Il 15 maggio 1910, all’arena di Milano, la Nazionale Italiana di calcio esordì per la prima volta in assoluto contro la Francia. In un mondo in cui il calcio non era ancora lo sport più seguito e i calciatori non erano star di fama internazionale, nasceva la nazionale italiana; una delle più vincenti della storia.

Per il debutto inizialmente non fu scelta la Francia bensì l’Ungheria, ma l’accordo con i magiari saltò per disaccordi di natura economica.  Si optò pertanto per i francesi, che stavano vivendo uno scisma federale e, per tanto, mandò in campo elementi delle società di medio calibro situate a Est di Parigi o a Nord della Senna, come il Bon Conseil, il Vitry, l’Etoile des Deux Lacs e la Garenne-Colombes. L’assenza di importanti sodalizi parigini, come il Club Frangais, lo Stade o il Cercle Athlétique, significò una squadra orfana di molti ottimi interpreti.  Oltre alla scelta dell’avversario, difficile furono quelle del C.T. e dell’intera rosa.

A tal fine, in mancanza di allenatori veri e propri, la FIGC incaricò la Commissione Tecnica Arbitrale, ritenuta la più competente in ambito calcistico, di scegliere i giocatori che avrebbero giocato in nazionale per le prime partite.

Per decidere chi sarebbe sceso in campo la C.T.A. (composta da Umberto Meazza, Agostino Recalcati, Alberto Crivelli, Gianni Camperio e Achille Gama Malcher) organizzò due amichevoli dividendo i calciatori in due squadre, quella dei “probabili” e quella dei “possibili”. Entrambe le gare finirono con la vittoria (4-1 e 4-2) da parte dei “probabili” e servirono per sciogliere i dubbi su chi dovesse avere l’onore e l’onere di giocare. Fu scelta quasi interamente la formazione dei probabili, con qualche piccola eccezione.

A dirigere la baracca fu Umberto Meazza, uno dei membri della commissione, che di mestiere commerciava vino e faceva l’arbitro per hobby. Come il primo C.T., in campo non vi erano calciatori di professione ma rappresentanti, fabbri, meccanici, ragionieri e studenti.

La compagine italiana non scese con il classico azzurro che contraddistingue tutt’oggi le divise della Nazionale ma con una camicia bianca con colletto e polsini inamidati. Sul petto, sopra il taschino, era cucito un rettangolo tricolore. Forse per la troppa fretta, era stato dimenticato lo stemma sabaudo. L’azzurro, o ancora meglio il “bleu marinaio”, ispirato ai colori di Casa Savoia, sarebbe arrivato solo nel 1911. I francesi indossavano invece in maglia a strisce bianca e azzurra, con paramani rossi.

La partita fu disputata in una bella giornata primaverile con 20 gradi, forse troppi per il corrispondente de L’Auto (progenitore de L’Equipe) che parlerà di “chaleur accablante” (caldo soffocante). Il colpo d’occhio era splendido: gli spettatori che varcarono i cancelli furono, per alcune fonti, quattromila, ma addirittura seimila o ottomila per altre, numeri importanti per l’epoca.

Il match ebbe inizio alle 15:50 circa e fu diretto dall’inglese Henry Goodley. Anche lui era un arbitro nel tempo libero: lavorava come perito tessile a Torino e proprio per questo motivo venne scelto a dirigere l’incontro.

La partita vide l’Italia fare da padrone e dettare il canovaccio per quasi tutti i 90 minuti. Alla prima vera occasione, dopo un’iniziale fase di studio, l’Italia passò in vantaggio. Il primo marcatore in assoluto segna il nome di Pietro Lana, detto Fantaccino, uno dei dissidenti del Milan che nel 1908 fondò insieme ad altri l’Inter.

Al 29′ il raddoppio fu siglato da Virgilio Fossati, centrocampista e capitano dell’Inter che solo sei anni più tardi morì in combattimento a Monfalcone durante la Prima Guerra Mondiale. Nel primo tempo si susseguirono altre emozioni, tra cui un gol annullato a Cevenini per fuorigioco, ma il risultato non si smosse dal 2-0.

Nella ripresa fu la Francia a partire con maggiore convinzione, trovando la rete della speranza dopo otto minuti con Sollier. Ma l’Italia non si abbatté. Al 59′, Lana favorito da una corta respinta imbucò per la terza volta la rete francese. Successivamente, grazie a un preciso calcio di punizione battuto da Jourde le distanze furono nuovamente accorciate. L’Italia, però, ristabilì subito il doppio vantaggio con un gol di Rizzi, centrocampista dell’Ausonia. Da qui la compagine francese crollò definitivamente e subì prima il gol del torinista Debernardi e infine la terza rete di Lana su calcio di rigore. Il risultato finale segna quindi un netto 6-2 che sancì la prima storica vittoria della Nazionale Italiana.

I protagonisti di questa partita sono persone comuni, non di certo celebrità come sono oggigiorno i calciatori. Certe storie colpiscono, come quella del portiere Mario De Simoni; un 22enne studente all’Accademia di Brera. Giocatore tesserato per l’Unione Sportiva Milanese ,tra i vari sport che praticava (100 metri, salto in lungo, ginnastica, nuoto), il calcio era quello che gli piaceva di più, ma mai avrebbe pensato di diventare un giorno il primo guardiano dei pali della Nazionale. Negli Anni 20, dopo brevi parentesi da allenatore aprì un negozio-laboratorio di palloni di cuoio, sci di legno e attrezzi per l’atletica, tra cui giavellotti e dischi. Da lui si servirà un certo Sandro Mazzola che lo ricorderà così: «Il mio patrigno mi regalò a Natale il primo paio di scarpe da gioco, comprate proprio da De Simoni. Io e mio fratello Ferruccio abitavamo in centro a Milano e raggiungevamo il suo negozio a piedi; soldi per il tram non ce n’erano».

Come per De Simoni potremmo aprire una parentesi per tutti i membri di quella squadra, ma sarebbe superfluo. L’importante è capire che quello che nacque quel giorno, con quel gruppo di ragazzi, è un qualcosa che vive ancora oggi, dopo 123 anni, nel cuore di tutti noi italiani. È un sentimento che unisce, che fa gioire ma anche soffrire. Le storie di queste persone comuni hanno dato vita a una delle pagine più gloriose e importanti di cui il nostro paese può e deve vantare.

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