È stato da poco presentato, nella Sala Grande della Misericordia di Firenzein piazza del Duomo, il nuovo libro La mafia spiegata a mia figlia, diEdoardo Marzocchi, tenente colonnello dellaGuardia di Finanza, tenente colonnello della Guardia di Finanza attualmente impegnato nella DIA (direzione investigativa antimafia) e scrittore. [i]

Il libro ripercorre la storia degli ultimi sessant’anni della storia d’Italia, racconta le vicende di quel periodo come un padre racconterebbe la sua vita a sua figlia, racconta le vicende di quel periodo come un padre racconterebbe la sua vita a sua figlia avendo come fine quello di sensibilizzare i ragazzi su argomenti come quello della criminalità organizzata e di spingere anche i genitori a far capire che un paese senza mafia è possibile.

Il tenente colonnello Marzocchi ci ha concesso l’onore di un’intervista riguardante, appunto, l’uscita del suo libro.

Perché ha deciso di seguire questa carriera e cosa la appassiona nel suo lavoro?

«La scelta della carriera risale ormai a più di 25 anni fa; mentre studiavo all’Università ho fatto il concorso per allievo ufficiale per l’Accademia nella Guardia di Finanza e da lì si inizia la carriera direttiva, poi questa ti porta in giro per l’Italia, ti porta all’Accademia a Bergamo, quindi a fare altri studi, a conseguire due lauree, le specializzazioni per  incarichi di comando.  Ho comandato vari reparti in Italia e anche in Toscana, sempre reparti operativi e poi sono arrivato a essere chiamato alla direzione investigativa antimafia, che è una struttura interforze voluta da Giovanni Falcone e che  tutti conosciamo come DIA, Direzione Investigativa Antimafia: ne fanno parte carabinieri, finanzieri e poliziotti perché l’idea di Falcone era quella di creare una struttura investigativa che mettesse insieme le risorse e le competenze delle forze di polizia per indagare sulla criminalità organizzatadi tipo mafioso.»

Invece per quanto riguarda la scrittura, ha avuto sempre questa passione?

«La passione per la scrittura non ce l’avevo al liceo, e all’università mi è venuto l’interesse per l’attività giornalistica, la scrittura; ho anche frequentato un corso di scrittura creativa a Roma, è una passione che porto avanti da tanti anni però sempre in parallelo con il mio lavoro principale. Negli ultimi anni ho deciso di scrivere guardando la realtà dal punto di vista di quello che faccio come lavoro: ho scritto nel 2016 un romanzo dal titolo Dove tutto finisce , di cui mi ha fatto la prefazione il premio Strega Sandro Veronesi, ambientato a Prato nella crisi del distretto tessile, nel sottobosco di illegalità italiana e cinese, perché avevo comandato la compagnia della Guardia di finanza a Prato per alcuni anni. Quindi quel fenomeno della realtà illegale, dello sfruttamento del lavoro clandestino, ho cercato di tradurlo in forma narrativa in un libro. Il mio lavoro mi offre un punto di vista particolare sulla realtà.»

Lei tramite i suoi libri è riuscito a divulgare pagine di storia importanti dell’Italia; dato l’argomento, trova difficile scrivere quello che racconta?

«Ho provato a divulgare nel mio ultimo libro qualche pagina e qualche momento importante della nostra storia: quello sul fenomeno cinese riguardava un momento difficile tra il 2008 e il 2012, quando c’era una forte crisi economica. Nel libro uscito adesso, La mafia spiegata a mia figlia, io parto dalla storia di tutti i giorni della vita di una ragazza che va a scuola e quindi vita quotidiana come la vostra, per poi arrivare a grandi temi e grandi fatti della storia, quella storia con la s maiuscola, quella che ha fatto l’Italia: cioè le tragedie nazionali, gli attentati di mafia, quindi quegli aspetti partendo però dalla vita di tutti i giorni, facendo dei confronti con la vita di oggi per poi parlare di valori come il sacrificio, l’eroismo, di lotta per la legalità, di chi ha sacrificato la vita, come Giovanni Falcone ma come tanti altri che cito nel libro, per un paese migliore; il senso è questo.»

