Romana Petri racconta il vissuto di Antoine de Saint-Exupéry che trasuda emozione, azione, riflessione che fa sue, attraverso gli episodi principali e le lettere alla madre da lei riscritte e dilatate. Lettere che Antoine vede come momento di sfogo e confessione dei propri tormenti, a quella madre minuta ma forte di amor materno, per cui nutre un amore quasi morboso, causa anche l’astratta sensibilità che li lega. Ma prima di spiegare il romanzo, presentiamone l’autrice. Scrittrice romana viaggiatrice e molto prolifica (Rubare la notte (2023), edito per Mondadori, è il suo venticinquesimo libro, tra romanzi e raccolte di racconti) non è la prima volta che si accinge a raccontare una storia di vita: in Le serenate del ciclone (2015) e Figlio del lupo (2020), che parlano rispettivamente del padre Mario Petri, cantante lirico, «uomo colto e fascinoso», e dello scrittore Jack London, emerge il talento nel raccontare storie avvincenti e vivaci, non smentito dall’ultimo libro. La sua opera, intrisa di vitale umanità (e bestialità), ha ottenuto vari riconoscimenti e comprende Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Il mio cane del Klondike (2017), Cuore di furia (2020), La rappresentazione (2021) e Mostruosa maternità (2022). Anche critica, traduttrice, collaboratrice per vari periodici («Io Donna», «La Stampa», «Corriere della Sera», «il Venerdì di Repubblica»), è riconoscente al padre per la propria attitudine alla scrittura, in particolare alle serate dedicate a recitare alla figlia svariate opere di svariati autori, dai poemi omerici, a Il Piccolo Principe di Saint-Exupéry, da cui resta talmente segnata da leggerne in seguito tutta l’opera, innamorarsene e quindi scriverne in Rubare la notte, che ci si accinge a recensire.

Terzo di cinque figli, Antoine de Saint-Exupéry, familiarmente Tonio, nasce il 29 giugno del 1900 da padre visconte e madre pittrice. Oggi è conosciuto dappertutto o quasi per essere l’autore de Il Piccolo Principe, fiaba amara, sognante e amata. Ma, su invito di Petri, ricordiamone la vita nei suoi punti focali, per poi soffermarci sulla peculiarità del libro.

Rimasto orfano di padre a quattro anni, si trasferisce con la famiglia mutilata al castello di Saint-Maurice, che porterà sempre nei suoi più cari ricordi. Qui cresce bambino malinconico, mostruosamente legato alla madre, come sottolinea Petri, guidato dalla consapevolezza istintiva di essere amato, e da un bisogno esigente e logorante di essere assecondato (quindi viziato), di sentirsi sempre confortato dall’apprezzamento dei suoi cari; la sua infanzia è inoltre votata alla distrazione, a un’immaginosa tendenza al cielo, tanto da ottenere con l’insistenza un motore a scoppio per costruire la sua irrealizzata bici volante; fin da piccolo si sente assorbito da un’irrequietezza derivante dalla consapevolezza della brevità e il mistero della vita, e in particolare della meravigliosa infanzia, che così diventa in parte ossessiva e travagliata. A scuola germoglia il suo senso di inadeguatezza, di certo non contrastato dal disprezzo degli insegnanti per uno studente svogliato, un po’ altezzoso, «senza alcuna attitudine per la scrittura». A dodici anni, grazie a dei giovani piloti che aiutava con i motori, riesce per la prima volta a provare l’ebbrezza del volo, avvertendolo come unico mestiere appassionante per l’avventura, il distacco da tutto, la solitudine che offriva e di cui pure sentiva necessità: nella sua opera maturerà infatti la concezione del coraggio come senso del dovere, anche e soprattutto se comporta rischio. A diciassette anni lo segna la morte del fratello quindicenne, seguita da quella della sorella, che non dimenticherà mai, ma anzi reputerà suoi protettori e guide oltre la paura della morte. Dopo aver assecondato la volontà della madre lacerata ma sempre amorevole, iscrivendosi e fallendo alla Scuola navale, nel 1921 ottiene la licenza di pilota, perché troppo forte e imprescindibile era il richiamo. Cinque anni dopo consegna lettere, per lui inviolabili e d’amore, da Tolosa a Dakar, avendo l’occasione di conoscere meglio il paesaggio che più lo attrae, il deserto del Sahara, con il suo silenzio e solitudine. Dirige poi la linea aeropostale Argentina-Francia, appagato dall’ammirazione dei colleghi e l’incontro della focosa artista Consuelo, che sposerà nel 1931, preso dal desiderio di sposarsi, privandosi di un matrimonio felice, osserva Petri. Non è fedele, come Consuelo non lo è, ama meglio a distanza. Troppo impegnativo e opprimente altrimenti il legame con la moglie spumeggiante, non fatta per lui, che cercava una donna rassicurante, amorevole, paziente, quasi un’altra madre. Il matrimonio rimane per entrambi burrascoso, passionale, imprescindibile errore.  Nel frattempo, in stretta correlazione, o meglio dipendenza, rispetto alla sua attività di aviatore, scrive, disegna e fantastica di volo mentre vola, perché solo ad alta quota è ispirato. È così ispirato, ma anche inaffidabile come pilota, il che non lo preserva da incidenti … Escono il racconto L’aviatore (1926) e i romanzi Corriere del sud (1929), Volo di notte (1931), che descrivono l’aviazione con intensità connessa al suo vissuto. Nel 1936 è inviato in Catalogna per intervenire nella Guerra civile spagnola, altra esperienza che segna nell’intimo Antoine, traboccante di orrore di fronte all’insensata malvagità di un fratricidio spietato e violento, che piega un Paese a un ineffabile dolore. 

