L’atmosfera delle elezioni di metà mandato presidenziale in una superpotenza mondiale quale gli Stati Uniti d’America è nell’aria, il che è normale considerando la grande influenza di chi li governa e come su tutto il pianeta.

È un argomento molto discusso, delicato, suscettibile di interpretazioni che spesso confonde chi è al di fuori di quel grande mondo politico di fronte al quale tanta gente si sente disorientata.

Senza alcun favoritismo, senza cercare di trovare i “buoni” e i “cattivi” della situazione, si constata una condizione statunitense difficile dal punto di vista sanitario, economico e politico, dovuta principalmente alla crisi pandemica, all’emergenza di superpotenze concorrenziali, alla guerra tra Russia e Ucraina in cui gli Stati Uniti si sono attivamente schierati contro la Russia.

Tali elementi sono fattori di squilibrio sociale e economico e scuotono un sistema politico rilevante sul piano geopolitico come quello statunitense, tratteggiato da dinamiche non sempre chiare, almeno per chi non si intende di geopolitica, che possono tanto esasperare gran parte della popolazione da invitarla a disinteressarsi di ciò che accade al di fuori della propria quotidianità, nonostante in questo mondo globalizzato e complesso ogni mossa politica possa influenzare, più o meno, in modo sensibile o no, la vita di ciascuno.

Detto questo ci arrivano voci d’oltreoceano che delineano una situazione da considerare paradossale se la realtà in cui viviamo funzionasse come una macchina coerente; ma le innumerevoli variabili che regolano l’ambito geopolitico mondiale tolgono ogni certezza in questo campo, e volendo evitare qualsiasi conclusione o generalizzazione semplicistica, affrettata o presuntuosa, non è così sconvolgente sentir dire che la democrazia statunitense sembra ora tremare, anche se si contraddistingue da decenni come madre e difensore di tutte le altre.

A propugnare questa tesi è anche Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti in carica da novembre 2020: egli ha sottolineato la minaccia costituita da Donald Trump nei confronti di democrazia e diritti basilari nel suo discorso agli americani all’inizio di settembre, presso il simbolico edificio di Filadelfia in cui si sancirono Costituzione e Dichiarazione di indipendenza statunitensi.

Biden nel discorso agli americani del primo settembre a Filadelfia

Identifica in Trump il massimo esponente di una destra estremista ultraconservatrice che non accetta la sconfitta, avendo fomentato la tesi della sua falsa vittoria elettorale, e che mina perciò la sicurezza di uno stato democratico.

Trump lo accusa invece di puntare il dito contro i lavoratori americani e considerarli fascisti perché non d’accordo con lui, per distogliere l’opinione pubblica da certe sue mosse a dir poco disonorevoli, ad avviso dell’ex presidente.

Inoltre questi, facendo leva sul risentimento della popolazione legata ai valori tradizionali americani, vittima dell’inflazione e reduce da una crisi pandemica, risulta farsi portavoce del diffuso malcontento sul fronte economico-sociale e ritenersi in grado di migliorare la situazione statunitense.

Lo scambio di accuse anche pesanti tra rivali in politica va preso con filosofia, ovvero con scetticismo, a maggior ragione in tempi cruciali come quelli antecedenti le elezioni di metà mandato, più che mai in un periodo di crisi come quello che sta attraversando il paese in questione.

Per capire a cosa servano queste elezioni di metà mandato (midterm elections) che si tengono oggi 8 novembre, bisogna avere qualche nozione base circa l’organizzazione della democrazia per antonomasia.

Gli Stati Uniti sono una Repubblica presidenziale di tipo federale composta da 50 stati che godono di una notevole autonomia amministrativa e dotati di propri governatori. Il potere è qui suddiviso, come designato da Montesquieu, in legislativo, esecutivo, giudiziario.

Il potere legislativo (che consiste nella stipulazione e abrogazione di leggi) spetta al Congresso, composto da due camere entrambe elette dai cittadini americani: alta (o Senato) e bassa (o Camera dei rappresentanti).

Il Senato conta 100 membri (2 in rappresentanza di ciascuno degli stati della federazione), dei quali un terzo viene rieletto ogni due anni a rotazione in modo che ciascun senatore rimanga in carica per 6 anni.

I senatori sono dotati di maggior potere dei deputati della Camera dei rappresentanti : approvano le decisioni di politica estera e le nomine dei giudici della Corte Suprema; la camera bassa invece è formata da 435 membri, provenienti da ciascuno stato in proporzione alla rispettiva quantità di abitanti, rispecchia soprattutto la volontà popolare e ha un mandato di soli due anni.

Il potere esecutivo (l’applicazione delle leggi) è principalmente nelle mani del Presidente degli Stati Uniti, tra l’altro Capo (e quindi garante) di Stato e del Governo, Comandante in capo delle forze armate: il Presidente statunitense ha un potere molto forte, militare e esecutivo. Il Vicepresidente e il Gabinetto, i cui membri sono di nomina presidenziale, lo affiancano nella detenzione del potere esecutivo.

