vascello affonda davanti a Viareggio, dove viene cremato il corpo di Percy, senza tuttavia l’approvazione degli abitanti di Viareggio per la cremazione (proibita allora dalla Chiesa) e ancora meno che il cremato non sia cristiano.

Autore certamente prolifico, tra le sue opere troviamo saggi filosofici che rispecchiano i suoi punti di vista, come  Sul sistema della dieta vegetariana (1814–1815) e  On Love (1818), poesie, poemi, prose e tragedie, come I Cenci (1819).

Non era illuminista ma epicureo, era contro la guerra e la violenza (lo stesso Gandhi citò spesso versi del poema innovativo La maschera dell’anarchia), in genere contro ogni principio corrente, strenue difensore della dieta vegetariana. Sebbene si professasse ateo e materialista, riconosceva Dio nella natura (da lui amata e suggestivamente riportata in versi), secondo un credo panteista.

Stupisce tanta modernità (forse bizzarria?) nella prima metà del XIX secolo, condivisibile o meno, anche se le idee liberali e romantiche di allora incoraggiarono tali pensieri. Essi ispirarono, sebbene non nell’immediato, molti artisti, pensatori (come anarchici, socialisti, Karl Marx in persona), poeti, fra i quali Giacomo Leopardi. Attraversa così i secoli il ricordo del poeta sovversivo, celebrato fino a oggi, sia pure per motivi diversi (o “mode” diverse), che col suo pensiero radicale e innovativo lascia degli spunti di riflessione che ci accompagnano nel cambiamento sociale a cui assistiamo in continuazione.

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