Avevamo già avuto il piacere e l’onore di incontrare il maestro Marco Tutino, uno dei più importanti compositori del mondo operistico contemporaneo; in occasione dello straordinario successo della sua opera La Ciociara al festival di Wexford il maestro ci ha concesso un’altra intervista, di cui gli siamo molto grati. Al maestro le felicitazioni di tutta la redazione e la profonda gratitudine per il suo alto contributo all’arte italiana. DDN

La Ciociara di Marco Tutino è di nuovo un assoluto capolavoro. Dopo la splendida prima esecuzione assoluta nel teatro Lirico di Cagliari l’opera del celebre compositore italiano, il 2 novembre 2023, è tornata a riscuotere successo in occasione del Festival 2023 di Wexford. Na’ama Goldman e Jade Phoenix hanno condotto un cast brillante sotto la guida musicale e teatrale degli italiani Francesco Cilluffo e Rosetta Cucchi. Al termine dello spettacolo il pubblico inglese si è esibito in una vera e propria standing ovation con un particolare trattamento per i personaggi negativi dell’opera, i tre soldati stupratori marocchini (interpretati da Meilir Jones, Christian Loizou e Will Searle) e il maresciallo nazista Fedor Von Bock (Alexander Kiechle), accolti al saluto finale da un profondo “buu” collettivo. Proprio questo inusuale tipo di accoglienza sta a indicare la perfetta riuscita dei personaggi disgustosi che interpretavano. Il calore trasmesso dal pubblico di Wexford durante la serata è stato il più sincero risultato di un’opera riuscita nel migliore dei modi sotto tutti i punti di vista.

Marco Tutino, a poche settimane dall’evento, ci ha concesso una fantastica intervista in cui ha espresso tutta la sua soddisfazione per lo spettacolo e ci ha parlato della splendida esperienza che ha potuto vivere nella magica atmosfera di Wexford, in un Festival, come lui stesso ci ha detto, unico al mondo.

Allora maestro, la prima domanda che volevo porle è : che cosa rappresenta per lei “la ciociara” e, nell’ambito della sua produzione, perché ha scelto proprio questo soggetto?

Dunque, il soggetto è stato scelto in accordo con il teatro di San Francisco, che mi ha proposto, tramite il suo direttore musicale Nicola Luisotti, questo titolo. Discutendo con lui delle possibilità dei soggetti, ci è parso insieme il più coerente con le loro esigenze; volevano infatti produrre un’opera di argomento forte, un’opera italiana che rispettasse la tradizione, la grande tradizione del melodramma italiano. e quindi è stata una scelta collettiva, più una richiesta che non una mia spontanea idea. Rappresenta forse il momento più eclatante della mia produzione perché devo dire che tutte le volte che è stata rappresentata ha avuto una reazione da parte del pubblico, e ultimamente anche della critica, abbastanza straordinaria rispetto all’accoglienza che di solito hanno le opere contemporanee, che vengono in parte fruite come un dovere, costruite senza tanto entusiasmo. Quest’opera ha stupito anche me in quanto a successo perché insomma, sempre il pubblico in piedi ogni volta… Innovazioni così entusiastiche non sono frequenti nel panorama contemporaneo, non me lo sarei aspettato quando l’ho scritta. Ho cercato di rispettare le esigenze del teatro, ma allo stesso tempo so che la produzione contemporanea ha qualche difficoltà a passare e quindi per me è un momento veramente eccezionale, devo dire abbastanza straordinario.

Il libretto che ha scritto con Fabio Ceresa, in quale rapporto sta con il romanzo di Alberto Moravia? E inoltre anche come è nata e come è andata la collaborazione con il suo coautore, appunto con Ceresa?

