Il 30 aprile 1883 a Parigi muore Édouard Manet, ha cinquantun’anni. A distanza di centoquaranta anni, quella di Manet resta una delle figure più importanti e dirompenti della storia dell’arte.

Nato a Parigi, il 23 gennaio 1832, il giovane Manet si dimostra da subito un prodigio della pittura, riuscendo ad entrare in contatto con il mondo dell’arte grazie a Édouard Fournier, zio materno che si accorge subito delle attitidine del nipote e lo porta a scoprire i capolavori conservati al museo del Louvre. Dall’altra parte invece il padre, Auguste Manet, funzionario del ministero Giustizia, si oppone fermamente alla passione del figlio disprezzando con tutto se stesso la pittura e l’arte in genere e sognando per il ragazzo una carriera da magistrato. Di tutt’altro avviso, il giovane Edouard scappa dall’oppressione paterna, e a soli sedici anni si imbarca come mozzo su una nave mercantile con rotta verso il Brasile.

Tornato a Parigi, un anno dopo, Manet convince il padre ad iscriverlo alla facoltà di Belle Arti e nel 1850 entra nell’atelier di Thomas Couture, apprezzato pittore francese dell’epoca ed in particolare dall’imperatore Napoleone III. Nonostante i forti dissapori tra i due causati da due opposti punti di vista sulla pittura e sul ruolo dell’arte in genere, Manet rimarrà per sei anni a bottega di Couture. Insofferente ai canoni accademici promossi dal maestro, Edouard dirà di lui: «Non so che ci faccio qui; quando arrivo all’atelier, mi sembra di entrare in una tomba» .

Durante questo periodo Manet inizia i suoi primi viaggi di formazione. Il primo ad Amsterdam nel 1852, dove si specializza nelle copie dei opere di Rembrandt. Manet ricoprirà il ruolo di copista anche negli anni successivi, nel 1853 visita assieme al fratello Venezia e Firenze, dove copia La venere di Urbino di Tiziano.

Tornato a Parigi, Manet ricomincia a lavorare presso Couture che, però, stanco dell’impertinenza dell’allievo, lo convince ad abbandonare il suo studio.

Dal 1856 inizierà la parte più proficua della sua vita, Parigi è il centro culturale e artistico più importante al mondo e, grazie ai Salon, un’esposizione biennale di pittura e scultura, che si svolge al Louvre, la diffusione delle opere pittoriche e scultoree si propaga notevolmente tra la ricca borghesia.

Risale al 1859 uno dei capolavori di Manet, è Il bevitore di assenzio. La tela rappresenta Collardet, un alcolizzato che passa la sua vita vagabondando attorno al Louvre. I toni del dipinto vanno dal nero, al marrone,al grigio. Collardet, antieroe a differenza dei personaggi ritratti da Couture, è coperto da un’ampia mantella, si appoggia scoordinatamente su un muretto dove spunta il bicchiere col verdastro assenzio.

Arriviamo poi al 1863, Manet stringe un forte legame col poeta francese Charles Baudeleire, il quale esalta la figura del pittore come l’artista che ha il compito di fissare nelle proprie opere la fugacità del presente. Manet aderisce con passione all’ideale baudelariano e dipinge l’opera in assoluto più famosa: Colazione sull’erba, un olio su tela di dimensioni ragguardevoli: due metri per due metri e mezzo circa. L’opera viene esibita nel Salon des Refusés, esposizione organizzata da Napoleone III per accogliere le opere rifiutate dal Salon, e desta immediatamente un notevole scandalo. Non è la nudità in sé a risvegliare tanto clamore, ma il fatto che quella donna in primo piano è una vera donna in carne ed ossa, una semplice donna parigina e non una divinità o una figura mitologica, ed è completamente nuda.

Colazione sull’erba. Parigi, Musée d’Orsay.

Ma è un’altra opera del pittore che desta maggiore scandalo, è l’Olympia, una giovane donna nuda distesa sul letto, con lo sguardo rivolto verso lo spettattore, alle sue spalle una serva di colore le offre dei fiori e ai suoi piedi un gatto nero si stiracchia annoiato. Ispirato alla Venere di Tiziano, Olympia non è certo una dea dell’Olimpo, è invece una prostituta parigina, i dettagli infatti sono inequivocabili: il nome prima di tutto, molto diffuso tra le donne di vita dell’epoca, l’orchidea rosa tra i capelli, il bracciale dorato, il malizioso nastrino nero attorno al collo, la spudoratezza della posa. Lo scandalo scuote Parigi, Manet è ormai bollato come pittore di second’ordine che vuole attirare l’attenzione solo con immagini indecenti. Il pittore scosso e amareggiato si rifugia in Spagna dopo aver distrutto moltissime delle sue tele.

Ormai la sua fama è oscurata, il Salon non accetta più le sue opere e anche il tentativo di una esposizione privata si rivela un fallimento. Gli unici che gli restano accanto e lo sostengono sono i i giovani pittori: Monet, Pissarro, Cézanne, Renoir.

Nel frattempo i venti di guerra soffiano sulla Francia, nel 1870 il paese è piegato dalla guerra franco-prussiana. Parigi è assediata, Manet, convito repubblicano, si arruola con Degas nell’artiglieria. I cittadini di Parigi in un estremo moto di orgoglio proclamano la Comune e si oppongono al nemico, dando vita alla terza repubblica francese che Manet saluta con entusiasmo.

Intanto la salute del pittore va sempre a peggiorare, è affetto da una forma di sifilide che lo porta a una costante perdita della coordinazione muscolare. Tormentato dalle sofferenze fisiche, riesce comunque a portare a termine uno dei suoi capolavori: Il bar delle Folies Bergère, è il suo testamento artistico. C’è l’utilizzo del nero, l’amore per i temi quotidiani e per le nature morte. La donna al centro del dipinto è la protagonista assoluta, è Suzon un’inserviente del caffè concerto di Parigi, che con lo sguardo mesto e le mani appoggiate sgraziatamente sul bancone scintillante aspetta forse un cliente. L’analisi fatta su di lei da Laura Corchia ci lascia una nota amara: «forse Suzon sognava un avvenire diverso, forse avrebbe voluto prendere il posto di quelle dame dell’alta società sedute ai tavolini delle Folies-Bergère. Quegli occhi dicono tutto, raccontano di sogni svaniti e di speranze attaccate a un filo». Ancora una volta il pubblico poco lungimirante e assai conservatore, accoglie l’opera  senza alcun entusiasmo, recando a Manet l’ennesima delusione.

Morirà il 30 aprile del 1883 tra estreme sofferenze, circondato dall’affetto della moglie e degli amici tra cui Proust, Zola, Monet. Le sue spoglie riposano al cimitero di Passy.

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