L’8 ottobre al Firenze Books, festival del libro organizzato all’Ippodromo del Visarno nel piazzale delle Cascine, è stato presentato Il nostro giorno verrà, il primo romanzo di Edith Joyce, pubblicato il 29 giugno 2022. Da subito il libro ha avuto moltissimo successo, a tal punto da andare in ristampa il giorno stesso dell’uscita. Psicologa e autrice emergente, Edith Joyce ha conquistato il cuore di tutti, soprattutto dei giovani, con le sue storie che odorano di pioggia e che parlano di Irlanda e, in questo caso, delle Rivolte di Pasqua. È molto seguita sui social, nei quali racconta della sua vita da scrittrice, del suo amore per i libri, per la pioggia e ovviamente per l’Irlanda.

La scrittrice Edith Joyce ci ha gentilmente concesso l’onore di un’intervista. 

Come stai? Come stai vivendo questo periodo della sua vita?

<<Bene. È uno dei periodi forse più felici di tutta la mia vita: il primo romanzo ha avuto molto successo; sto scrivendo un secondo libro; ho firmato con un’agenzia letteraria importante. È accaduto tutto molto velocemente ma, anche se la stanchezza si fa sentire, sono comunque molto contenta.>>

Edith Joyce non è il tuo vero nome, ma il tuo nome d’arte. Da dove viene?

<<È una storia buffa. Edith è il nome della prima protagonista femminile che ho creato di una storia che rimarrà nel cassetto per sempre. Joyce, non per James Joyce come pensano tutti, ma perché una protagonista di una leggenda irlandese si chiama Margaret Joyce. Quindi ho deciso di unire le due cose ed è nato Edith Joyce, che suonava bene e ci piaceva.>>

Com’è nata la tua passione per la scrittura?

<<Fin da quando ero piccola ho sempre avuto la passione per scrivere, che è una cosa un po’ banale da dire perché tanto lo dicono tutti gli scrittori. Riconosco che se ho continuato a scrivere è perché ho avuto attorno a me persone che mi hanno supportato, dagli insegnanti ai miei genitori, che mi hanno sempre incoraggiata. Penso che se vuoi continuare a fare quello ti piace, tanto derivi dalle tue passioni e le tue inclinazioni, ma anche dalla rete di persone che ti costruisci.>>

In un tuo reel su Instagram spiegavi come, secondo degli studi di letteratura scientifica, la scrittura può essere uno strumento terapeutico. C’è stato un periodo in cui lo è stata anche per te, nel quale hai notato l’utilità di questa forma di terapia?

<<Io sono psicologa di formazione. Sto facendo un dottorato in psicologia, nel quale ci sono studi scientifici che effettivamente mettono in relazione le attività della scrittura con benefici proprio a livello di salute mentale. Molti terapeuti consigliano ai propri pazienti di fare a casa degli esercizi di scrittura, per esempio narrare un’esperienza dolorosa, emotivamente negativa o positiva e questo ha portato degli effetti positivi sulla salute mentale. Anche per me è stato così in certi periodi, quando magari delle situazioni mi appesantivano e stressavano. Cercavo così di buttare quelle emozioni negative in diari. Ho sempre infatti avuto l’abitudine di scrivere su un diario, anche se ora non riesco a mantenerlo con costanza. Il journaling, ad esempio, mette insieme scrittura e creatività che è un’attività a parere mio molto bella e utile.>>

Il nostro giorno verrà è il tuo primo libro, come è nata l’idea?

<<L’idea iniziale era quella di un libro molto più legato alla magia che al realismo: si chiamava “Alla ricerca del piccolo popolo”. Poi mi sono resa conto che in realtà non volevo necessariamente parlare di magia e di fate come punto centrale del romanzo, ma renderlo più come un filo rosso che accompagnava tutta la storia. Volevo parlare di altro, soprattutto delle rivolte di Pasqua e raccontare storie che sono state reali. Il mio editore, che aveva già approvato l’idea iniziale, ha accettato di pubblicarmi il libro e così è nato Il nostro giorno verrà.>>

È stato più difficile trovare un modo per iniziare la storia o per concluderla?

<<Iniziarla. Per la conclusione ho avuto un finale già scritto, essendo questi eventi storici reali. Sono fatti che sono accaduti che poi vai a ripercorrerli nel libro. È stato difficile invece capire da dove partire. La storia infatti non parte dal 1916, data di inizio della Rivolta di Pasqua, ma due anni prima. Quindi in realtà è stato molto più complicato scegliere da quanto lontano cominciare la storia.>>

Ci sono momenti o fatti della tua vita personale che hai voluto inserire nel libro?

<<Una caratteristica che accomuna sia me che Erin, la protagonista femminile, ovvero il suo essere una ragazza che vuole per forza essere integrata nel mondo maschile, perché i maschi sono forti, belli e potenti e non amare le cose “più femminili”. È stato un tema molto grande nella mia infanzia: non amavo il rosa, mettere le gonne, giocare con le bambole con le mie amiche femmine. Poi però mi sono resa conto di quante cose mi stavo perdendo escludendo la mia femminilità e sono arrivata a una riappacificazione con essa, come è successo anche ad Erin.>>

Sia nel tuo libro che nei tuoi social parli spesso di femminismo, argomento importantissimo oggigiorno, come è giusto che sia. In quanto scrittrice donna hai mai trovato ostacoli nel fare quello che fai?

<<Non mi sono ancora scontrata in realtà del genere, perché ho appena iniziato a far parte del mondo dell’editoria e della scrittura. Ho scelto una casa editrice che comunque è molto attenta ai temi del femminismo, mi sono scelta una casa sicura possiamo dire. Molto spesso però ci sono avvenimenti dove il maschilismo sopraggiunge creando situazioni spiacevoli. Il problema esiste pure nel settore dell’editoria. Io non l’ho sperimentato sulla mia pelle, però oggettivamente forse sarà una cosa che incontrerò.>>

Nell’ultimo periodo c’è stata una grande novità: hai firmato con la Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency. Come la stai vivendo?

<<È stato proprio qualcosa di inaspettato, ma che in qualche modo ha svoltato la mia vita da scrittrice. Ad oggi avere un’agenzia letteraria è uno dei pochi modi per vivere con la scrittura, di arrivare a delle case editrici più grandi, ma soprattutto essere circondate da professionisti che ti seguono durante tutta la stesura dell’opera. La PNLA è un’agenzia importante di livello nazionale e internazionale, quindi è un onore esagerato.>>

Com’è per te presentare il tuo primo romanzo?

<<All’inizio ero molto scettica. Quando però mi trovo nella sala della presentazione mi piace tantissimo. È stupendo poter incontrare le persone e parlare con loro non solo tramite i social, che comunque ci mettono in contatto tra noi ma solo tramite uno schermo.>>

Come nella frase del libro “è facile sapere contro cosa combatti, ma è più difficile sapere per cosa combatti” qual è il tuo obiettivo?

<<Penso che la nostra generazione spesso butti fuori una rabbia grezza, spaccando muri o altro. Questo è un combattere contro qualcosa e buttare quella rabbia all’esterno, ma senza un senso e senza un obiettivo. Il vero senso, appunto, sta in trovare il “per cosa” stiamo lottando, cioè una rabbia che magari distrugge, ma costruisce anche sulle macerie. Per me le lotte più importanti sono quelle sul femminismo, sull’aborto, e quelle nella mia vita per cui ad oggi combatto.>>

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