In data 9 gennaio 2023, la magistratura vaticana ha riaperto il caso circa la sparizione di Emanuela Orlandi.

Nata il 14 gennaio 1968 nella Città del Vaticano, dove il padre e prima di lui il nonno paterno prestavano servizio presso la Prefettura della casa pontificia, il 22 giugno 1983 la ragazza seguì la sua solita lezione di flauto traverso presso l’Accademia di Musica Tommaso Ludovico da Victoria, in piazza Sant’Apollinare a Roma.

In quella data, Emanuela lasciò la lezione dieci minuti prima della fine, attorno alle 18:45. Poco prima infatti si era accordata con un uomo che la ragazza descriverà alla sorella maggiore Federica come di bell’aspetto e vestito elegante: l’uomo le avrebbe offerto un lavoretto di distribuzione volantini alla sfilata delle sorelle Fontana per l’Avon, ditta di cosmetica. Il compenso sarebbe stato di 375.000 lire, all’incirca 190 euro. Emanuela era intenzionata ad accettare e voleva comunicare la sua decisione all’uomo, aveva anche rassicurato Federica, unico membro della famiglia informato da Emanuela sulla serietà di questo incontro, dicendole che alla sfilata avrebbe potuto partecipare anche un genitore.

Dopo quel secondo fatidico incontro, di Emanuela si perdettero tutte le tracce. Non vedendola rincasare, la famiglia immediatamente si preoccupò, la madre, Maria Pezzano, ripercorse a piedi la strada che collegava la casa alla scuola di musica. Pietro, il fratello maggiore, fece lo stesso ma in moto. Questa prima ricerca si dimostrò vana e i genitori, nel panico più totale, denunciarono la scomparsa alle autorità che in brevissimo tempo informarono Papa Giovanni Paolo II impegnato in un viaggio ecumenico in Polonia. Ad indagini iniziate si ebbe la prima svolta: le autorità locali, ascoltata la testimonianza di Federica Orlandi, contattarono il rappresentante della Avon, il quale dichiarò che la ditta non aveva alcun progetto di volantinaggio ad alcuna sfilata, affermando che la Avon assumeva solo personale femminile: dunque l’uomo, di cui la Procura vaticana aveva un identikit grazie ad alcuni testimoni, non era parte del personale dell’azienda.

“Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi”, così iniziò l’appello tenuto da Papa Giovanni Paolo II il 3 luglio 1983, undici giorni dopo la sparizione di Emanuela.

Dopo l’accorata richiesta, si ebbe un importante cambiamento nelle indagini: la famiglia Orlandi venne contattata da un uomo che si identifica come il rapitore di Emanuela e, per provarlo, fece dire alla ragazza la frase: ”Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, dovrei fare il terzo liceo st’altrar’anno… scientifico…”. L’uomo parlava con un forte accento anglosassone e per questo venne battezzato dai giornali come l’Amerikano. Dopo aver contattato la famiglia Orlandi, l’Amerikano chiamò anche l’ANSA e qui presenta la richiesta per la liberazione di Emanuela: lo Stato italiano avrebbe dovuto scarcerare Mehmet Ali Ağca, terrorista turco condannato per il tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II, avvenuto il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro e detenuto nel carcere romano di Rebibbia. Dopo una breve indagine, si scoprì che la voce di Emanuela era stata registrata da un programma televisivo dove la ragazza era stata ospite con la sua classe. I Lupi Grigi, organizzazione di cui faceva parte anche Ağca, comunicarono di essere responsabili anche della sparizione di Mirella Gregori, ragazza romana sparita nel maggio del 1983 anche lei solo quindicenne. In un primo momento si pensò che i Lupi Grigi potessero averle rapite e tenute segregate entrambe, ma la mancanza di prove che la banda aveva dato alle famiglie fece raffreddare questa pista.

Il 19 dicembre 1997, a 14 anni dalla sparizione di Emanuela, l’indagine venne archiviata.

Un’altra pista si riaccese anni dopo con il coinvolgimento della Banda della Magliana, un’organizzazione criminale nata a Roma che operò con svariati reati in tutto il Lazio a partire dagli anni settanta. Nel luglio del 2005, alla redazione del programma RAI Chi l’ha visto? arrivò una telefonata anonima che esortava a controllare chi fosse sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare e del favore che Renatino, ovvero Enrico de Pedis, uno dei feroci boss della Banda della Magliana, fece al cardinale Poletti. In un primo momento la telefonata portò a pensare che nella cripta ci potessero essere i resti di Emanuela, ma gli inquirenti, analizzando le ossa, le ricondussero a Renatino.

Quindi la strada investigativa della Procura vagliò due diverse ipotesi: la prima riguardava una ingentissima somma di denaro, che la ‘ndrangheta aveva tentato di riciclare nel Banco Ambrosiano. All’epoca il presidente dello IOR, la banca vaticana, era il cardinale americano Paul Marcinkus, uomo con pieno potere sulle finanze vaticane che rimase coinvolto nel crack del Banco Ambrosiano. La perdita di denaro era altissima, si parlava di 1200 miliardi di lire, somma in gran parte di provenienza criminale. L’associazione malavitosa calabrese avrebbe quindi assoldato la banda della Magliana e De Pedis in particolare per rapire Emanuela Orlandi e riottenere parte del denaro perso.

La seconda ipotesi venne formulata dopo una testimonianza a sorpresa.

Il 22 giugno 2005, Pietro Orlandi viene contattato da una giornalista che lo esortò a leggere le dichiarazioni fatte da Sabrina Minardi, ex amante di Enrico de Pedis.

La sua versione dei fatti sulla sparizione di Emanuela vede ancora Renatino protagonista: egli ne avrebbe escogitato il rapimento per poi farla diventare preda sessuale di un alto prelato del Vaticano.

Sabrina Minardi fece anche il nome del rapitore: l’autista di Enrico de Pedis, un tale “Sergio”, la cui faccia era molto simile all’identikit fatto all’inizio della prima indagine.

La testimonianza si chiuse con la risposta alla domanda: “Emanuela è ancora viva?”. La Minardi rispose che de Pedis aveva buttato dei grossi sacchi in una betoniera e le aveva rivelato che contenevano il corpo della giovane. Sabrina Minardi non venne però considerata fonte attendibile dalle autorità investigative a causa dell’abuso di sostanze stupefacenti di cui la donna faceva largo uso e che le avrebbero offuscato i ricordi.

La testimonianza venne però supportata da un’altra persona: Emanuela infatti, poco prima di sparire, aveva confessato ad un’amica che era stata avvicinata nei Giardini Vaticani da una figura molto vicina al Papa che l’aveva approcciata in maniera molto pesante. Ad alimentare questa tesi ci pensò il cardinale Silvio Oddi il quale sostenne la tesi che la ragazza fosse entrata in un giro di festini a luci rosse e a sfondo satanico. Ad avvalorare questa ipotesi si aggiungeva la falsa distribuzione di volantini, pare un metodo molto usato per adescare ragazzi e ragazze. Questa pista, a causa della seconda chiusura del caso del 2012, non venne approfondita a sufficienza. La speranza, con la riapertura del caso, è quella di dare finalmente alla ragazza e a tutta la sua famiglia, la giustizia che meritano dopo quarant’anni di misteri, omissioni e piste false.

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