Terra degli uomini (1939) è un romanzo di grande profondità che nasce dalle perpetue riflessioni sulla vita e dall’esperienza traumatizzante di rimanere nel deserto del Sahara con un collega, rasentando la morte.

Ardente d’amor patrio, sebbene contro ragionevolezza e consigli medici, ostacolato dall’età avanzata e dalle condizioni fisiche aggravate da seri incidenti, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale brucia di desiderio di intervenire e salvare i suoi santi francesi, gli abitanti di Francia in momento di bisogno e debolezza. La guerra, «surrogato dell’avventura» per Tonio, lo affascina proprio per tale, personale definizione: l’adolescente di cui si legge si esalta nell’eroismo della Grande Guerra, a cui per età troppo giovane non può partecipare, e da uomo non sarà certo per età troppo avanzata che si lascerà scappare la possibilità di intervenire nell’aviazione bellica, senza per questo prendere una posizione politica: vuole solo salvare la sua Francia.

Parte per New York nel 1940, nella speranza di sollecitare gli aiuti degli alleati, forte del suo prestigio internazionale di scrittore aviatore e del successo del suo ultimo, bruciante di passione Pilota di guerra (1941). Da qui parte nel 1942, pago e fiero delle cinque missioni di ricognizione affidategli. Dall’ultima di queste, avvenuta il 31 luglio 1944, non fa più ritorno, evento che dà adito a svariate e vane ipotesi sulla sua fine (incidente mortale? Suicidio? Evasione, persino dalla propria identità?). Scomparso dal mondo pubblico come vi è apparso, nel mistero, lascia quasi come testamento Il Piccolo Principe (1943), libro fintamente indirizzato ai soli bambini, dalle tante interpretazioni quante le sfaccettature di questo visionario aviatore intrigante ed esasperante. L’ultimo libro è permeato dall’ossessione per la sua infanzia idilliaca, comunque vissuta nell’angoscia, dal suo sentirsi inseguito dalle responsabilità e volerne scappare, tornarci a suo piacimento, ma è forse anche un monito all’umanità a cercare di capire «l’essenziale invisibile agli occhi», a non smettere di guardare il mondo con la curiosità, il candore e la speranza di un piccolo.

La trama di Rubare la notte è incentrata su tale vissuto, che di per sé costituisce il soggetto per una storia fascinosa e avvincente. Si narra in terza persona ricreando emozioni, quasi concretamente, con l’alternanza di lettere in cui il protagonista le riversa ancor meno filtrate, nella loro ossimorica coesistenza. Il tutto condito dalla perizia di scelta della parola dell’autrice, dalla sua straordinaria e affermata abilità di immedesimazione nei personaggi. Nelle 260 pagine di racconto non si avverte prolissità, ma avvolgente scorrevolezza. Avvolgente è anche il complicato turbine di passioni e inclinazioni – a quanto pare seducente – attorno al protagonista Tonio, inafferrabile, raccontato con bravura tale da non poterlo fare facilmente altrimenti.

