Quello? È un povero sfigato! Ecco un segnale d’allarme, subito, soprattutto se la cosa diventa una specie di mantra. Quel ragazzo, quella ragazza, non sono degni di stare nel gruppo: non sono abbastanza trasgressivi, abbastanza belli, cool, alla moda … Le ragioni possono essere davvero una, nessuna e centomila.

Il 7 febbraio si celebra la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, istituita nel 2017 su iniziativa del Miur nell’ambito del Piano nazionale per la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo a scuola.

Il bullismo e il cyberbullismo sono caratterizzati da manifestazioni violente e intenzionali, di tipo verbale, fisico, sociale, ripetute nel tempo da parte di un singolo o da più persone, anche online (cyberbullismo).

Esiste uno squilibrio di potere tra chi aggredisce, per ferire e umiliare, e chi subisce e non riesce a difendersi. Si tratta di fenomeni che esprimono scarsa tolleranza e non accettazione verso chi è ritenuto diverso per etnia, per religione, per caratteristiche psicofisiche, per genere, per identità di genere, per orientamento sessuale e per particolari realtà familiari.[1]

Solo chi lo ha provato sulla sua pelle può capire quanto il bullismo possa essere infame. Non confondiamolo, per favore, con la goliardia e con lo scherzo, perché la prima è un fenomeno universitario ormai in estinzione che, al di là di alcuni eccessi ed esagerazioni, non aveva certo lo scopo di distruggere psicologicamente (e a volte fisicamente) nessuno: tra l’altro, non era assolutamente obbligatorio frequentarla. Il secondo presuppone invece il diritto alla reciprocità e anche al rifiuto se troppo pesante o comunque non gradito: se subire uno scherzo diventa un obbligo senza possibilità di rifiuto o reazione, comincia a essere qualcosa di simile a una tortura.

È difficile anche capire quanto la sofferenza di un ragazzo o di una ragazza possa essere profonda e disgraziatamente a volte irreversibile, tale da segnarti per tutta la vita o portare addirittura a gesti purtroppo estremi. È uscito di recente un film bello e terribile anche perché tratto da un episodio reale: Il ragazzo dai pantaloni rosa, la tristissima storia di Andrea Spezzacatena, vittima di bullismo e cyberbullismo omofobo, talmente feroci da spingerlo a togliersi la vita il 20 novembre 2012 ad appena 15 anni. Un film che tutti dovrebbero vedere e meditare. A lui e a tutti i ragazzi e ragazze che come lui hanno subito sofferenze difficilmente immaginabili, dedichiamo questo articolo.

Già perché oggi il bullismo si è ulteriormente “raffinato” grazie ai social: come nel caso di Andrea, si arriva a creare veri e propri gruppi per deridere, offendere, mettere alla gogna qualcuno. La logica comunque, che sia reale o virtuale, è sempre la stessa: quella del branco che circonda, deride, umilia e isola, per cui anche chi vorrebbe solidarizzare con la vittima se non è dotato di un carattere forte e di una buona maturità non se la sente di sfidare il giudizio e isolamento che ne seguirebbero: stai con quello sfigato? Allora sei come lui!

La cosa più atroce di questo genere di atteggiamenti è la sottrazione di spazio e la distruzione di autostima: luoghi che dovrebbero essere sicuri o comunque sereni si trasformano in stanze della tortura. Entrare nella propria aula scolastica diventa fonte di sofferenza e di disagio, si attende la prima battuta cattiva a cui seguiranno fatalmente le altre. Stai con gli occhi bassi per non vedere le risatine, le occhiate di scherno, i chiacchiericci nemmeno tanto sussurrati che hanno sempre il solito oggetto: quanto sei stupido, inferiore, diverso etc. Certo, si potrebbe ignorare tutto questo o addirittura reagire: e c’è anche chi ci riesce. Non è certo facile tuttavia, perché trovarsi soli contro tutti non è una situazione facile per nessuno, men che meno poi per un adolescente. E infine la domanda chiave: perché? Perché un ragazzo o una ragazza devono necessariamente indossare le vesti di un gladiatore? Per quale motivo ci si deve permettere di attentare alla loro serenità e al loro equilibrio?