Il libretto in realtà è frutto di una collaborazione a tre; ritengo importante sottolineare che è stata fondamentale la sceneggiatura di Luca Rossi, l’altro autore del testo, un po’ come Illica e Giacosa. L’intuizione di Puccini, che ci volessero due persone per elaborare un testo operistico, è un’intuizione straordinaria che ha cambiato la storia del melodramma, perché da un certo momento in poi l’importanza dell’intreccio della sceneggiatura, quasi cinematografica, emerge perché il pubblico evidentemente sviluppa esigenze sempre più raffinate circa lo svolgimento dell’azione, della drammaturgia dell’azione. È da lì che nasce, tra l’altro, tutta la concezione drammaturgica della sceneggiatura cinematografica; quindi ho voluto continuare questa intuizione pucciniana, scegliendo appunto di far ideare da uno sceneggiatore cinematografico un intreccio che funzionasse drammaticamente in maniera precisa, in maniera puntuale, che rispettasse le aspettative di tensioni, di colpi di scena, di elaborazione di una narrazione complessa ma efficace dal punto di vista dell’audience. Quindi è stata una collaborazione molto interessante: è nella lavorazione del libretto e nella mente del compositore che comincia a nascere la musica. Lavorare insieme a due persone su questo testo, che si è rivelato molto molto efficace, è stato fondamentale per me. Infatti da allora per i miei libretti, quando non c’è un intreccio già prestabilito, mi avvalgo sempre di uno sceneggiatore. Rispetto al romanzo di Moravia e al film di De Sica ci sono stati molti cambiamenti proprio per queste ragioni. Il personaggio di Giovanni è stato scritto ex-novo. C’è tutto un plot che lo sviluppa e ne fa un personaggio fondamentale per lo svolgimento dell’azione, infatti le differenze sono parecchie. L’opera è diversa soprattutto dal romanzo, che è molto più cronachistico, senza grandi accadimenti.

Ok, venendo invece a Wexford, diciamo è stata una grande esperienza, le critiche sono state molto lusinghiere, hanno parlato addirittura di capolavoro. Com’è andata in generale l’esperienza, è rimasto soddisfatto della regia, dell’interpretazione musicale, degli attori?

Devo dire di sì, è stata un’esperienza molto forte, c’è stata una fusione di tutte le componenti, gli interpreti si sono calati completamente nei loro ruoli, ci hanno creduto, recitando al meglio e cantando anche molto bene, naturalmente. La regia è stata diversa dalla produzione, infatti ha aggiunto uno sguardo un po’ più sofisticato, una visione più onirica, introducendo il personaggio di De Sica da fuori che guarda tutto quanto, come se fosse a immaginare il suo film, e devo dire che il pubblico ha reagito molto bene, quindi sono molto soddisfatto dell’operazione di Wexford che, ripeto, è stata veramente straordinaria. Certo quando si parla di capolavori, per opere appena scritte, bisogna sempre stare un po’ attenti: nel senso che il capolavoro lo decide la storia. Quando leggo di capolavori mi viene sempre un sospetto: ovviamente non posso negare che sentirselo dire fa piacere però…. ecco, prendo un po’ le distanze, nel senso che senza dubbio alcune opere “restano”, ma bisogna aspettare un po’ di tempo per capire se davvero hanno conquistato un posto nella storia della musica. Quindi vediamo, naturalmente me lo auguro!

Qual è stato il suo coinvolgimento nella realizzazione dello spettacolo?

“A parte alcuni confronti con la regista per la sua visione, non c’è stato un particolare coinvolgimento poiché sono arrivato che le cose erano già fatte, quindi giustamente non sono stato coinvolto poichè quando l’opera è ormai alla sua terza rappresentazione deve fare la sua vita, ognuno ha il diritto di realizzarla senza avere compositori di mezzo che si mettono inevitabilmente a dare troppi consigli, a essere troppo invasivi perché per gli autori i loro lavori sono sempre “figli”; quindi è difficile se sei lì durante le prove non intervenire. Penso che dopo la prima esecuzione si debba lasciare che le opere vadano da sole come dei figli che crescono: il genitore deve stare a casa a vedersi lo spettacolo.”

In Italia, secondo lei, abbiamo qualcosa di paragonabile a quello che è Wexford?