La contestualizzazione storica rimane fumosa e rimangono secondari i punti di vista degli altri personaggi, a cui si dà poco spazio, a sottolineare il rilievo del protagonista; tali caratteristiche non pregiudicano la riuscita del libro. Del resto, se non in termini di gusti soggettivi, non si può sottovalutare un libro per esse, che tra l’altro indicano una selezione di temi necessaria alla definizione di un romanzo, altrimenti tanto addobbato da risultare ributtante e disarmonico. Lo stesso Tonio rivela essere nell’efficace asciuttezza il segreto della sua emozionante scrittura… Un discorso a parte merita l’atteggiamento di Tonio verso la guerra, che nelle tristi condizioni attuali ci urta particolarmente, e potrebbe ostacolare una lettura distesa: sebbene toccato dalla drammaticità della guerra civile, sembra poi avere a cuore la salvezza dei suoi compatrioti, incurante del sangue che si sparge in ogni fronte; forse è sintomo di un sentire di un’altra epoca, di una personalità irruenta? Comunque sia, oggi riconosciamo l’orrore ingiustificabile della guerra da qualsiasi punto di vista, e si respinge ogni forma di entusiamo per essa, purtroppo spesso solo in teoria o per la vigente convenzione.

In un’atmosfera sognante e ambientazione variegata come l’esperienza di Tonio, risulta palpabile il protagonista, con le sue contraddizioni, il suo essere radicato e sradicato insieme, rispetto agli affetti, ai vizi, la sua tendenza all’altrove, evidente già dal suo naso all’insù, immerso in volo in paesaggi splendidi che lo circondano di «azzurro di cielo e di mare», e notturni. Già, paesaggi notturni per il vezzo di guadagnare tempo volando di notte, rubandola. Rubandola perché la foga di un pilota un po’ negato e innamorato rispetto al suo mestiere lo porta a bruciare il tempo nel cielo nero d’inchiostro, in attesa di vedere il proprio veicolo «infilare il muso» nel mattino, sopravvivere alla notte. Rubare la notte anche perché in francese voler significa volare e rubare. E infine, rubare è la violenza che il tempo fa verso la vita di Tonio, che ne è consapevole e disperato.

Presentare il protagonista è quasi impossibile. Basti per ora dire che era goffo, di grandi dimensioni e si sentiva un inadeguato bambino cresciuto, bisognoso di compatimento, conforto, dalle tante donne che ha amato provvisoriamente, disordinatamente ma perpetuamente. Che per lui l’infanzia era un pianeta perduto mai dimenticato, sempre rimpianto, e che viveva più intensamente di pensiero che di esperienza, tanto da rimanere deluso dalla realtà sensibile, da vivere in viaggio tra le nuvole nel crogiolo solitario di nostalgia e sogno, di una moglie, di una madre mutilata dalle perdite, come lui, a cui aveva promesso di invecchaire insieme… Antoine inoltre distribuiva gioia ai suoi amici nascondendo malessere per poter volare, vedeva nel bene altrui motivo di gioia e non di invidia, si buttava doverosamente nel rischio dell’aviazione (allora più precaria di ora), ma tornava saltuario alle responsabilità verso le donne della sua vita, era consapevole dei suoi errori ma incapace di alzarsene; nella frenesia della sua bizarra vita trovava tempo anche per misurarsi con l’eterno, con la morte, che ora temeva, ora poeticamente accettava, nella continua ricerca che gli dava senso alla vita, più di qualsiasi conseguimento.

Lo stesso controverso personaggio ammette che in ciascuno alberga “un sé gradevole e uno sgradevole”. Conciliarli è difficile, tanto più quanto intensi sono entrambi. La sua poliedricità è forse emblema della comune, misteriosa umanità, che piaccia o meno.

Quindi, con l’augurio di successo per questo libro suggestivo e senz’altro consigliabile, si ringrazia la scrittrice per aver dato luce a una trama che dal particolare all’universale invita, oltre che a scoprire un uomo famoso, insieme poco conosciuto e a dir poco bizzarro, a riflettere sulla nostra complessità e ardua lotta nel migliorarci, la nostra condizione di mortali e attitudine a Dio, cercato, dimenticato o rinnegato, ma comunque parte della cultura collettiva.

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