La cosa più tragica è che spesso non ci rende neppure conto della gravità e delle conseguenze di certi atteggiamenti: non i ragazzi che li mettono in pratica, non gli adulti, genitori o docenti che siano. Ecco perché è necessario prestare la massima attenzione e fare un’opera di “educazione” che miri soprattutto a far comprendere quanto sia profonda la sofferenza che viene inflitta, quali danni può fare; oltre naturalmente alla colossale ingiustizia che il bullismo rappresenta.

Proprio in occasione della giornata contro il bullismo e cyberbullismo, L’Unicef ha ricordato come in Italia circa il 37% dei bambini e giovani siano esposti a messaggi di odio e oltre il 34% siano esposti a immagini cruente e violente e ha lanciato lo speciale video “Rompi il silenzio, ferma il bullismo” con protagonista Camilla Mancini. Inoltre secondo il Report UNICEF La condizione dell’Infanzia nell’Unione Europea 2024, circa un terzo dei bambini di 10 anni residenti nell’UE (nel 2021) non era in grado di stabilire se un sito web fosse affidabile. In un’indagine condotta nel 2020 in 15 Paesi dell’UE, circa il 10% dei bambini di età compresa tra i 9 e i 16 anni che utilizzano Internet ha dichiarato di aver subito cyberbullismo almeno una volta al mese nell’ultimo anno. Una media compresa tra l’8 e il 17% dei ragazzi tra i 12 e i 16 anni ha visto contenuti dannosi online. Una media del 13% dei ragazzi tra i 12 e i 16 anni ha subito richieste sessuali indesiderate alcune volte nell’ultimo anno. [2]

I  numeri del ministero della salute  per quanto riguarda bullismo e cyberbullismo sono questi: I dati HBSC Italia evidenziano che gli 11enni vittime di bullismo sono il 18,9 % dei ragazzi e il 19,8% delle ragazze; nella fascia di età 13 anni sono il 14,6% dei maschi e il 17,3% delle femmine; gli adolescenti (15 anni) sono il 9,9% dei ragazzi e il 9,2% delle raga

Secondo quanto emerge dalla Sorveglianza HBSC Italia, nella fascia di età 11 anni risultano vittime di cyberbullismo il 17,2% dei maschi e il 21,1% delle femmine; i 13enni coinvolti sono il 12,9% dei ragazzi e il 18,4% delle ragazze; gli adolescenti di 15 anni sono il 9,2% dei maschi e l’11,4% delle femmine.

“Ciò che ha ammazzato mio figlio non è stato il bullismo quanto il suo stesso silenzio” [3], ha dichiarato Teresa Manes, mamma di Andrea. Ecco perché è importante cercare di cogliere i minimi segnali, spingere chi è vittima di questi atti infami ad aprirsi, ispirare fiducia e sicurezza. Ed educare i ragazzi al rispetto, al dialogo, ad essere sempre gruppo e comunità, ma mai “branco”.


[1] Fonte: https://www.pnrr.salute.gov.it/portale/prevenzione/dettaglioNotiziePrevenzione.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=6477 . Stessa fonte per i dati riportati verso la conclusione dell’articolo.

[2] Fonte: https://www.unicef.it/media/l-unicef-sulla-giornata-contro-il-bullismo-e-il-cyberbullismo-7-febbraio/#:~:text=L’UNICEF%20sulla%20Giornata%20contro,e%20il%20Cyberbullismo%20(7%20febbraio)  

[3] Fonte: https://www.robadadonne.it/galleria/teresa-manes-suicidio-figlio-andrea/ 

Foto di Htc Erl da Pixabay, licenza libera. Si ringrazia HtcHnm

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