“È un liceo storico e prestigioso, è una scuola che ha conservato i caratteri più tradizionali di questo tipo di percorso, anche se prova e si impegna ad aprirsi alla contemporaneità. È una scuola che ha generato un fortissimo senso di identità, è una scuola esigente, impegnativa con un corpo docente autorevole e anche variegato dal punto di vista generazionale”. È così che la preside del liceo Da Vinci Annalisa Savino descrive la sua scuola, ed è così che inizia il docufilm di Irene Martini, la cui première viene presentata il 16 febbraio al cinema La Compagnia, durante il convegno dei 100 anni di storia del liceo. 

La sessione pomeridiana del convegno, coordinata dalla professoressa Cecilia Filippini, è stata suddivisa in tre momenti: il primo dedicato alla presentazione del docufilm “Un secolo di futuro”, della ex studentessa Irene Martini, il secondo al racconto di Gianni Biagi, anch’esso ex studente e architetto, del mosaico che si trova sulla facciata principale della scuola ed infine quattro letture da parte delle studentesse del progetto Leonlab, introdotte dalla giornalista Susanna Cressati, che ci parlano di quattro grandi ex professoresse della scuola

La regista Irene Martini frequenta il liceo dal 2005 al 2010, e durante il suo percorso scolastico prova una grande vicinanza con i compagni e il corpo docente: descrive, nel suo docufilm, la scuola come un ambiente nel quale “le persone vogliono bene alla scuola” in tutti i suoi ambiti: dagli insegnanti, agli amichevoli baristi, fino ad arrivare alla struttura e la storia che racconta del millennio scorso, storia che viene rappresentata anche grazie alle opere d’arte aggiunte successivamente. È per questo motivo che, oltre a produrre un intero docufilm in suo onore, dirige e realizza il cortometraggio “Ora e sempre Resistenza”.  

La première del docufilm inizia mettendo a confronto il biennio 1923/24 e l’attuale 2023/24: la scuola, infatti, ritorna sulla bocca di tutti quando la preside Annalisa Savino risponde all’aggressione avvenuta davanti il liceo classico Michelangelo con un’importante lettera. Il secolo precedente la scuola è al centro dell’attenzione non a causa di uno scandalo, ma perché è il primo liceo scientifico di Firenze. La sede originale si trovava in via Masaccio, ma nel ‘57, quando il liceo scientifico inizia a crescere, inizia la costruzione dell’attuale sede principale in via Giovanni dei Marignolli. Al tempo la maggior parte dei fiorentini risiedeva in centro, e lo spostamento della sede da una zona più centrale ad una periferica porta grande eterogeneità. Questo rende la scuola il luogo più caldo degli scontri del ‘68. Nel documentario ci parlano, in particolare, di un importante sciopero contro l’intervento della polizia all’interno della scuola, che portò quasi sessanta studenti e la professoressa Albanese a sedere sul banco degli imputati. 

La professoressa, successivamente assolta insieme al resto degli studenti perché riconosciuto il loro diritto di sciopero, era una dei tanti insegnanti ad essere profondamente impegnata nella vita scolastica: il professor Olmi, per esempio, con l’aiuto della professoressa Pinto e la professoressa Conte, riuscì a cambiare il curricolo aumentando le ore di scienze, facendolo diventare la spina caratterizzante del liceo. Oltre agli insegnanti, però, anche la presidenza è partecipe nelle questioni non solo strettamente scolastiche, ma anche sociali: il preside Capecchi, in carica dal 1983 al 1996, partecipò all’occupazione notturna della scuola praticando per una settimana intera sciopero della fame. Esso si considerava primus inter pares, dal latino primo fra pari, ed aveva un rapporto diretto con gli studenti; ora, invece “la retorica diffusa del preside sceriffo ha contorto la sua figura di guida ed educatore”, come sostiene la preside Savino. Le differenze fra gli studenti del tempo e quelli moderni sono lampanti, e non è solo il cambiamento della percezione del preside a dimostrarlo: infatti, sono sia i professori, che il barista Marco a raccontarci le differenze notate tra gli studenti.

