Anna Basta nasce a Bologna il 23 gennaio 2001, e già all’età di quattro anni inizia a praticare ginnastica ritmica. Nel 2016 entra a far parte della nazionale senior delle Farfalle, ottenendo le prime vittorie nel 2017 ai campionati mondiali di Pesaro con la vittoria dell’oro nei 5 cerchi. L’anno successivo ai campionati di Sofia, in Bulgaria, vince con la sua squadra l’oro nelle 3 palle e 2 funi, l’argento nell’all-around e il bronzo nei 3 cerchi e 4 clavette. Nel 2019 a Baku ottiene sempre nella squadra il bronzo nei 3 cerchi e 4 clavette. Il 4 maggio 2020 la giovane atleta decide di abbandonare la Nazionale e nel novembre 2022 denuncia tutte le pressioni psicologiche e le umiliazioni che avrebbe ricevuto da parte dell’allenatrice.

Come quando e perché hai iniziato a praticare ginnastica ritmica?

Ho iniziato quando avevo quattro anni e mezzo. I miei genitori mi avevano inizialmente inscritta a nuoto, ma non mi piaceva, in più mi ammalavo spesso a causa del mio debole sistema immunitario, così ho deciso di cambiare. Sempre i miei genitori avevano trovato un volantino che pubblicizzava una lezione di prova di ginnastica ritmica: alla fine della lezione c’era stata un’esibizione di alcune atlete agoniste e mi era piaciuta tanto che ho deciso di continuare.

Qual è il tuo attrezzo preferito e quello che ti ha dato più soddisfazioni?

Non ho un attrezzo preferito; forse quello che mi riesco ad usare meglio è la palla, il nastro lo adoro anche se lo reputo un attrezzo molto antipatico perché difficile. Quello con cui ho più soddisfazioni e con cui ho più esperienza è però sicuramente la palla.

Quando hai capito di avere i numeri giusti per poter sfondare nella ginnastica ritmica?

Non ho mai pensato di essere nessuno di bravura esagerata. Mi sono resa conto di essere abbastanza brava verso i dodici anni perché in quel periodo avevo iniziato a partecipare nelle competizioni di serie A, quindi ad essere un’atleta di interesse nazionale.

Come era strutturata una giornata quotidiana di una ginnasta da individualista?

Frequentavo una scuola pubblica come molti altri, ma a partire dalle medie, quindi più o meno quando sono diventata un’atleta di livello agonistico, ho iniziato a affrontare allenamenti più seri. Uscivo di scuola alle due dal lunedì al venerdì, poi in alcuni giorni gli allenamenti iniziavano verso le tre, in altri verso le cinque; comunque ogni giorno mi allenavo almeno quattro ore, ogni tanto anche cinque. Il sabato, dato che non andavo a scuola, mi allenavo la mattina, fino all’ora di pranzo. Di solito studiavo dopo pranzo prima dell’allenamento se era di tardo pomeriggio, oppure una volta finito l’allenamento tornavo a casa, cenavo e studiavo la sera.

Invece quando dovevi allenarti in squadra?

Allora vivevamo tutte insieme in ritiro: passavamo undici mesi all’anno in un hotel, fuori da casa. Ci svegliavamo verso le sette e mezza, alle otto in palestra, dove si iniziava l’allenamento con un riscaldamento o un potenziamento, poi passavamo alla lezione di danza, finita la quale c’erano dieci o quindici minuti di pausa. Dopo la pausa iniziavamo a provare il primo esercizio per il resto della mattinata. Nel pomeriggio si tornava in palestra dopo la pausa pranzo, ci si riscaldava e si provava il secondo esercizio. Tornate in hotel, le ragazze andavano ancora a scuola avevano da seguire le lezioni. Infine andavamo a cena e poi a dormire.

Cosa ti ha dato la ginnastica ritmica oltre i grandi successi e alle tante medaglie?

Quello che mi ha lasciato a livello più personale è il fatto di aver fatto tante amicizie, aver imparato ad essere indipendente da subito, grazie a tutte esperienze fuori casa che ho fatto a partire dai dodici anni, saper lavorare duramente per raggiungere un obiettivo senza distrazioni o scuse.

Quale è stata la tua gara perfetta o quella che ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Mi sono piaciute molto le ultime competizioni di serie A che ho fatto da individualista, come quando ho partecipato alla Work-up di Pesaro, non avevo molte aspettative per quella gara quindi è andata molto bene, senza l’ansia del dover vincere. In squadra l’annata del 2018, cioè l’anno dei mondiali di qualifica olimpica, è stata la migliore, quella in cui abbiamo avuto i risultati più alti.

Che emozioni hai provato durante la vittoria dei mondiali?

Ero felicissima ovviamente, ho dedicato quella vittoria a mia nonna che scomparsa quello stesso anno. Era l’anno in cui avevo iniziato ad avere dei problemi in palestra e quindi la soddisfazione di vincere dei mondiali con le mie forze mi ha dato molta soddisfazione e riscatto.

Si sono create delle amicizie che perdurano ancora oggi con le tue compagne di squadra o in generale con qualcuno del mondo della ginnastica?

Si, le amicizie che mi porto dietro sono di lunga data. Le ragazze con cui sono cresciuta, anche se ormai non le sento molto spesso, quando ci si rivede è come se non ci si fossimo mai allontanate. Sono quelle amicizie che sai se chiami ci sono e sono quelle che mi porterò dietro sempre.