Alla presentazione del libro ha parlato di un’Italia possibile senza mafia partendo dal sensibilizzare i più giovani; pensa che nelle scuole possa essere fatto qualcosa di più?

«Si perché oggi l’illusione è quella di una mafia che non è più stragista, perché le ultime stragi conosciute di mafia risalgono al 1993, la strage dei Georgofili; sono passati trent’anni, quindi chi è nato dopo il 93, non ha mai vissuto e non ha mai sentito di una mafia che faceva saltare l’autostrada, o metteva un’autobomba sotto la casa della mamma di Paolo Borsellino e uccideva tutta la scorta, come se fosse una guerra. Però questa cosa non ci deve far illudere che la mafia non ci sia più, ha solo cambiato vestito e modo di fare, e quindi è importante parlarne tra i giovani perché le mafie – infatti è giusto parlare di mafie al plurale, perché al di là del nome che gli diamo, che sia Camorra, sia Cosa nostra o sia una mafia straniera, sono infatti le caratteristiche che fanno l’associazione mafiosa – si basano sulla intimidazione, sull’ assoggettamento della vittima,  controllo del territorio,  minaccia;  quindi il fatto che non ci siano più le stragi non vuol dire che la mafia non si insinui nella società civile, per fare i suoi interessi, che sono di solito economici e di potere, e sempre illegali, o comunque partono da attività legali  per sfruttarle per interessi illeciti.»

Nel nuovo libro ripercorre la storia di sessant’anni d’Italia come un padre farebbe appunto con la figlia e parla dell’ambiente e della situazione in cui molte persone vivevano, nella paura e nell’insicurezza. Si rivede in quel padre che racconta queste vicende a sua figlia, o è solamente una scelta narrativa?

«No no, praticamente quello che racconto nel libro è tutto reale, è un dialogo con mia figlia. Io ho due figlie e una moglie di Palermo che ho conosciuto quando lavoravo in Sicilia. Quindi le mie figlie tornano in Sicilia e vedono passando davanti a Capaci la stele che commemora le vittime della strage: questo dialogo è tutto vero. Abbiamo fatto a piedi il Corso Umberto di Cinisi, famoso per i 100 passi di Peppino Impastato: ci fecero anche un film di Marco Tullio Giordana, molto bello, I 100 passi, e lì ci sono veramente per terra i simboli dei 100 passi che portano dalla casa di Peppino Impastato alla casa di Gaetano Badalamenti, boss mafioso, che poi è stata confiscata e trasformata in biblioteca. Il dialogo è quindi reale perché appunto parte dalla vita di tutti i giorni, dai problemi a scuola: infatti faccio anche parallelismi tra atteggiamenti mafiosi e realtà mafiosa e l’esempio che si fa oggi molto spesso è quello del bullismo, ovvero intimidazione, minaccia, assoggettamento della vittima che sono quelle caratteristiche non così lontane dall’atteggiamento mafioso. Con questo non mi sognerei mai di paragonare il reato di associazione mafiosa con il bullismo, sia chiaro, però parlo di atteggiamenti di tutti i giorni per arrivare a concetti più grandi come l’omertà, l’eroismo, facendo dei paralleli tra la vita normale e quello che è successo nella storia del paese; i Georgofili per esempio, oppure un’altra storia molto dolorosa accaduta a Firenze, una ragazza uccisa dalla Ndragheta: Rossella Casini, la ricorda una lapide in Borgo la Croce 2, affissa dal comune con l’associazione Libera per una ragazza che fu sequestrata e scomparve, in seguito si scoprì che era stata uccisa dalla Ndrangheta. Per questo  il libro si ntitola La mafia spiegata a mia figlia e parte da un dialogo reale padre-figlia.»


[i] Sulla presentazione del libro cfr. https://www.leomagazineofficial.it/2022/10/12/la-mafia-spiegata-a-mia-figlia-presentato-il-nuovo-libro-di-edoardo-marzocchi/

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