Marco, che si trova molto a contatto con gli alunni, forse ancora più dei professori, mette a confronto quelli conosciuti al suo arrivo nel 1987 con quelli attuali: secondo lui, rispetto al passato, gli studenti moderni si godono meno la vita, questo a causa della grande protezione che esercitano i genitori su di loro. Oltre alla, a volte, eccessiva intromissione nella vita scolastica esercitata da parte delle famiglie, gli studenti si chiudono e sviluppano ansia anche a causa della precarizzazione e crisi dei ceti medi. Anche se è impossibile eliminare completamente questo problema, un ex studente del liceo sostiene che la scuola resta sana e “se la scuola italiana fosse più come quella del Da Vinci, faremmo un passo avanti”. Il docufilm finisce quindi con la preside che afferma che chi frequenta il liceo trova gli strumenti adatti per costruirsi un futuro. Un futuro che, secondo la citazione di Eluard, è un uovo da covare: infondere fiducia sul futuro è quindi fondamentale, perché gli studenti spesso non sanno dove covare quell’uovo.

Successivamente viene introdotto, dalla professoressa Filippini, Giovanni Biagi, architetto ed ex-studente del liceo dal 1966 al 1971. Quando frequentava ancora l’istituto, il signor Biagi aveva manifestato un profondo interesse per la storia del mosaico che si trova sul lato sinistro della facciata della scuola e vista la sua passione per la scrittura, incoraggiata dal suo insegnante di italiano Camillo Giannattasio, e anche grazie all’aiuto di un amico, decise di inviare una lettera a Farulli, l’artista. In questa lettera i due studenti chiedevano quale fosse stata l’idea per il mosaico e cosa volesse rappresentare.

Per trovare l’indirizzo al quale inviare la lettera gli alunni avevano consultato un elenco del telefono che al tempo conteneva gli indirizzi di tutti divisi per provincia, pure i premi Nobel. Utilizzando questo metodo erano anche riusciti a scrivere, per chiedere un autografo, a Salvatore Quasimodo che, anche se molto tempo dopo, gli aveva inviato una lettera di risposta molto cortese e a Luigi Dallapiccola che anche esso gli aveva risposto con una lettera scritta a mano con indicazioni di dove trovare il suo ultimo disco, Canti di prigionia

Il signor Biagi racconta quindi di aver scoperto che l’idea per il mosaico è nata dall’amore profondo che Farulli aveva per la città di Piombino: l’artista utilizzava infatti il paesaggio industriale della città come soggetto di molte delle sue opere anche a scopo di commentare sulla vita difficile dei lavoratori della zona. Dalle parole di Farulli: ”L’idea è partita dal mio frequentare e amare una città particolare. Una città particolare come Piombino, a sud di Livorno: gli uomini che la circondano, gli operai, il paesaggio, fuochi, fiamme, polvere, sudore, lotta”. Si sa quindi che Farulli decise, quando incaricato di ideare una decorazione per il liceo, di rappresentare una scena rossa, focosa e carica di colore che richiamava al panorama di Piombino appunto per il periodo nel quale si trovava: il tempo della contestazione e dell’impegno politico, delle battaglie e delle rivendicazioni civili durante il quale gli studenti, animati da un obiettivo collettivo, si impegnavano a farsi sentire.

Un articolo dell’epoca, che ci legge l’architetto, ci descrive l’opera: ”Un grande mosaico orna la facciata del liceo scientifico Leonardo da Vinci. Eseguito da Fernando Farulli nel 1966 in seguito alla vittoria di un concorso nazionale bandito dalla provincia di Firenze; rappresenta un paesaggio brullo, illuminato dalla luce rossastra di un tramonto. Un’ampia strada asfaltata in primo piano, scandita nel suo svolgersi dalla linea spartitraffico, coinvolge chi guarda all’interno in una veduta prospettica nel quale l’intersecarsi dei piani conferisce sorprendente dinamismo. Quasi fosse nell’abitacolo di un’auto in movimento lo spettatore viene proiettato verso lo sfondo dove, in controluce rispetto alla sfera incombente del sole, appare la sagoma scura di una città moderna. Il gusto per una forma semplificata e sintetica, per colori accesi e contrastanti in una gamma che va dal rosso sanguigno all’arancio, al giallo, al blu elettrico fatti risaltare dal nero marcato dei profili rileva l’interesse del Farulli per l’espressionismo tedesco di Beckham”.