So che oltre alle tante soddisfazioni che questo sport ti ha regalato dal 2016, anno in cui sei entrata nella squadra nazionale, sono iniziate da parte dei tuoi allenatori delle forti pressioni per quanto riguarda il peso. Come è stato quel periodo e come sei arrivata alla decisione finale di lasciare la nazionale?

Inizialmente riuscivo a sopportare quelle pressioni, non mi era mai capitato di subirne quindi cercavo di farmele scivolare addosso. Poi le pressioni si accumulate sempre di più, e non sono più riuscita ad ignorarle, arrivando a stare sempre peggio. Quello che la gente spesso ignora è che quando vivi in un ambiente dove puoi vedere la tua famiglia solo una volta al mese, l’allenatore diventa il tuo punto di riferimento, quindi anche se si ti sta facendo del male, sei disposto a giustificarlo; puoi arrivare a pensare che ti stia dicendo delle cose giuste, che ti meriti quello che ti facendo. Quando inizi a reputare il tuo allenatore come il tuo idolo, non ti accorgi se la persona a cui ti sei affidata ti sta facendo realmente del bene. È stato difficile rendermi conto che in realtà quello che stavo vivendo non era giusto: durante il lockdown, quando ho sentito per la prima volta l’ansia di dover andare in palestra, che per prima era inizialmente una cosa bellissima, ho capito che c’era qualcosa che non andava. Volevo continuare ad andarci perché le olimpiadi erano vicine e non volevo mettere in difficoltà le mie compagne, poi, quando hanno rimandato le olimpiadi, ho deciso di andarmene dal momento che avevano più tempo per sostituirmi.

I tuoi genitori e i tuoi amici ti hanno aiutata a superare quei brutti momenti che immagino siano stati molti tormentati per te?

Si, quando ero in ritiro con la mia squadra avevo pochi momenti in cui potevo sfogarmi con i miei genitori, anche se cercavo subito dopo di tranquillizzarli facendo loro credere che fosse normale che, in quanto un’atleta a quei livelli, avessi spesso delle crisi. Ogni volta che ci vedevamo cercavo sempre di sembrare tranquilla. I miei genitori sapevano che stessi passando dei momenti difficili ma avevano capito quello che stava succedendo realmente, si fidavano della struttura e delle allenatrici nelle quali mi avevano lasciato. Mi hanno sempre sostenuto, sia spronandomi sia appoggiandomi quando ho deciso di lasciare la squadra e tornare a casa. Quando ho lasciato la Nazionale, oltre ai miei genitori, anche alcuni vecchi amici che non sentivo da molto tempo sono venuti a sostenermi in quel periodo difficile.

Ammiro molto il tuo percorso e la forza di aver detto no ad un sistema così opprimente, ma come è stato per te tornare alla vita normale?

Il primo anno è stato devastante: non sapevo cosa fare della mia vita, non sapevo cosa mi piacesse o in cosa fossi brava oltre che nella ginnastica ritmica. Non avevo mai immaginato la mia vita totalmente senza ritmica, sapevo di dover iniziare l’università ma in quel momento non volevo, ho provato tanti talk di tante università diverse proprio perché sono una persona curiosa a cui piace un po’ tutto, selezionare una cosa per me era veramente difficile in quel momento. Le ho veramente provate tutte, ho anche fatto due mesi di giurisprudenza, poi però piano piano con il percorso della psicologa e restando da sola con me stessa proprio per capire cosa stesse succedendo ho capito che in realtà lo sport mi apparterrà per sempre, ho basato la mia vita su quello, sull’insegnamento, sull’università che è simile a un scienze motorie ma un pochino più specifica, quindi io adesso ho creato la mia vita.

Come è ora la tua vita? Ami ancora la ginnastica ritmica?

Si totalmente, ho già un brevetto da tecnica in un ente ora lo devo prendere proprio in federazione, continuo anche ad allenare me stessa e a prendermi cura del mio corpo con lo sport, mi piace tantissimo trasmettere ciò che è la mia passione per la ritmica anche alle ginnaste che alleno insieme al tecnico della mia società e credo che comunque sia una passione che rimarrà per sempre.

Come ti poni come insegnante di questo sport con le bambine e le giovani ragazze che hai davanti?

Cerco sempre di pormi in maniera positiva e gentile, ovviamente seguendo la tecnica della società in cui alleno l’agonismo è ovvio he ci vuole un lavoro un po’ severo ed impegnativo, anche perché l’agonismo deve essere impegno, concentrazione e dedizione, si deve imparare cosa sia lavorare duramente senza scuse per un obbiettivo, la severità ci vuole ma ci vogliono anche dei momenti di divertimento e la condivisione. Da quando sono arrivata ho sempre detto che se ci fossero stati problemi, dubbi o paure noi allenatrici eravamo le prima ad ascoltarle, quindi c’è sia la parte della sgridata che la parte di comprensione e soprattutto di comunicazione tra allenatrici e ginnaste, che è la cosa più importante.

Che progetti hai per il tuo futuro?

Finire l’università sicuramente, che ho iniziato “tardi” perché le ho provate un pochino tutte, prendere tutti i brevetti che servono, per esempio ora ne devo prendere uno da istruttrice di danza, continuare finché posso ad allenare, portare avanti il messaggio di sensibilizzazione per tutto ciò che è disturbi alimentari e violenze psicologiche, che spero di riuscire a fare al meglio, divertirmi ed essere felice.

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