“No, Wexford è una realtà che oramai ha una sua storia molto lunga, molto consolidata dove hanno debuttato personaggi della lirica importantissimi e che oggi sono delle star. Quindi è un luogo magico, dove accade una cosa assolutamente incomprensibile: una piccola città di pescatori si mette in testa di inventare un festival operistico di titoli sconosciuti, poiché questa è la sua missione. E’ veramente incredibile, pensarlo in Italia sarebbe impossibile. Ormai nel nostro paese c’è una tale routine piegata quasi soltanto alla tradizione più consolidata, più scontata. Questo è un peccato perché è proprio il paese che ha inventato l’opera e dovrebbe avere almeno un luogo dove si promuove anche la creatività contemporanea e il futuro dell’opera e invece non c’è. Da noi è sparito, si fanno molte più opere nuove negli Stati Uniti, per esempio, che in Italia. Certo è un peccato però va così. La lirica in Italia è in un periodo di regressione da tutti i punti di vista, non c’è vitalità anche nelle interpretazioni, nelle regie. Devo dire che o si vedono cose strampalate che non stanno in piedi, che distruggono incomprensibilmente le opere, oppure si vedono cose molto vecchie. Secondo me sono vecchie entrambe le versioni, però è un peccato, siamo veramente in un momento buio.”

Venendo alle regie, lei è sempre stato piuttosto critico su certe registrazioni troppo disinvolte e troppo libere, cosa ne pensa della regia romana del Mefistofele molto contestata?

“Tutto il male possibile, nel senso che si capisce che il regista (peraltro lo ha anche dichiarato) non ama quell’opera, non apprezza particolarmente il suo autore; non si comprende perché mettere in scena una cosa che non si ama; secondo me un regista dovrebbe perlomeno essere interessato all’oggetto che sta interpretando e se non gli piace meglio che faccia altro. D’altronde si capiva, non ne sa niente, non ne capisce niente. Veramente fare l’opera in quel modo lì è un brutto servizio perché non spiega niente al pubblico, non lo aiuta a capire, non lo aiuta ad entrare in un mondo: è semplicemente un’operazione che potrebbe essere applicata a qualsiasi altro titolo con lo stesso risultato. Ma francamente sì, io sono molto critico quando il regista non rispetta la drammaturgia dell’opera che ha in mano e non la valorizza. Perché è sempre un testo, è un prodotto artistico da rispettare, distruggere le opere non serve a nessuno se non alla propria carriera perché si ottengono più critiche e oggi se hai un insuccesso registico, in realtà i registi sono contenti dei fischi; però a me sembra una perversione, veramente triste.”

Sempre a proposito di Boito, il suo coautore Ceresa è stato incaricato a Cagliari della regia del Nerone, lei sa qualcosa su come sarà impostata?

“Casualmente ho visto le scene perché in un incontro conviviale mi hanno fatto vedere le scenografie e devo dire che la cosa curiosa è che ho visto due progetti per la stessa opera ed è stato scelto dal teatro il secondo; io preferivo il primo. Comunque mi sembra di altissimo livello visivo, assolutamente interessante, ho molta stima dello scenografo Santi che per altro è stato lo scenografo di questa mia produzione di Wexford e anche di altre mie due opere, Le Braci e Miseria e Nobiltà, quindi con Tiziano Santi ho un rapporto molto antico di frequentazione e collaborazione in vari modi. Ho visto solo pochi bozzetti delle scene e mi sono sembrati di grandissima qualità, poi non so nulla di come sarà, ovviamente non lo sa nessuno come sarà la regia e neanche la realizzazione musicale; ma dato che il direttore d’orchestra sarà Francesco Cilluffo, sarà sicuramente eccellente. Mi auguro che sia di livello perché la riproduzione di quest’opera è fondamentale. Io avrei voluto farla nel 2009 mi pare a Bologna ma purtroppo non sono riuscito a causa della crisi economica che ci impose due tagli drastici, è un’opera costosissima per il numero dei personaggi e per i ruoli difficili vocalmente, però è un’opera molto interessante; encomiabile volerla riproporre.

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