L’opera, però, non è solo frutto del lavoro di Farulli ma anche del mosaicista Carlo Signorini, che si è occupato della vera e propria realizzazione del mosaico. Nel caso di Signorini l’arte del mosaico deriva da una tradizione familiare partita dal bisnonno Alessandro Azzaroni Signorini

Il motivo della realizzazione del mosaico è invece la legge del 2% che “impone alle Amministrazioni (Stato, Regioni e, in generale, tutti gli Enti pubblici) di destinare una percentuale dell’importo dei lavori, al massimo il due per cento, alla realizzazione di opere d’arte, da collocare nel nuovo edificio” che ha poi portato al concorso degli anni 60’ vinto dal disegno di Farulli.

Infine viene chiamata sul palco Susanna Cressati, giornalista e anch’essa ex-alunna del liceo, per presentare l’ultimo argomento di interesse: il ruolo che le donne hanno avuto nella crescita dell’istituto e il lavoro che hanno dovuto fare per guadagnare il privilegio di poter frequentare il liceo. In particolare sono state lette le biografie di quattro ex-professoresse che hanno avuto un ruolo importante nella storia del liceo. Quattro studentesse attuali del liceo che partecipano al progetto Leonlab hanno interpretato una ciascuno le quattro storie: Aurora Borchi, Viola Mascritti, Aurora Vanni, Valentina Zingoni; con l’introduzione di Sofia Cresti, anch’essa studentessa della scuola.

La giornalista Cressati apre la presentazione parlandoci di queste quattro ammirabili donne: Rosa Heller Heinzelmann, Beatrice Crinò, Anna Maria Matilde Crinò e Maria Albanese. Queste quattro professoresse lavorano con passione e dedizione per trasmettere cultura e competenze ai giovani di Firenze e non solo: nel Novecento i percorsi da loro scelti erano predominantemente maschili. Il loro coraggio di intraprendere queste strade rende, quindi, la loro figura ancora più ammirabile, e anche se spesso discriminate, svolgono il loro lavoro di ricerca scientifica con la massima grinta, assumendo comunque “l’insegnamento come elemento costitutivo della loro identità”. Vengono ricordate non solo per la loro competenza professionale, ma anche per il loro impegno civile e per aver saputo coltivare forti legami con il mondo culturale cittadino, l’università e con le case editrici che pubblicano i loro lavori. Cressati finisce la sua introduzione dicendo che “la loro biografia è forse solo una briciola dei tesori che le donne hanno costruito, ma una briciola che vale mondi.”

La prima delle quattro è appunto Rosa Heller Heinzelmann, nata il 4 giugno 1889 a Slonim, una cittadina nell’attuale Bielorussia, allora facente parte dell’Impero russo, e muore a Firenze il 6 dicembre 1972. Era saggista e traduttrice, discendente da una famiglia di negozianti di origine ebraica. A Romny (città collocata nel nord dell’Ucraina) frequentò con successo il liceo femminile e a San Pietroburgo la Facoltà di Lettere. Sposò giovanissima il poeta Anatolij Gejncel’man (Heinzelmann). Il 16 settembre 1935 prese servizio presso il liceo Scientifico Leonardo da Vinci come insegnante di lingua tedesca e dopo tre anni venne “dispensata dal servizio perché appartenente alla razza ebraica”, in seguito all’emanazione del Regio decreto legge del 5 settembre 1938 n. 1390. Viene poi reintegrata il 16 dicembre del 1944 e riassegnata allo stesso liceo da cui era stata espulsa, fu inoltre incaricata come lettrice e poi come assistente di Lingua e letteratura russa presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze fino al 1954.

