Ha lasciato il segno Luca de Fusco, direttore del teatro stabile di Catania, al Teatro della Pergola la settimana scorsa con la sua interpretazione di “Come tu mi vuoi”, il capolavoro della maturità di Pirandello. Un dramma carico di significato e rimandi alla letteratura dell’autore siciliano, che vede al centro l’enigmatica figura dell’Ignota fatta rivivere da una stupenda Lucia Lavia.

Vive immersa nel vino la giovane Elma, così è conosciuta nell’ambiente berlinese, fra gli alcolizzati della Germania di Hitler, ospitata a casa del morboso amante Salter e di sua figlia. “Un corpo senza nome in attesa che qualcuno se lo prenda”, dice una sera in preda alla disperazione di quella vita senza prospettive, quando la ragione è assopita dall’ alcol. Subito le si pone davanti una offerta accattivante: una sera, mentre tornava a casa, un tale Boffi riconosce in lei la moglie scomparsa di un suo caro amico friulano, Bruno. Torna quindi in Italia, dove ritrova la sorella Ines, gli zii, il marito, ma ben presto emerge la vera natura approfittatrice dei familiari.

“Sono venuta qua; mi sono data tutta a te, tutta; t’ho detto: Sono qua, sono tua; in me non è nulla, più nulla di mio; fammi tu, fammi tu, come tu mi vuoi”; disposta a riiniziare una nuova vita con Bruno, rinuncia presto a vestire i panni dell’amabile Cia quando viene a conoscenza “dell’intrigo sporco d’interessi” di cui è la pedina decisiva. Bruno ha infatti bisogno di lei per riscattare la villa e le proprietà terriere annesse che, in seguito alla scomparsa di sua moglie Lucia, erano passate in eredità alla sorella Ines.

Dopo essersi messa a nudo davanti al fantomatico marito nella speranza di sfuggire da quella vita squallida in cui non si rispecchiava, riemerge l’orgoglio di una donna tormentata che non accetta di essere ridotta a vile mezzo nelle mani del cinico Bruno. La ricomparsa di Salter, accompagnato da una donna demente presentata come la vera Lucia, offre all’Ignota l’occasione per alimentare i dubbi sulla sua reale identità, sostenendo la narrazione dell’ex-amante secondo cui la povera inferma sarebbe stata portata in una clinica per malati di mente dopo i bombardamenti della Grande Guerra.

Rimane avvolto da una fitta nube di mistero il personaggio dell’Ignota, che non trova pace nemmeno nella drammatica conclusione della pièce. Senza svelare mai la sua reale identità, abbraccia definitivamente l’oscura vita della ballerina berlinese, dell’oggetto sessuale in balia di personaggi loschi. Così il sogno della tranquilla vita borghese italiana sfuma in un futuro incerto, in cui il bisogno di un’identità rimane tristemente inappagato.

Raggiungono il massimo grado di maturità e consapevolezza i temi del repertorio pirandelliano: la verità e la pazzia a cui è condannato chi prende le distanze dalle convenzioni sociali, la perpetua ricerca dell’identità che si riflette nel bisogno di scappare da se stessi, chiaro rimando al “Fu Mattia Pascal”, e l’uso della ragione “a fare da camicia di forza”. Temi esaltati dalla scenografia ispirata alla galleria degli specchi de Il signore di Shangai di Orson Welles e dai numerosi rimandi cinematografici. Perfettamente riuscito l’utilizzo del doppio linguaggio: teatrale, che ha visto la sua massima espressione nell’affascinante monologo di Lucia Lavia, e cinematografico, che ha fatto impiego di strumentazioni e tecniche all’avanguardia tecnologica. Sono intervenute proiezioni dal vivo, ologrammi e giochi di specchi a coinvolgere lo spettatore nella disperata ricerca dell’identità dell’ignota, che si muove con la disinvoltura di chi sa di non aver niente da perdere, danzando da una parte all’altra del palco a ritmo di una musica cupa.

Personaggio quest’ultimo talmente sfaccettato e complesso da offrire spunti di riflessione eterogenei e così intimi da scalfire anche lo spettatore più distaccato del pubblico, messo di fronte alla cruda verità, perché in fondo solo “i pazzi hanno il privilegio di urlare certe cose in faccia”.

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