Cala definitivamente il sipario sul Flauto Magico dell’Opera di Firenze: mercoledì 29 marzo ultima rappresentazione, sempre a teatro pieno e con pubblico partecipe ed entusiasta. Si è trattato di una edizione del capolavoro di Mozart che ha fatto un po’ discutere ma che comunque ha fatto senz’altro centro.
Sebbene infatti il cambio di ambientazione dall’ Antico Egitto ad un’aula scolastica più o meno dei nostri tempi potesse sembrare azzardato, la regia di Damiano Michieletto, che ha portato Il Flauto Magico al Teatro dell’Opera di Firenze, è riuscita a cogliere nel segno quello che voleva essere uno dei temi fondamentali trattati nell’opera: il percorso di formazione che Tamino, il protagonista, affronta. D’altra parte, quale luogo avrebbe espresso tale concetto altrettanto bene? La scuola vista come il posto nel quale si cresce, si matura e, se si è fortunati, si può scoprire l’amore. Un viaggio che si deve affrontare, che spesso è pieno di pericoli e bivi, ma nel quale non si è mai da soli.

C’è chi non ha gradito questa reinterpretazione, chi l’ha criticata dicendo che certe tematiche non possono essere affrontate tra i banchi di scuola e, in un certo senso, tale opinione non può essere biasimata. L’antitesi tra giorno e notte ( che verranno identificati, forze forzando un po’ la mano, negli ideali di Rivoluzione francese e l’Illuminismo da un lato e dispotismo dall’altro) e l’impronta massonica non sono argomenti da prendere alla leggera, e i dubbi del pubblico – e soprattutto di parte della critica  – sulla regia sono soprattutto su questo punto. Da sottolineare comunque l’efficacia delle scene – soprattutto quelle “dietro la lavagna” in un bosco che ricordava la dantesca selva oscura” e l’animazione in scena, grazie al coro, ai tre bravissimi bambini e alla recitazione in generale.

Molto amati sono invece stati i personaggi di Papageno, il buffo bidello che riesce a vedere il lato positivo della situazione perfino nei momenti più bui, interpretato nel secondo cast da Christian Senn, e della Regina della Notte, interpretata da Olga Pudova . Quest’ultima in particolare ha entusiasmato il pubblico con una fantastica intrepretazione dell’aria più famosa dell’opera, forse il momento più magico della rappresentazione

Non convince fino in fondo l’orchestra, diretta da Roland Boer, il quale non ha dato prova di poter regalare grandi emozioni. La sua è stata infatti una direzione un po’ troppo “apatica” e priva di entusiasmo,  nonostante le possibilità offerte dalla musica di Mozart.

Pur avendo avuto qualche difetto nella direzione e, da parte degli interpreti, delle incertezze in alcuni passaggi, al calar del sipario il pubblico è esploso in un boato di applausi, apprezzando forse più l’idea della reinterpretazione che non la sua rappresentazione.

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