Il mandato presidenziale dura 4 anni e il presidente viene eletto indirettamente dai Grandi Elettori, scelti dagli abitanti di ogni Stato in quantità proporzionale alla sua popolazione e composti da deputati, senatori e tre elettori del Distretto di Columbia. Un presidente può stare in carica al massimo per due mandati consecutivi.

Il sistema politico elettorale americano è caratterizzato dal cosiddetto “bipolarismo”, ossia la presenza di due partiti maggioritari, democratico, che potremmo dire di centro-sinistra e a cui appartiene l’attuale Presidente, e repubblicano, orientato invece verso il centro-destra (altri partiti esistenti hanno così poco peso nello scenario politico da non essere quasi mai presi in considerazione).

I partiti scelgono i propri rappresentanti che ogni quattro anni propongono come Presidente.

Infine il potere giudiziario (che giudica se le leggi sono state infrante e condona una pena proporzionale alla gravità dell’eventuale infrazione) è distribuito tra Corte Suprema, Corti d’appello (organi giuridici di secondo grado) e Corti distrettuali (di primo grado, presenti attraverso tribunali in tutto il territorio).

Venendo alle elezioni di metà mandato, possono definirsi come strumento di verifica dell’attuale presidente dell’opinione pubblica circa il proprio operato a metà del suo mandato.

I cittadini americani votano anche per i nuovi membri della Camera dei rappresentanti, di un terzo del Senato, in certi stati per nuovi rispettivi governatori, uso di marijuana (dove la sua legalizzazione a scopo terapeutico o ricreativo è ancora una questione irrisolta) e di armi (limitandone l’acquisto per ridurre il rischio, comunque costante, che finiscano nelle mani sbagliate).

Esse si svolgono quindi dopo i primi due anni di incarico del Presidente, in particolare il martedì seguente al primo lunedì di novembre.

Sono chiamati alle urne tutti i cittadini americani (essendo il voto a suffragio universale), anche se meno della metà in genere vi partecipa effettivamente: ciò avviene perché tanti avvertono le midterm elections come evento di poco peso. L’esperienza infatti insegna che ogni elezione di metà mandato sia spesso a sfavore dell’attuale presidente, senza perciò precludergli il conseguimento del secondo mandato presidenziale: ciò avviene perché a votare sono generalmente i più infervorati sostenitori del partito che ha perso le precedenti elezioni presidenziali.

Tuttavia stavolta il Presidente avverte una maggiore importanza dell’esito delle elezioni di metà mandato perché potrebbero avere risvolti di ostruzionismo nei confronti del suo lavoro se Camera dei rappresentanti e nuova terza parte di Senato venissero a comporsi di repubblicani: Biden ha capito che se le elezioni andranno male per il partito di appartenenza, pur non perdendo l’incarico, perseguire la propria politica sarà più difficile in quanto avere deputati e/o senatori a maggioranza repubblicani in questo caso significa avere trumpiani che probabilmente lo ostacolerebbero nel mantenimento delle proprie promesse elettorali.

I sondaggi suggeriscono una vittoria repubblicana nella Camera dei rappresentanti, mentre il partito maggioritario di appartenenza dei nuovi senatori sembra meno facilmente prevedibile.

Stavolta i cosiddetti Swing States (stati in bilico, ossia caratterizzati da un’indefinita preferenza da parte della popolazione per un partito o l’altro) sembrano essere Georgia, Pennsylvania, Arizona e Wisconsin, alias i “campi di battaglia” in cui lo scontro tra democratici e repubblicani è più aspro in quanto il supporto verso gli uni o gli altri, decisivo per l’esito delle elezioni, è da conquistare e per niente scontato, a differenza di alcuni stati tradizionalmente legati più a un partito che a un altro.

Tuttavia, nonostante il mondo interconnesso in cui viviamo, la verità è assai difficile da afferrare.

La ragione non è sempre così nettamente da una parte o dall’altra come proposto da visioni faziose e fortemente contrastanti tra loro.

Non per questo si invita a chiudersi in una bolla di disinformazione circa i fatti del mondo, che in fondo riguardano tutti, specialmente se parliamo di una superpotenza mondiale della quale buona parte dell’Europa (Italia compresa) è zona di influenza, ad esempio attraverso il mercato o istituzioni quali la NATO.

L’ignoranza di ciò che avviene attorno a noi spesso non protegge e è effimera se non illusoria la beatitudine che sembra a volte derivarne.

Essa semmai indebolisce di fronte alle responsabilità di capacità critica a cui siamo chiamati per difendere per quanto possibile la libertà, principio di benessere e crescita individuali e collettivi quando rispettosa dell’altro.

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