Dal 7 al 9 ottobre 2022 all’Ippodromo del Visarno si è svolta la seconda edizione del Firenze Books, festival dedicato interamente ai libri e alla lettura. 

A invadere il Visarno di libri ci hanno pensato le librerie indipendenti fiorentine Libreria Alfani, Libreria Florida, Libreria Leggermente e Farollo e Falpalà insieme a Confartigianato Imprese Fiorentine. Il progetto è stato patrocinato dalla Città di Firenze e dalla Città Metropolitana di Firenze con il contributo di Fondazione CR Firenze, Unicoop Firenze, Toscandia Spa ŠKODA Firenze.

Lo slogan scelto per rappresentare la manifestazione, svoltasi in uno dei luoghi più significativi per i fiorentini (non solo per lo sport, ma anche per altri eventi quali i concerti), è: “Leggere è pop”, perché la lettura così come la musica deve essere per tutti.

Oltre a una grande libreria, sono stati organizzati laboratori per bambini e quasi 50 presentazioni. Alcuni dei nomi di coloro che hanno presentato i propri lavori proprio qui al festival sono: Pera Toons, Piero Pelù, Saverio Tommasi e il premio Strega e Campiello Helena Janeczek

Tra loro c’era anche Edith Joyce, giovane scrittrice e psicologa che, come possiamo vedere anche dai suoi profili social, tratta d’Irlanda e del piccolo popolo che la abita, di femminismo e di amor proprio.

L’esordio nell’editoria di Edith Joyce è avvenuto con Il nostro giorno verrà, libro che ha presentato l’8 ottobre insieme a Carolina Natoli nel salotto del Firenze books.

L’autrice ambienta il suo romanzo in Irlanda durante la rivoluzione irlandese per far conoscere la storia tragica della Rivolta di Pasqua (1916) che, pur essendo una rivoluzione fallita, è stata fatta da un popolo che ci ha sperato, creduto e che ha poi avuto il coraggio di rialzarsi.

Questo evento infatti diede la spinta alla vera rivoluzione che ci fu dal 1919 fino al 1921 e che portò alla nascita della Repubblica d’lrlanda. 

“Il mio nome è Erin O’Brien, ma mio padre mi ha sempre chiamato Vittoria.” 

“Catherine Walsh ha ceduto a tutti i compromessi che la vita le ha messo davanti. Il mio nome e il mio battesimo sono state le sue uniche, autentiche e insindacabili scelte. Mio padre non voleva che sua figlia si chiamasse Irlanda. Voleva che mi chiamassi Vittoria, come la regina d’Inghilterra, e così ha continuato a chiamarmi fino alla fine.”

È proprio con queste parole che facciamo la conoscenza di Erin: ultima di tre fratelli e figlia di madre irlandese e padre inglese. 

Che ci possa essere una scissione all’interno di questa famiglia è quasi comprensibile. E nonostante sia facile combattere la ribellione all’esterno, quella all’interno della famiglia è talmente complicata che porta a ferite che non sempre possono essere rimarginate.

Infatti alcuni dei temi più importanti che troviamo all’interno del libro sono il tradimento, che provoca fratture difficili da risanare, e il perdono, complicato da affrontare sopratutto se c’è un legame di sangue nel mezzo.

Già dalle primissime pagine possiamo notare che il ruolo della donna nel libro è fondamentale. Si gira molto intorno ai concetti di indipendenza, emancipazione e affermazione all’interno della società. 

Erin ama la sua terra, ama l’Irlanda e vuole combattere per essa, ma allo stesso tempo vede che la rivoluzione è una cosa da uomini. Perciò quello che vuole è diventare come gli uomini. E ci proverà con tutta sé stessa: si taglia i capelli, trova qualcuno disposto a insegnarle a sparare e durante questo periodo di addestramento si veste da uomo.

Ma Erin, oltre a combattere per la rivoluzione irlandese, affronterà la sua rivoluzione interiore, si riappacificherà con le proprie caratteristiche femminili e le esprimerà come meglio vorrà perché si può fare la rivoluzione ed essere una donna senza doversi equiparare sia interiormente che esteriormente agli uomini. 

Qui l’autrice cita il Cumann na mBan, un organizzazione sia di soccorso, che si occupava di comunicazione e infermieristica come le staffette partigiane, ma anche militare spiegandoci che: “Il simbolo di questo gruppo era un fucile. Era un’associazione di sole donne, e queste donne convocarono un’assemblea generale prima della Rivolta di Pasqua per scegliere il colore delle divise e se la gonna la volevano sopra o sotto il ginocchio. Riunirsi per decidere come vestirci tutte insieme per fare la rivoluzione è una cosa tipicamente femminile, però queste donne la rivoluzione l’hanno fatta, e se vogliamo anche comportandosi da uomini.”

Tra gli uomini che sono al fianco di Erin c’è Seán. 

La loro storia d’amore è diversa da quelle a cui siamo abituati. Erin non vuole imitarlo o combattere perché lo fa Seán, al quale non importa nemmeno che lei lo faccia, ma lo fa decidendo liberamente se, come e con chi farlo. 

Seán è disposto ad ascoltare le ragioni di Erin senza sottovalutarle, non carica aspettative di genere su di lei, le restituisce la libertà quando lei gli chiede di insegnarle a sparare e lui le dice di no perché non vuole in nessun modo imporre lo stereotipo maschile su di lei, vuole lasciarla libera di scegliere e magari anche di sbagliare, ma sbagliare per la propria autodeterminazione. Si può affermare che amore e rivoluzione si intrecciano in questo senso.

Un’altra forma di amore che troviamo all’interno del volume è l’amore che lega Erin e sua madre.

La madre nei confronti della figlia ha riposto tantissime speranze e questo si può evincere da queste due frasi molto significative tratte dal libro: “Impedirmi a tutti i costi di diventare come lei era il primo modo che aveva di amarmi” e “Lasciarmi la libertà di scegliere cioè che volevo essere era il suo secondo e quello per cui le rimasi per sempre grata.”

La madre ha come proiettato sulla figlia tutto ciò che lei non era riuscita a essere, a diventare e soprattutto la incoraggia a esprimere se stessa. 

Un altro aspetto legato sempre al concetto di amore è l’amore per la terra e quello per la natura che per gli irlandesi è fondamentale.

“L’ambiente e le storie sul piccolo popolo sono temi molto radicati nella cultura irlandese e sarebbe stato impossibile non inserirli all’interno del libro” spiega l’autrice.

È quasi simpatico osservare in una terra così fortemente cattolica l’accostamento tra sacro e profano. Il loro è un cattolicesimo che si incastra perfettamente con le credenze superstiziose (ad esempio quella di San Patrizio che scacciò i serpenti, simbolo pagano) e le storie magiche sulle fate e sul bosco. 

Dire che questa è solo una storia d’amore è riduttivo. È una storia in cui l’amore accompagna i personaggi lungo la scoperta dei sentimenti, i sacrifici fatti e la lotta per la libertà. 

Un libro che coinvolge e catapulta il lettore nell’Irlanda dei primi del ‘900 senza che se ne renda conto. 

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