Le letture continuano con la presentazione di Beatrice Crinò, fisica, all’anagrafe Beatrice Giuseppina Isola, nata a Catania il 7 giugno del 1913 e morta il 22 aprile 1954 a Roma. Arrivata a Firenze con la famiglia all’età di due anni, Beatrice Crinò cresce in una famiglia segnata dal culto dello studio. Dopo la maturità classica ottenuta a 15 anni sceglie all’Università il corso di laurea in Fisica e matematica, dedicato alla formazione degli insegnanti, ma presto chiede il trasferimento a Fisica pura, le cui lezioni si svolgono ad Arcetri. Qui si laureò a pieni voti il 27 luglio del 1932, a diciannove anni, discutendo una tesi dal titolo: “Ricerche sulla radiazione corpuscolare secondaria della radiazione penetrante”. Il decreto ministeriale del 10 dicembre 1937 la nomina insegnante di ruolo sulla cattedra di matematica e fisica del liceo, dove manterrà questa posizione fino al suo precoce pensionamento. A 24 anni si laureerà anche in chimica. Continuerà ad insegnare ma proseguirà gli studi di suo interesse sulle “aberrazioni dei sistemi ottici” e sul potere risolvente delle emulsioni fotografiche. La sua salute però peggiorò rapidamente e lei venne a mancare, poco più che quarantenne, il 22 aprile 1954 a Roma, durante il ricovero in una clinica specializzata. 

La terza è Anna Maria Matilde Crinò sorella di Beatrice Crinò, figlia di Sebastiano e Sofia De Trombetti, presto si trasferì con la famiglia a Firenze. Compiuti gli studi superiori si laureò in Lettere, con Perfezionamento in Lingua e Letteratura Inglese, e successivamente in Scienze politiche. Ottenne la sua prima cattedra di letteratura inglese all’Università di Ferrara. A Firenze, città in cui approdò dopo aver insegnato nel Liceo scientifico di Bologna, fu docente di Lingua e letteratura inglese al Liceo Scientifico Leonardo da Vinci dal 1945, docente comandata all’Università dal 1958 al 1968 e si affermò come uno dei maggiori esperti italiani di letteratura e storia inglese. Concluse la sua carriera di docente emerita e di esperta traduttrice di letteratura inglese all’Università di Pisa. 

Infine l’ultima è quella di Maria Albanese, matematica, nata nel 1902 a Geraci Siculo e morta a Firenze nel 1992. Dopo essersi laureata a Pisa con Luigi Bianchi insegnò matematica e fisica al Liceo Cicognini di Prato, a Tripoli e per più di quarant’anni presso il liceo scientifico “Leonardo da Vinci” di Firenze. Fu socia dell’Unione matematica italiana dal 1936. Dal 1940 al 1945 prestò servizio come infermiera volontaria nella Croce Rossa Italiana e per tre anni al seguito di reparti combattenti. Al termine della guerra fu insignita della Medaglia d’argento al valor militare. Aveva 74 anni ed era in pensione quando nel 1976 fu processata insieme ad altre 67 persone tra insegnanti, studenti e personale non docente del liceo. Gli insegnanti erano stati imputati per aver esercitato il diritto di sciopero essendosi astenuti dalle lezioni protestando verso due interventi della polizia chiamata dal Preside durante il famoso “caso Gregorelli”. Don Domenico Gregorelli, docente nello stesso istituto, fu a lungo contestato per il suo atteggiamento nei confronti di studenti e colleghi che lo avevano ritenuto (v. La Nazione, 16 marzo 1976) “offensivo e provocatorio”. La Corte di Cassazione confermò la sentenza della Corte di appello che aveva mandato assolti gli insegnanti considerando legittimo l’esercizio del diritto di sciopero.

Ciò che lega queste donne è la loro passione per gli studi, infatti, come visto dalle loro letture, studiarono tutta la vita.
La passione, che lega quattro grandissime professoresse che altrimenti non avrebbero molto in comune, è ciò che lega la nostra scuola, e diventa, come lo era il curricolo di Olmi, la sua spina caratterizzante.

È così che si termina il convegno per i 100 anni di futuro del liceo.

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